È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!



 
 
Pagina precedente | 1 2 3 4 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Il Santo del giorno

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2013 07:06
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
24/01/2012 17:20


24 Gennaio

San Francesco di Sales

Vescovo e dottore della Chiesa


Thorens, Savoia, 21 agosto 1567 - Lione, Francia, 28 dicembre 1622



Vescovo di Ginevra, fu uno dei grandi maestri di spiritualità degli ultimi secoli. Scrisse l’Introduzione alla vita devota (Filotea) e altre opere ascetico-mistiche, dove propone una via di santità accessibile a tutte le condizioni sociali, fondata interamente sull’amore di Dio, compendio di ogni perfezione (Teotimo). Fondò con Santa Giovanna Fremyot de Chantal l’Ordine della Visitazione. Con la sua saggezza pastorale e la sua dolcezza seppe attirare all’unità della Chiesa molti calvinisti. (Messale Romano)



Patronato: Giornalisti, Autori, Scrittori, Sordomuti



Etimologia: Francesco = libero, dall'antico tedesco



Emblema: Bastone pastorale



Martirologio Romano: Memoria di San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa: vero pastore di anime, ricondusse alla comunione cattolica moltissimi fratelli da essa separati, insegnò ai cristiani con i suoi scritti la devozione e l’amore di Dio e istituì, insieme a Santa Giovanna di Chantal, l’Ordine della Visitazione; vivendo poi a Lione in umiltà, rese l’anima a Dio il 28 dicembre e fu sepolto in questo giorno ad Annecy. (28 dicembre: A Lione in Francia, anniversario della morte di San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, la cui memoria si celebra il 24 gennaio nel giorno della sua deposizione ad Annecy).






San Francesco di Sales ha reso amabile la Chiesa in un tempo di lotte; è un esempio di dolcezza e ha saputo mostrare che il giogo del Signore è facile da portare e il suo carico leggero, attirando così molte anime.

È un vero riposo per l'anima contemplare questo Santo, leggere i suoi scritti, tale è la carità, la pazienza, l'ottimismo profondo che da essi si sprigiona. Qual è la sorgente di questa dolcezza? Essa viene da una grandissima speranza in Dio. Nella vita di San Francesco di Sales si racconta che nella sua giovinezza visse un periodo di prove terribili in cui si sentiva respinto da Dio e perdeva la speranza di salvarsi. Pregò, fu definitivamente liberato e da allora fu purificato dall'orgoglio e preparato a quella dolcezza che lo contraddistinse. Non faceva conto su di sé: aveva sentito con chiarezza quanto fosse capace di perdersi, come da solo non potesse giungere alla perfezione, all'amore, alla salvezza e questa consapevolezza lo rendeva dolce e accogliente verso tutti. Ma più ancora dell'umiltà quella prova gli insegnò la bontà del Signore, che ci ama, che effonde il suo amore nel nostro cuore.

San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e dottore della Chiesa, è sicuramente il più importante e celebre fiore di santità sbocciato in Savoia, sul versante alpino francese.
Figlio primogenito, Francois nacque il 21 agosto 1567 in Savoia nel castello di Sales presso Thorens, appartenente alla sua antica nobile famiglia. Ricevette sin dalla più tenera età un’accurata educazione, coronata dagli studi universitari di giurisprudenza a Parigi e a Padova.

Qui ricevette con grande lode il berretto dottorale e ritornato in patria fu nominato avvocato del Senato di Chambéry. Ma sin dalla sua frequentazione accademica erano iniziati ad emergere i suoi preminenti interessi teologici, culminati poi nelle scoperta della vocazione sacerdotale, che deluse però le aspettative paterne. Nel 1593 ricevette l’ordinazione presbiterale ed il 21 dicembre celebrò la sua prima Messa.

Fu sacerdote zelante ed instancabile lavoratore nella vigna del Signore. Visti gli scarsi frutti che ottenuti dal pulpito, si diede alla pubblicazione di fogli volanti, che egli stesso faceva scivolare sotto gli usci delle case o affiggeva ai muri, meritandosi per questa originale attività pubblicitaria il titolo di patrono dei giornalisti e di quanti diffondono la verità cristiana servendosi dei mezzi di comunicazione sociale. Ma anche quei foglietti, che egli cacciava sotto le porte delle case, ebbero scarsa efficacia.

Spinto da un enorme desiderio di salvaguardare l’ortodossia cristiana, mentre imperversava la Riforma calvinista, Francois chiese volontariamente udienza al Vescovo di Ginevra affinché lo destinasse a quella città, simbolo supremo del calvinismo e massima sede dei riformatori, per la difficile missione di predicatore cattolico. Stabilitosi a Ginevra, non si fece remore a discutere di teologia con i protestanti, ardendo dal desiderio di recuperare quante più anime possibili alla Chiesa, ma soprattutto alla causa di Cristo da lui ritenuta più genuina.

Il suo costante pensiero era rivolto inoltre alla condizione dei laici, preoccupato di sviluppare una predicazione e un modello di vita cristiana alla portata anche delle persone comuni, immerse nella difficile vita quotidiana. Proverbiali divennero i suoi insegnamenti, pervasi di comprensione e di dolcezza, permeati dalla ferma convinzione che a supporto delle azioni umane vi fosse sempre la provvidenziale presenza divina. Molti dei suoi insegnamenti sono infatti intrisi di misticismo e di nobile elevazione spirituale.I suoi enormi sforzi ed i grandi successi ottenuti in termini pastorali gli meritarono la nomina a Vescovo coadiutore di Ginevra già nel 1599, a trentadue anni di età e dopo soli sei anni di sacerdozio.

Dopo altri tre anni divenne Vescovo a pieno titolo e si spese per l’introduzione nella sua diocesi delle riforme promulgate dal Concilio di Trento. La città rimase comunque nel suo complesso in mano ai riformati ed il novello Vescovo dovette trasferire la sua sede nella cittadina savoiarda di Annecy, “Venezia delle Alpi”, sulle rive del lago omonimo.

Fu direttore spirituale di San Vincenzo de’ Paoli. Nel corso della sua missione di predicatore, nel 1604 conobbe poi a Dijon la nobildonna Giovanna Francesca Frèmiot, vedova del barone de Chantal, con cui iniziò una corrispondenza epistolare ed una profonda amicizia che sfociarono nella fondazione dell’Ordine della Visitazione.

“Se sbaglio, voglio sbagliare piuttosto per troppa bontà che per troppo rigore”: in questa affermazione di Francois de Sales sta il segreto della simpatia che egli seppe suscitare tra i suoi contemporanei.

Il duca di Savoia, dal quale Francesco dipendeva politicamente, sostenne l’opera dell’inascoltato apostolo con la maniera forte, ma non addicendosi l’intolleranza al temperamento del Santo, quest’ultimo preferì portare avanti la sua battaglia per l’ortodossia con il metodo della carità, illuminando le coscienze con gli scritti, per i quali ha avuto il titolo di dottore della Chiesa. Le sue principali opere furono dunque “Introduzione alla vita devota” e “Trattato dell'amore di Dio”, testi fondamentali della letteratura religiosa di tutti i tempi. Quello dell’amore di Dio fu l’argomento con il quale convinse i recalcitranti ugonotti a tornare in seno alla Chiesa Cattolica.

L’11 dicembre 1622 a Lione ebbe l’ultimo colloquio con la sua penitente e qui morì per un attacco di apoplessia il 28 dello stesso mese nella stanzetta del cappellano delle Suore della Visitazione presso il monastero. Il 24 gennaio 1623 il corpo mortale del Santo fu traslato ad Annecy, nella chiesa oggi a lui dedicata, ma in seguito fu posto alla venerazione dei fedeli nella basilica della Visitation, sulla collina adiacente alla città, accanto a Santa Giovanna Francesca di Chantal.Francesco di Sales fu presto beatificato il 8 gennaio 1662 e già tre anni dopo venne canonizzato il 19 aprile 1665 dal pontefice Alessandro VII. Successivamente fu proclamato Dottore della Chiesa nel 1877, nonché patrono dei giornalisti nel 1923.

Il Martyrologium Romanum riporta la sua commemorazione nell’anniversario della morte, cioè al 28 dicembre, ma per l’inopportuna coincidenza con il tempo di Natale, il calendario liturgico della Chiesa universale ha fissato la sua memoria obbligatoria al 24 gennaio, anniversario della traslazione delle reliquie.

San Francesco di Sales, considerato quale padre della spiritualità moderna, ha avuto il merito di influenzare le maggiori figure non solo del “grand siècle” francese, ma anche di tutto il Seicento europeo, riuscendo a convertire al cattolicesimo addirittura alcuni esponenti del calvinismo. Francesco di Sales a ragione può essere considerato uno dei principali rappresentanti dell’umanesimo devoto di tipica marca francese. Fu un Vescovo Santo, innamorato della bellezza e della bontà di Dio.

È infine doveroso ricordare come al suo nome si siano ispirate parecchie congregazioni, tra le quali la più celebre è indubbiamente la Famiglia Salesiana fondata da San Giovanni Bosco, la cui attenzione si rivolge più che altro alla crescita ed all’educazione delle giovani generazioni, con un’attenzione tutta particolare alla cura dei figli delle classi meno abbienti.

DALLA “INTRODUZIONE ALLA VITA DEVOTA”

Nella creazione Dio comandò alle piante di produrre i loro frutti, ognuna “secondo la propria specie” (Gn 1,11). Lo stesso comando rivolge ai cristiani, che sono le piante vive della sua Chiesa, perché producano frutti di devozione, ognuno secondo il suo stato e la sua condizione.

La devozione deve essere praticata in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla donna non sposata e da quella coniugata. Ciò non basta, bisogna anche accordare la pratica della devozione alle forze, agli impegni e ai doveri di ogni persona.

Dimmi, Filotea, sarebbe conveniente se il Vescovo volesse vivere in una solitudine simile a quella dei certosini? E se le donne sposate non volessero possedere nulla come i cappuccini? Se l’artigiano passasse tutto il giorno in chiesa come il religioso, e il religioso si esponesse a qualsiasi incontro per servire il prossimo come è dovere del Vescovo? Questa devozione non sarebbe ridicola, disordinata e inammissibile? Questo errore si verifica tuttavia molto spesso.

No, Filotea, la devozione non distrugge nulla quando è sincera, ma anzi perfeziona tutto e, quando contrasta con gli impegni di qualcuno, è senza dubbio falsa.

L’ape trae il miele dai fiori senza sciuparli, lasciandoli intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non reca pregiudizio ad alcun tipo di vocazione o di occupazione, ma al contrario vi aggiunge bellezza e prestigio.

Tutte le pietre preziose, gettate nel miele, diventano più splendenti, ognuna secondo il proprio colore, così ogni persona si perfeziona nella sua vocazione, se l’unisce alla devozione. La cura della famiglia è rèsa più leggera, l’amore fra marito e moglie più sincero, il servizio del principe più fedele, e tutte le altre occupazioni più soavi e amabili.

È un errore, anzi un’eresia, voler escludere l’esercizio della devozione dall’ambiente militare, dalla bottega degli artigiani, dalla corte dei principi, dalle case dei coniugati.

È vero, Filotea, che la devozione puramente contemplativa, monastica e religiosa può essere vissuta solo in questi stati, ma oltre a questi tre tipi di devozione, ve ne sono molti altri capaci di rendere perfetti coloro che vivono in condizioni secolari.

Perciò dovunque ci troviamo, possiamo e dobbiamo aspirare alla vita perfetta.










_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
25/01/2012 09:58


25 Gennaio

Conversione di San Paolo
Per me vivere è Cristo, a cura di Antonio Maria Sicari


La festa della conversione di san Paolo ha una doppia motivazione: dedicargli un giorno particolare (dato che il 29 giugno egli è ricordato assieme a san Pietro) e celebrare un avvenimento che fu decisivo per la prima diffusione missionaria del cristianesimo. Infatti, fu nel giorno della sua conversione sulla via di Damasco che Paolo divenne “l’Apostolo delle Genti”. Lo rivelò Dio stesso al discepolo Anania, inviato a battezzare Paolo: “Egli è per me uno strumento eletto, per portare il mio Nome davanti ai popoli” (At 9,15). Ed è bello sottolineare che il calendario ricorda oggi anche sant’Anania di Damasco.

Ma ascoltiamo il racconto della conversione, dalla stessa bocca di Paolo: «Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso, una gran luce dal cielo rifulse attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo! Saulo! Perché mi perseguiti?”. Risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti!”» (At 23,14-15).

Fu nel breve tempo di questo intenso e lacerante dialogo che Paolo dovette piegarsi davanti alla misteriosa “identità” che gli si manifestava: Gesù il Nazareno era sia il Signore, sia “il vero perseguitato”. In quell’attimo Paolo comprese che la vicenda del Nazareno era una forza operante nella storia, una forza vittoriosa su ogni altro potere, una forza di salvezza che la sua Chiesa aveva ereditato per donarla al mondo intero. E si consegnò totalmente a Gesù e alla missione di predicare il Vangelo. “Per me, vivere è Cristo!”, diceva con entusiasmo. E il messaggio che non si stancò mai di ripetere fu questo: “Né morte né vita, né presente né avvenire, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore” (Rom 8,31.39).





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
26/01/2012 07:13


26 Gennaio

Santi Timoteo e Tito
Due figli fedeli, a cura di Antonio Maria Sicari




Timoteo, abitante di Listra (nel nord dell’attuale Turchia), incontrò l’Apostolo Paolo nell’anno 47 d.C. e si fece suo discepolo, collaborando con lui per vent’anni “nell’opera del Signore”. Accompagnò Paolo in Macedonia, poi a Tessalonica, a Corinto e ad Atene. Infine gli fu affidata l’importante comunità di Efeso, di cui fu vescovo. Paolo lo chiamava suo “vero figlio nella fede”. A lui sono indirizzate due “lettere pastorali” che Paolo gli scrisse per esortarlo ad essere un tenace difensore della verità e vero pastore della comunità. Gli raccomandava soprattutto la dolcezza: «Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; e segui i giovani come fossero tuoi fratelli» (1 Tim 5,1). Timoteo morì ad Efeso, martire durante la persecuzione di Domiziano. Fu sempre molto onorato in tutta la Chiesa.

Con lui fu onorato anche Tito, di origine pagana, anch’egli riconosciuto da Paolo come “mio vero figlio nella fede comune”. Lo seguì in Epiro e a Roma, poi si stabilì a Creta, dove morì in età avanzatissima. Anche a lui Paolo scrisse una lettera-testamento nella quale traccia il profilo di un vero pastore della Chiesa che sa vivere «nel secolo presente, con sapienza, giustizia e pietà, in attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo» (Tit 2,12-13). La lettera è importante anche perché vi è documentata la prima organizzazione delle comunità cristiane. A lui l’Apostolo trasmise la bella esortazione ad «annunciare la misericordia di Dio per la quale siamo rigenerati nello Spirito Santo, effuso su di noi abbondantemente» (Tit 3,4-6).

Papa Benedetto XVI ha presentato le loro due figure dicendo che Timoteo e Tito «ci insegnano a servire il Vangelo con generosità e a essere i primi nelle opere buone».





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
28/01/2012 07:23


28 Gennaio


San Tommaso d'Aquino

Angelico Dottore, a cura di Antonio Maria Sicari



Tommaso nacque a Roccasecca di Aquino nel 1225, da famiglia imparentata con le principali case regnanti d’Europa. Da bambino fu educato nell’abbazia di Montecassino, ma il ragazzo era attratto dagli studi e ottenne di poter frequentare l’Università di Napoli. Qui conobbe i Domenicani ed entrò a far parte di quel “nuovo” Ordine di “frati mendicanti”. La famiglia reagì duramente, facendo rapire Tommaso e imprigionandolo in un castello, dove i fratelli tentarono in ogni modo di dissuaderlo. Riuscì a fuggire e i superiori lo inviarono all’università di Colonia, alla scuola di s. Alberto Magno. Passò in seguito all’università di Parigi, dove divenne maestro in Teologia. Con l’aiuto di un confratello, che gli traduceva dal greco Aristotele, s’impegnò in un lavoro immenso per mostrare l’accordo tra ragione e fede, tra filosofia e teologia.

Il frutto più maturo dei suoi studi fu la Summa theologiae. In lui la riflessione si accompagnava alla contemplazione e la contemplazione si accompagnava alla passione per trasmettere agli altri le verità contemplate. Fu Tommaso a comporre, con cuore ardente, i preziosi inni eucaristici che ancor oggi si usano nella preghiera liturgica. Invitato dal papa al Concilio di Lione, durante il viaggio, morì a Fossanova a soli quarantanove anni.

Poco prima di morire, dopo un’esperienza mistica avuta celebrando la santa Messa, confidò a un suo confratello: «Quello che ho scritto è solo paglia rispetto a quanto ho visto». Quando si dovette decidere se proclamarlo santo, a chi obiettava che Tommaso non aveva compiuto in vita nessun miracolo, papa Giovanni XXII rispose: “Quante affermazioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece!”<7i>, a indicare la sintesi prodigiosa d’intelletto e di amore con cui egli aveva composto le sue opere. E gli venne riconosciuto il titolo di “Dottore Angelico”.



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
28/01/2012 20:53



San Tommaso d'Aquino

Sacerdote e dottore della Chiesa

Roccasecca, Frosinone, 1225 circa – Fossanova, Latina, 7 marzo 1274



di Antonio Borrelli



Domenicano (1244), formatosi nel monastero di Montecassino e nelle grandi scuole del tempo, e divenuto maestro negli studi di Parigi, Orvieto, Roma, Viterbo e Napoli, impresse al suo insegnamento un orientamento originale e sapientemente innovatore. Affidò a molti scritti impegnati e specialmente alla celebre ‘Summa’ la sistemazione geniale della dottrina filosofica e teologica raccolta dalla tradizione. Ha esercitato un influsso determinante sull’indirizzo del pensiero filosofico e della ricerca teologica nelle scuole dei secoli seguenti. (Mess. Rom.)



Patronato: Teologi, Accademici, Librai, Scolari, Studenti

Etimologia: Tommaso = gemello, dall'ebraico

Emblema: Bue, Stella



Martirologio Romano: Memoria di San Tommaso d’Aquino, sacerdote dell’Ordine dei Predicatori e dottore della Chiesa, che, dotato di grandissimi doni d’intelletto, trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato Papa Gregorio X a partecipare al secondo Concilio Ecumenico di Lione, morì il 7 marzo lungo il viaggio nel monastero di Fossanova nel Lazio e dopo molti anni il suo corpo fu in questo giorno traslato a Tolosa. (7 marzo: Nel monastero cistercense di Fossanova nel Lazio, transito di San Tommaso d’Aquino, la cui memoria si celebra il 28 gennaio).



Quando Papa Giovanni XXII nel 1323, iscrisse Tommaso d’Aquino nell’Albo dei Santi, a quanti obiettavano che egli non aveva compiuto grandi prodigi, né in vita né dopo morto, il Papa rispose con una famosa frase: “Quante preposizioni teologiche scrisse, tanti miracoli fece”.

E questo, è il riconoscimento più grande che si potesse dare al grande teologo e Dottore della Chiesa, che con la sua “Summa teologica”, diede sistematicamente un fondamento scientifico, filosofico e teologico alla dottrina cristiana.

Origini, oblato a Montecassino, studente a Napoli

Tommaso, nacque all’incirca nel 1225 nel castello di Roccasecca (Frosinone) nel Basso Lazio, che faceva parte del feudo dei conti d’Aquino; il padre Landolfo, era di origine longobarda e vedovo con tre figli, aveva sposato in seconde nozze Teodora, napoletana di origine normanna; dalla loro unione nacquero nove figli, quattro maschi e cinque femmine, dei quali Tommaso era l’ultimo dei maschi.

Secondo il costume dell’epoca, il bimbo a cinque anni, fu mandato come “oblato” nell’Abbazia di Montecassino; l’oblatura non contemplava che il ragazzo, giunto alla maggiore età, diventasse necessariamente un monaco, ma era semplicemente una preparazione, che rendeva i candidati idonei a tale scelta.

Verso i 14 anni, Tommaso che si trovava molto bene nell’abbazia, fu costretto a lasciarla, perché nel 1239 fu occupata militarmente dall’imperatore Federico II, allora in contrasto con il Papa Gregorio IX, e che mandò via tutti i monaci, tranne otto di origine locale, riducendone così la funzionalità; l’abate accompagnò personalmente l’adolescente Tommaso dai genitori, raccomandando loro di farlo studiare presso l’Università di Napoli, allora sotto la giurisdizione dell’imperatore.

A Napoli frequentò il corso delle Arti liberali, ed ebbe l’opportunità di conoscere alcuni scritti di Aristotele, allora proibiti nelle Facoltà ecclesiastiche, intuendone il grande valore.

Domenicano; incomprensioni della famiglia

Inoltre conobbe nel vicino convento di San Domenico, i frati Predicatori e ne restò conquistato per il loro stile di vita e per la loro profonda predicazione; aveva quasi 20 anni, quando decise di entrare nel 1244 nell’Ordine Domenicano; i suoi superiori intuito il talento del giovane, decisero di mandarlo a Parigi per completare gli studi.

Intanto i suoi familiari, specie la madre Teodora rimasta vedova, che sperava in lui per condurre gli affari del casato, rimasero di stucco per questa scelta; pertanto la castellana di Roccasecca, chiese all’imperatore che si trovava in Toscana, di dare una scorta ai figli, che erano allora al suo servizio, affinché questi potessero bloccare Tommaso, già in viaggio verso Parigi.

I fratelli poterono così fermarlo e riportarlo verso casa, sostando prima nel castello paterno di Monte San Giovanni, dove Tommaso fu chiuso in una cella; il sequestro durò complessivamente un anno; i familiari nel contempo, cercarono in tutti i modi di farlo desistere da quella scelta, ritenuta non consona alla dignità della casata.

Arrivarono perfino ad introdurre una sera, una bellissima ragazza nella cella, per tentarlo nella castità; ma Tommaso di solito pacifico, perse la pazienza e con un tizzone ardente in mano, la fece fuggire via. La castità del giovane domenicano era proverbiale, tanto da meritare in seguito il titolo di “Dottore Angelico”.

Su questa situazione i racconti della ‘Vita’, divergono, si dice che Papa Innocenzo IV, informato dai preoccupati Domenicani, chiese all’imperatore di liberarlo e così tornò a casa; altri dicono che Tommaso riuscì a fuggire; altri che Tommaso ricondotto a casa della madre, la quale non riusciva ad accettare che un suo figlio facesse parte di un Ordine ‘mendicante’, resistette a tutti i tentativi fatti per distoglierlo, tanto che dopo un po’ anche la sorella Marotta, passò dalla sua parte e in seguito diventò monaca e badessa nel monastero di Santa Maria a Capua; infine anche la madre si convinse, permettendo ai domenicani di far visita al figlio e dopo un anno di quella situazione. lo lasciò finalmente partire.

Studente a Colonia con San Alberto Magno

Ritornato a Napoli, il Superiore Generale, Giovanni il Teutonico, ritenne opportuno anche questa volta, di trasferirlo all’estero per approfondire gli studi; dopo una sosta a Roma, Tommaso fu mandato a Colonia dove insegnava Sant’Alberto Magno (1193-1280), domenicano, filosofo e teologo, vero iniziatore dell’aristotelismo medioevale nel mondo latino e uomo di cultura enciclopedica.

Tommaso divenne suo discepolo per quasi cinque anni, dal 1248 al 1252; si instaurò così una feconda convivenza tra due geni della cultura; risale a questo periodo l’offerta fattagli da Papa Innocenzo IV di rivestire la carica di abate di Montecassino, succedendo al defunto abate Stefano II, ma Tommaso che nei suoi principi rifuggiva da ogni carica nella Chiesa, che potesse coinvolgerlo in affari temporali, rifiutò decisamente, anche perché amava oltremodo restare nell’Ordine Domenicano.

A Colonia per il suo atteggiamento silenzioso, fu soprannominato dai compagni di studi “il bue muto”, riferendosi anche alla sua corpulenza; San Alberto Magno venuto in possesso di alcuni appunti di Tommaso, su una difficile questione teologica discussa in una lezione, dopo averli letti, decise di far sostenere allo studente italiano una disputa, che Tommaso seppe affrontare e svolgere con intelligenza.

Stupito, il Maestro davanti a tutti esclamò: “Noi lo chiamiamo bue muto, ma egli con la sua dottrina emetterà un muggito che risuonerà in tutto il mondo”.

Sacerdote; Insegnante all’Università di Parigi; Dottore in Teologia
Nel 1252, da poco ordinato sacerdote, Tommaso d’Aquino, fu indicato dal suo grande maestro ed estimatore San Alberto, quale candidato alla Cattedra di “baccalarius biblicus” all’Università di Parigi, rispondendo così ad una richiesta del Generale dell’Ordine, Giovanni di Wildeshauen.

Tommaso aveva appena 27 anni e si ritrovò ad insegnare a Parigi sotto il Maestro Elia Brunet, preparandosi nel contempo al dottorato in Teologia.

Ogni Ordine religioso aveva diritto a due cattedre, una per gli studenti della provincia francese e l’altra per quelli di tutte le altre province europee; Tommaso fu destinato ad essere “maestro degli stranieri”.

Ma la situazione all’Università parigina non era tranquilla in quel tempo; i professori parigini del clero secolare, erano in lotta contro i colleghi degli Ordini mendicanti, scientificamente più preparati, ma considerati degli intrusi nel mondo universitario; e quando nel 1255-56, Tommaso divenne Dottore in Teologia a 31 anni, gli scontri fra Domenicani e clero secolare, impedirono che potesse salire in cattedra per insegnare; in questo periodo Tommaso difese i diritti degli Ordini religiosi all’insegnamento, con un celebre e polemico scritto: “Contra impugnantes”; ma furono necessari vari interventi del Papa Alessandro IV, affinché la situazione si sbloccasse in suo favore.

Nell’ottobre 1256 poté tenere la sua prima lezione, grazie al cancelliere di Notre-Dame, Americo da Veire, ma passò ancora altro tempo, affinché il professore italiano fosse formalmente accettato nel Corpo Accademico dell’Università.

Già con il commento alle “Sentenze” di Pietro Lombardo, si era guadagnato il favore e l’ammirazione degli studenti; l’insegnamento di Tommaso era nuovo; professore in Sacra Scrittura, organizzava in modo insolito l’argomento con nuovi metodi di prova, nuovi esempi per arrivare alla conclusione; egli era uno spirito aperto e libero, fedele alla dottrina della Chiesa e innovatore allo stesso tempo.

“Già sin d’allora, egli divideva il suo insegnamento secondo un suo schema fondamentale, che contemplava tutta la creazione, che, uscita dalle mani di Dio, vi faceva ora ritorno per rituffarsi nel suo amore” (Enrico Pepe, Martiri e Santi, Città Nuova, 2002).

A Parigi, Tommaso d’Aquino, dietro invito di San Raimondo di Peñafort, già Generale dell’Ordine Domenicano, iniziò a scrivere un trattato teologico, intitolato “Summa contra Gentiles”, per dare un valido ausilio ai missionari, che si preparavano per predicare in quei luoghi, dove vi era una forte presenza di ebrei e musulmani.

Il ritorno in Italia; collaboratore di pontefici

All’Università di Parigi, Tommaso rimase per tre anni; nel 1259 fu richiamato in Italia dove continuò a predicare ed insegnare, prima a Napoli nel convento culla della sua vocazione, poi ad Anagni dov’era la curia pontificia (1259-1261), poi ad Orvieto (1261-1265), dove il Papa Urbano IV fissò la sua residenza dal 1262 al 1264.

Il pontefice si avvalse dell’opera dell’ormai famoso teologo, residente nella stessa città umbra; Tommaso collaborò così alla compilazione della “Catena aurea” (commento continuo ai quattro Vangeli) e sempre su richiesta del Papa, impegnato in trattative con la Chiesa Orientale, Tommaso approfondì la sua conoscenza della teologia greca, procurandosi le traduzioni in latino dei padri greci e quindi scrisse un trattato “Contra errores Graecorum”, che per molti secoli esercitò un influsso positivo nei rapporti ecumenici.

Sempre nel periodo trascorso ad Orvieto, Tommaso ebbe dal Papa l’incarico di scrivere la liturgia e gli inni della festa del Corpus Domini, istituita l’8 settembre 1264, a seguito del miracolo eucaristico, avvenuto nella vicina Bolsena nel 1263, quando il sacerdote boemo Pietro da Praga, che nutriva dubbi sulla transustanziazione, vide stillare copioso sangue, dall’ostia consacrata che aveva fra le mani, bagnando il corporale, i lini e il pavimento.

Fra gli inni composti da Tommaso d’Aquino, dove il grande teologo profuse tutto il suo spirito poetico e mistico, da vero cantore dell’Eucaristia, c’è il famoso “Pange, lingua, gloriosi Corporis mysterium”, di cui due strofe inizianti con “Tantum ergo”, si cantano da allora ogni volta che si impartisce la benedizione col SS. Sacramento.

Nel 1265 fu trasferito a Roma, a dirigere lo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, che aveva sede nel convento di Santa Sabina; nei circa due anni trascorsi a Roma, Tommaso ebbe il compito di organizzare i corsi di teologia per gli studenti della Provincia Romana dei Domenicani.

La “Summa theologiae”; affiancato da p. Reginaldo

A Roma, si rese conto che non tutti gli allievi erano preparati per un corso teologico troppo impegnativo, quindi cominciò a scrivere per loro una “Summa theologiae”, per “presentare le cose che riguardano la religione cristiana, in un modo che sia adatto all’istruzione dei principianti”.

La grande opera teologica, che gli darà fama in tutti i secoli successivi, fu divisa in uno schema a lui caro, in tre parti: la prima tratta di Dio uno e trino e della “processione di tutte le creature da Lui”; la seconda parla del “movimento delle creature razionali verso Dio”; la terza presenta Gesù “che come uomo è la via attraverso cui torniamo a Dio”. L’opera iniziata a Roma nel 1267 e continuata per ben sette anni, fu interrotta improvvisamente il 6 dicembre 1273 a Napoli, tre mesi prima di morire.

Intanto Tommaso d’Aquino, per i suoi continui trasferimenti, non poteva più vivere una vita di comunità, secondo il carisma di San Domenico di Guzman e ciò gli procurava difficoltà; i suoi superiori pensarono allora di affiancargli un frate di grande valore, sacerdote e lettore in teologia, fra Reginaldo da Piperno; questi ebbe l’incarico di assisterlo in ogni necessità, seguendolo ovunque, confessandolo, servendogli la Messa, ascoltandolo e consigliandolo; in altre parole i due domenicani vennero a costituire una piccola comunità, dove potevano quotidianamente confrontarsi.

Nel 1267, Tommaso dovette mettersi di nuovo in viaggio per raggiungere a Viterbo Papa Clemente IV, suo grande amico, che lo volle collaboratore nella nuova residenza Papale; il pontefice lo voleva poi come arcivescovo di Napoli, ma egli decisamente rifiutò.

Per tre anni di nuovo a Parigi e poi ritorno a Napoli

Nel decennio trascorso in Italia, in varie località, Tommaso compose molte opere, fra le quali, oltre quelle già menzionate prima, anche “De unitate intellectus”; “De Redimine principum” (trattato politico, rimasto incompiuto); le “Quaestiones disputatae, ‘De potentia’ e ‘De anima’” e buona parte del suo capolavoro, la già citata “Summa teologica”, il testo che avrebbe ispirato la teologia cattolica fino ai nostri tempi.

All’inizio del 1269 fu richiamato di nuovo a Parigi, dove all’Università era ripreso il contrasto fra i maestri secolari e i maestri degli Ordini mendicanti; occorreva la presenza di un teologo di valore per sedare gli animi.

A Parigi, Tommaso, oltre che continuare a scrivere le sue opere, ben cinque, e la continuazione della Summa, dovette confutare con altri celebri scritti, gli avversari degli Ordini mendicanti da un lato e dall’altro difendere il proprio aristotelismo nei confronti dei Francescani, fedeli al neoplatonismo agostiniano, e soprattutto confutò alcuni errori dottrinari, dall’averroismo, alle tesi eterodosse di Sigieri di Brabante sull’origine del mondo, sull’anima umana e sul libero arbitrio.

Nel 1272 ritornò in Italia, a Napoli, facendo sosta a Montecassino, Roccasecca, Molara; Ceccano; nella capitale organizzò, su richiesta di Carlo I d’Angiò, un nuovo “Studium generale” dell’Ordine Domenicano, insegnando per due anni al convento di San Domenico, il cui Studio teologico era incorporato all’Università.

Qui intraprese la stesura della terza parte della Summa, rimasta interrotta e completata dopo la sua morte dal fedele collaboratore fra Reginaldo, che utilizzò la dottrina di altri suoi trattati, trasferendone i dovuti paragrafi.

L’interruzione radicale del suo scrivere

Tommaso aveva goduto sempre di ottima salute e di un’eccezionale capacità di lavoro; la sua giornata iniziava al mattino presto, si confessava a Reginaldo, celebrava la Messa e poi la serviva al suo collaboratore; il resto della mattinata trascorreva fra le lezioni agli studenti e segretari e il prosieguo dei suoi studi; altrettanto faceva nelle ore pomeridiane dopo il pranzo e la preghiera, di notte continuava a studiare, poi prima dell’alba si recava in chiesa per pregare, avendo l’accortezza di mettersi a letto un po’ prima della sveglia per non farsi notare dai confratelli.

Ma il 6 dicembre 1273 gli accadde un fatto strano, mentre celebrava la Messa, qualcosa lo colpì nel profondo del suo essere, perché da quel giorno la sua vita cambiò ritmo e non volle più scrivere né dettare altro.

Ci furono vari tentativi da parte di padre Reginaldo, di fargli dire o confidare il motivo di tale svolta; solo più tardi Tommaso gli disse: “Reginaldo, non posso, perché tutto quello che ho scritto è come paglia per me, in confronto a ciò che ora mi è stato rivelato”, aggiungendo: “L’unica cosa che ora desidero, è che Dio dopo aver posto fine alla mia opera di scrittore, possa presto porre termine anche alla mia vita”.

Anche il suo fisico risentì di quanto gli era accaduto quel 6 dicembre, non solo smise di scrivere, ma riusciva solo a pregare e a svolgere le attività fisiche più elementari.

I doni mistici

La rivelazione interiore che l’aveva trasformato, era stata preceduta, secondo quanto narrano i suoi primi biografi, da un mistico colloquio con Gesù; infatti mentre una notte era in preghiera davanti al Crocifisso (oggi venerato nell’omonima Cappella, della grandiosa Basilica di S. Domenico in Napoli), egli si sentì dire “Tommaso, tu hai scritto bene di me. Che ricompensa vuoi?” e lui rispose: “Nient’altro che te, Signore”.

Ed ecco che quella mattina di dicembre, Gesù Crocifisso lo assimilò a sé, il “bue muto di Sicilia” che fino allora aveva sbalordito il mondo con il muggito della sua intelligenza, si ritrovò come l’ultimo degli uomini, un servo inutile che aveva trascorso la vita ammucchiando paglia, di fronte alla sapienza e grandezza di Dio, di cui aveva avuto sentore.

Il suo misticismo, è forse poco conosciuto, abbagliati come si è dalla grandezza delle sue opere teologiche; celebrava la Messa ogni giorno, ma era così intensa la sua partecipazione, che un giorno a Salerno fu visto levitare da terra.

Le sue tante visioni hanno ispirato ai pittori un attributo, è spesso raffigurato nei suoi ritratti, con una luce raggiata sul petto o sulla spalla.

Sempre più ammalato; in viaggio per Lione

Con l’intento di staccarsi dall’ambiente del suo convento napoletano, che gli ricordava continuamente studi e libri, in compagnia di Reginaldo, si recò a far visita ad una sorella, contessa Teodora di San Severino; ma il soggiorno fu sconcertante, Tommaso assorto in una sua interiore estasi, non riuscì quasi a proferire parola, tanto che la sorella dispiaciuta, pensò che avesse perduto la testa e nei tre giorni trascorsi al castello, fu circondato da cure affettuose.
Ritornò poi a Napoli, restandovi per qualche settimana ammalato; durante la malattia, due religiosi videro una grande stella entrare dalla finestra e posarsi per un attimo sul capo dell’ammalato e poi scomparire di nuovo, così come era venuta.

Intanto nel 1274, dalla Francia Papa Gregorio X, ignaro delle sue condizioni di salute, lo invitò a partecipare al Concilio di Lione, indetto per promuovere l’unione fra Roma e l’Oriente; Tommaso volle ancora una volta obbedire, pur essendo cosciente delle difficoltà per lui di intraprendere un viaggio così lungo.

Partì in gennaio, accompagnato da un gruppetto di frati domenicani e da Reginaldo, che sperava sempre in una ripresa del suo maestro; a complicare le cose, lungo il viaggio ci fu un incidente, scendendo da Teano, Tommaso si ferì il capo urtando contro un albero rovesciato.
Giunti presso il castello di Maenza, dove viveva la nipote Francesca, la comitiva si fermò per qualche giorno, per permettere a Tommaso di riprendere le forze, qui si ammalò nuovamente, perdendo anche l’appetito; si sa che quando i frati per invogliarlo a mangiare gli chiesero cosa desiderasse, egli rispose: “le alici”, come quelle che aveva mangiato anni prima in Francia.

La sua fine nell’abbazia di Fossanova

Tutte le cure furono inutili, sentendo approssimarsi la fine, Tommaso chiese di essere portato nella vicina abbazia di Fossanova, dove i monaci cistercensi l’accolsero con delicata ospitalità; giunto all’abbazia nel mese di febbraio, restò ammalato per circa un mese.

Prossimo alla fine, tre giorni prima volle ricevere gli ultimi sacramenti, fece la confessione generale a Reginaldo, e quando l’abate Teobaldo gli portò la Comunione, attorniato dai monaci e amici dei dintorni, Tommaso disse alcuni concetti sulla presenza reale di Gesù nell’Eucaristia, concludendo: “Ho molto scritto ed insegnato su questo Corpo Sacratissimo e sugli altri sacramenti, secondo la mia fede in Cristo e nella Santa Romana Chiesa, al cui giudizio sottopongo tutta la mia dottrina”.

Il mattino del 7 marzo 1274, il grande teologo morì, a soli 49 anni; aveva scritto più di 40 volumi.

Il suo insegnamento teologico

La sua vita fu interamente dedicata allo studio e all’insegnamento; la sua produzione fu immensa; due vastissime “Summe”, commenti a quasi tutte le opere aristoteliche, opere di esegesi biblica, commentari a Pietro Lombardo, a Boezio e a Dionigi l’Areopagita , 510 “Questiones disputatae”, 12 “Quodlibera”, oltre 40 opuscoli.

Tommaso scriveva per i suoi studenti, perciò il suo linguaggio era chiaro e convincente, il discorso si svolgeva secondo le esigenze didattiche, senza lasciare zone d’ombra, concetti non ben definiti o non precisati.

Egli si rifaceva anche nello stile al modello aristotelico, e rimproverava ai platonici il loro linguaggio troppo simbolico e metafisico.

Ciò nonostante alcune tesi di Tommaso d’Aquino, così radicalmente innovatrici, fecero scalpore e suscitarono le più vivaci reazioni da parte dei teologi contemporanei; San Alberto Magno intervenne più volte in favore del suo antico discepolo, nonostante ciò nel 1277 si arrivò alla condanna da parte del vescovo E. Tempier a Parigi, e a Oxford sotto la pressione dell’arcivescovo di Canterbury, R. Kilwardby; le condanne furono ribadite nel 1284 e nel 1286 dal successivo arcivescovo J. Peckham.

L’Ordine Domenicano, si impegnò nella difesa del suo più grande maestro e nel 1278 dichiarò il “Tomismo” dottrina ufficiale dell’Ordine. Ma la condanna fu abrogata solo nel 1325, due anni dopo che Papa Giovanni XXII ad Avignone, l’aveva proclamato Santo il 18 luglio 1323.

Il suo culto

Nel 1567 San Tommaso d’Aquino fu proclamato Dottore della Chiesa e il 4 agosto 1880, patrono delle scuole e università cattoliche.

La sua festa liturgica, da secoli fissata al 7 marzo, giorno del suo decesso, dopo il Concilio Vaticano II, che ha raccomandato di spostare le feste liturgiche dei Santi dal periodo quaresimale e pasquale, è stata spostata al 28 gennaio, data della traslazione del 1369.

Le sue reliquie sono venerate in vari luoghi, a seguito dei trasferimenti parziali dei suoi resti, inizialmente sepolti nella chiesa dell’abbazia di Fossanova, presso l’altare maggiore e poi per alterne vicende e richieste autorevoli, smembrati nel tempo; sono venerate a Fossanova, nel Duomo della vicina Priverno, nella chiesa di Saint-Sermain a Tolosa in Francia, portate lì nel 1369 dai Domenicani, su autorizzazione di Papa Urbano V, e poi altre a San Severino, su richiesta dalla sorella Teodora e da lì trasferite poi a Salerno; altre reliquie si trovano nell’antico convento dei Domenicani di Napoli e nel Duomo della città.

A chiusura di questa necessariamente incompleta scheda, si riporta il bellissimo inno eucaristico, dove San Tommaso profuse tutto il suo amore e la fede nel mistero dell’Eucaristia.


“Pange lingua” di S. Tommaso d’Aquino (Testo latino)

Pange língua gloriósi
Córporis mystérium,
Sanguinísque pretiósi,
Quem in mundi prétium
fructus ventris generósi
Rex effúdit géntium.

Nobis datus, nobis natus
ex intácta Vírgine,
et in mundo conversátus,
sparso verbi sémine,
sui moras incolátus
miro cláusit órdine.

In suprémae nocte cenae
recúmbens cum frátribus,
observáta lege plene
cibis in legálibus,
cibum turbae duodénae
se dat suis mánibus.

Verbum caro panem verum
verbo carnem éfficit:
fitque sanguis Christi merum.
Et si sensus déficit,
ad firmándum cor sincérum
sola fides súfficit.

Tantum ergo Sacraméntum
venerémur cérnui:
et antícuum documéntum
novo cedat rítui:
praestet fides suppleméntum
sénsuum deféctui.

Genitóri, Genitóque
laus et jubilátio,
salus, hónor, virtus quoque
sit et benedíctio:
procedénti ad utróque
cómpar sit laudátio.

Amen.


“Pange lingua” (Traduzione italiana)

Canta, o mia lingua,
il mistero del corpo glorioso
e del sangue prezioso
che il Re delle nazioni,
frutto benedetto di un grembo generoso,
sparse per il riscatto del mondo.

Si è dato a noi, nascendo per noi
da una Vergine purissima,
visse nel mondo spargendo
il seme della sua parola
e chiuse in modo mirabile
il tempo della sua dimora quaggiù.

Nella notte dell'ultima Cena,
sedendo a mensa con i suoi fratelli,
dopo aver osservato pienamente
le prescrizioni della legge,
si diede in cibo agli apostoli
con le proprie mani.

Il Verbo fatto carne cambia con la sua parola
il pane vero nella sua carne
e il vino nel suo sangue,
e se i sensi vengono meno,
la fede basta per rassicurare
un cuore sincero.

Adoriamo, dunque, prostrati
un sì gran sacramento;
l'antica legge
ceda alla nuova,
e la fede supplisca
al difetto dei nostri sensi.

Gloria e lode,
salute, onore,
potenza e benedizione
al Padre e al Figlio:
pari lode sia allo Spirito Santo,
che procede da entrambi.
Amen.








_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
30/01/2012 11:29


Santa Martina

dal Martirologio

A Roma, commemorazione di santa Martina, sotto il cui titolo il papa Dono dedicò una basilica nel foro romano.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
31/01/2012 09:00



San Giovanni Bosco

Amare per educare, a cura di Antonio Maria Sicari



Nato nel 1815, a Castelnuovo d’Asti, da una famiglia contadina, Giovanni rimase orfano di padre a due anni e fu educato dalla mamma Margherita, che resterà poi sempre la sua più fedele collaboratrice. Abile nei giochi, da ragazzo intratteneva i coetanei per portarli poi all’istruzione cristiana. Divenne prete nel 1841, quando la città di Torino era in piena febbre di industrializzazione e attirava frotte di giovani che spesso restavano esposti al vizio e al crimine.

Per loro don Bosco fondò l’Oratorio, aperto a ragazzi d’ogni provenienza e qualità. Educatore nato, era assertore convinto del metodo preventivo: che consiste nel “saper ottenere tutto dagli allievi con l’amore e non con la forza”, accompagnandoli in modo da “saper prevenire le loro mancanze”. Dopo vari tentativi l’oratorio si stabilizzò a Valdocco. Ai ragazzi veniva dato alloggio e preparazione ai più vari mestieri.

Nel 1862 si contavano già oltre settecento ragazzi. Con un primo nucleo di confratelli, don Bosco costituì nel 1854 la Società di S. Francesco di Sales (detti poi Salesiani). A essi si aggiungeranno in seguito la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Meno ricordata oggi, ma d’incalcolabile importanza, fu anche l’attività di scrittore e di editore sviluppata dal santo, con notevole anticipo sui suoi tempi.

Alcuni suoi testi ebbero decine di edizioni e di traduzioni, quando don Bosco era ancora vivente. E un’enorme diffusione ebbero le Letture cattoliche, da lui periodicamente scelte e editate. Papa Pio XI che lo canonizzerà nel 1934 (e che l’aveva conosciuto personalmente da cardinale) disse di lui che aveva saputo “rendere ordinario ciò che era straordinario”. Quando morì, già l’opera di don Bosco contava sessantaquattro case, sparse in dodici nazioni, e più di mille religiosi.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
01/02/2012 05:02


1 Febbraio

Santa Brigida d'Irlanda

Un invito a Gesù, a cura di Antonio Maria Sicari



Oggi il calendario non ricorda nessun santo particolarmente noto a tutti i cristiani, ma solo delle figure ambientate in contesti locali. Tra tutte abbiamo scelto santa Brigida di Irlanda, vissuta nel VI secolo, per dei particolari che possono perfino divertire, a dimostrazione che, in fondo, la santità non ha paura della normalità. Prima, però, dobbiamo sottolineare che santa Brigida, poco conosciuta nei paesi latini, è invece molto celebre nella sua patria, dove la collocano subito dopo il patrono san Patrizio.
Fu la fondatrice dell’abbazia di Kildare, dove reggeva assieme sia il monastero femminile che quello maschile. In un mondo che aveva ancora forti radici pagane, Brigida rappresentava l’ideale di una femminilità forte, ma anche misericordiosa, e rispondeva al bisogno che i cristiani avevano di esperimentare anche la maternità della Chiesa. La vita di Brigida è costellata di prodigi, che esprimono una materna condiscendenza ai bisogni e alle necessità della gente, soprattutto dei pellegrini.
Tra i tanti miracoli che la tradizione ci ha tramandato, ce n’è uno tipicamente e simpaticamente irlandese: quello della “moltiplicazione” (se così si può dire) di un barile di birra, dal quale gli assetati di diciotto villaggi poterono spillare la desiderata bevanda per molti giorni. Ma perfino con un episodio così poco sacro è stato possibile trasmettere l’essenziale: un tenero amore per Gesù.
È stata, infatti, conservata questa gioiosa e infantile preghiera che la santa avrebbe pronunciato nell’occasione: “Vorrei un lago di birra per il Re dei Re, / Vorrei che la famiglia celeste fosse qui a berne per l’eternità, / Vorrei che ci fosse allegria nel berne / Vorrei che ci fosse qui anche Gesù”. In fondo la santità è appunto questo: amare Gesù “qui e ora”.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
02/02/2012 10:00


2 Febbraio


Presentazione del Signore

Abbracciare la luce, a cura di Antonio Maria Sicari



A quaranta giorni dal Natale, Gesù entra, per la prima volta “nella casa del Padre suo”. Portare al Tempio i primogeniti e riscattarli era una legge per gli ebrei, ma ora noi sappiamo che, in tutti i bambini, il Padre celeste attendeva da sempre il suo Primogenito. Possiamo anzi dire che Egli continua ad attendere Suo Figlio e ad accoglierLo, anche ora, in tutti i bambini che portiamo in Chiesa perché siano battezzati.
È sempre la stessa storia sacra che si ripete. Quel giorno l’attesa del Padre e di tutto il popolo d’Israele fu incarnata da due anziani “profeti”, Simeone e Anna. E oggi si celebra, appunto, la festa dell’Incontro, come la chiamano gli orientali: i due giovani Sposi, Maria e Giuseppe incontrano due anziani profeti del Vecchio Testamento e lasciano che essi possano abbracciare quel Bambino che hanno così a lungo desiderato. Poi nel Tempio risuona il canto di ringraziamento del vecchio Simeone: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo / vada in pace, secondo la tua parola, / perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza / preparata da te davanti a tutti i popoli / luce per rivelarti alle genti / e gloria del tuo popolo, Israele».
Come non ricordare qui, almeno per un istante, l’ultimo bellissimo quadro che Rembrandt morendo lasciò incompiuto, ancora posato sul cavalletto? Nel vecchio Simeone, quasi cieco, che stringe affettuosamente il Bambino tra le braccia, egli aveva voluto esprimere anche la sua gioia per la nipotina appena nata, che era giunta a rallegrargli una penosa vecchiaia. Nelle vicende di Gesù, siamo coinvolti tutti. Inoltre, quella di oggi è una festa che parla al cuore anche per la processione delle candele con cui vogliamo anche noi riconoscere nel Bambino che sopraggiunge come “luce delle genti”: la luce della nostra vita.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
03/02/2012 17:18



San Biagio di Sebaste

Pronto a venire in aiuto, a cura di Antonio Maria Sicari




Alla festa della presentazione di Gesù al Tempio (che abbiamo celebrato ieri), segue oggi in molte chiese un rito tradizionale, molto desiderato dai fedeli: la benedizione contro il mal di gola, col tocco delle candele che sono state usate durante la processione della luce e con l’invocazione: “Per intercessione di San Biagio, Vescovo e Martire, ti liberi il Signore dal male di gola e da ogni altro male”.
La devozione popolare a questo santo, di origine armena, vissuto nel III secolo, è legata a un miracolo da lui compiuto: uno di quei miracoli, mille volte desiderati dalle mamme, quando una lisca di pesce si conficca nella gola del bambino.
Di solito il dramma familiare si risolve con un rapido intervento, ma può accadere che ci voglia arte e santità. È quello che accadde al tempo del vescovo san Biagio (di lui si diceva che fosse anche medico!) quando una donna corse da lui disperata a mettergli tra le braccia il piccolo figlioletto che già faticava a respirare. E il santo subito lo guarì.
Per questo e per tanti altri prodigi, san Biagio – nonostante si abbiano di lui poche notizie storiche – divenne celebre, al punto che una sua statua si trova collocata anche su una guglia del duomo di Milano. E i milanesi di una volta conservavano sempre una piccola parte del panettone natalizio per consumarla nel giorno di s. Biagio.
Egli è stato uno dei santi più universalmente amati e invocati, perché lo si considerava “uno di quei Santi che sono sempre pronti a venire in aiuto”. Perciò sono innumerevoli i patronati a lui attribuiti (ovvio il fatto che sia patrono soprattutto degli specialisti otorinolaringoiatri). In alcune nazioni lo si invoca anche, in maniera tutta particolare, come protettore degli animali domestici.





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
04/02/2012 08:59


4 Febbraio

Giuseppe Da Leonessa

Farsi tutto a tutti, a cura di Antonio Maria Sicari




Nacque a Leonessa, in provincia di Rieti, nel 1556, da una famiglia di mercanti, ma rimase orfano a tredici anni, e fu affidato a uno zio. A sedici anni decise di entrare tra i cappuccini di Spoleto, dove studiò per diventare sacerdote.
Si dedicò a un intenso apostolato tra la povera gente dell'Umbria, dell'Abruzzo e del Lazio.
Ma il sogno ardente del suo cuore di apostolo era quello di recarsi missionario a Costantinopoli che, da un secolo ormai, era diventata capitale dell’impero turco. Giuseppe sapeva che molti cristiani di quelle terre erano stati ridotti in schiavitù e voleva dedicarsi alla loro assistenza. Finalmente ottenne il permesso dal papa e partì per quella difficile missione. Ma si lasciò trascinare dall’entusiasmo oltre ogni limite: a Costantinopoli si mise addirittura a predicare per le strade e nelle moschee e penetrò perfino nascostamente nel palazzo del sultano Murad III. Voleva imitare il suo santo patrono san Francesco che, nel lontano 1219, non aveva temuto di annunziare il Vangelo al sultano Malik-el-Kamil.
Giudicato pazzo venne arrestato e duramente torturato. Alla fine fu espulso dal paese e costretto a ritornare in patria. Riprese allora con lena infaticabile l’apostolato di prima, intensificandolo oltre misura: predicava anche più volte al giorno; assisteva i carcerati e i condannati a morte; aiutava i poveri, gli infermi, e i pellegrini, che a lui ricorrevano.
Realizzò per loro piccoli ospedali e ricoveri di fortuna. Istituì dei “Monti di pietà” per combattere l’usura e dei “Monti frumentari”, dove i contadini potevano ottenere in prestito le sementi. E benché stremato dalle fatiche apostoliche, non smise mai di condurre un’intensa vita di preghiera e di dedicarsi a continue e dure penitenze. Nel 1952 papa Pio XII lo ha proclamato patrono delle missioni in Turchia.





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
06/02/2012 11:18


Santi Paolo Miki e compagni

dal Martirologio




Memoria dei santi Paolo Miki e compagni, martiri, a Nagasaki in Giappone. Con l’aggravarsi della persecuzione contro i cristiani, otto tra sacerdoti e religiosi della Compagnia di Gesù e dell’Ordine dei Frati Minori, missionari europei o nati in Giappone, e diciassette laici, arrestati, subirono gravi ingiurie e furono condannati a morte. Tutti insieme, anche i ragazzi, furono messi in croce in quanto cristiani, lieti che fosse stato loro concesso di morire allo stesso modo di Cristo.

I loro nomi sono: santi Giovanni da Goto Soan, Giacomo Kisai, religiosi della Compagnia di Gesù; Pietro Battista Blázquez, Martino dell’Ascensione Aguirre, Francesco Blanco, sacerdoti dell’Ordine dei Frati Minori; Filippo di Gesù de Las Casas, Gonsalvo García, Francesco di San Michele de la Parilla, religiosi dello stesso Ordine; Leone Karasuma, Pietro Sukejiro, Cosma Takeja, Paolo Ibaraki, Tommaso Dangi, Paolo Suzuki,
catechisti; Ludovico Ibaraki, Antonio, Michele Kozaki e Tommaso, suo figlio, Bonaventura, Gabriele, Giovanni Kinuya, Mattia, Francesco de Meako, Gioacchino Sakakibara, Francesco Adaucto, neofiti.





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
07/02/2012 08:49


7 Febbraio


B. Anna Maria Adorni

Rosario vivente, a cura di Antonio Maria Sicari



Nella vita di Anna Maria Adorni – nata nel ducato di Parma, agli inizi dell'Ottocento – c’è un episodio che la fa rassomigliare a santa Teresa d’Avila: la fuga da casa, a 7 anni, assieme a una compagnetta, col desiderio di andare lontano lontano (la piccola sognava le Indie) per salvare anime. La situazione familiare non le permise subito di consacrarsi a Dio, come avrebbe desiderato, ma la vita coniugale e familiare fu da lei vissuta con pienezza di dedizione. Rimasta vedova a trentanove anni, decise di consacrarsi alla carità, pur restando nel mondo, dedicandosi all’assistenza volontaria nelle carceri femminili.
In tale opera seppe coinvolgere altre dame, fino a fondare una “Pia Unione di dame visitatrici delle carceri”. Al lavoro dentro il recinto carcerario, si affiancò poi la gestione di una “Casa del Buon Pastore” per le detenute che venivano dimesse e per altre donne in situazione di particolare pericolo o abbandono. Soltanto nel 1857 Anna Maria si decise a fondare una famiglia religiosa, dedita all’assistenza delle “donne cadute”.
Nacque così la Congregazione delle Ancelle dell’Immacolata, oggi diffuse in tutta Italia e nell’Europa dell’Est. A tutte le sue figlie e compagne, Madre Adorni dava esempio di dedizione senza limiti, ma riuscendo – come lei stessa gioiosamente affermava – a non interrompere mai la preghiera. Aveva fatto perfino il proposito di agire sempre “con la maggior perfezione possibile”, e lo manteneva, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Per la sua capacità di pregare senza interruzione (come se la preghiera fosse il respiro stesso della sua azione) la chiamavano “Rosario vivente”. A tutti diceva: “Se c’è nella vita una persona felice, quella sono io”. È stata beatificata nel Duomo di Parma nell’anno 2010.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
08/02/2012 10:25


8 Febbraio


S. Giuseppina Bakhita

Sorella universale, a cura di Antonio Maria Sicari



Era una bimba africana di uno sperduto villaggio del Sudan, che conosceva e amava Dio solo per lo stupore che provava davanti alle meraviglie della creazione. A sei anni fu rapita e venduta come schiava a un generale turco; conobbe così la terribile cattiveria degli uomini. Per fortuna fu poi riscattata, al mercato degli schiavi, dal console italiano. Durante una breve visita in Italia, il console portò con sé la ragazza e la cedette temporaneamente a una famiglia di amici veneziani che la volevano come bambinaia.
I nuovi “padroni” le permisero di frequentare l’istituto delle canossiane per prepararsi al battesimo. Quando giunse il momento di tornare in Africa, la fanciulla non volle più lasciare quelle buone suore: «Non voglio perdere il Buon Dio», diceva piangendo. E a suo sostegno intervenne perfino il patriarca di Venezia (il futuro s. Pio X). Nel giorno del battesimo, per lo stupore d’essere stata scelta da Dio come figlia e di sentirsi amata, Bakhita provò una gioia tale che giudicò poi tutto alla luce di quell’infinito e immeritato dono che le era stato concesso.
Nel 1896 emise i voti definitivi nell’Istituto delle Canossiane. Inviata nel convento di Schio, vi ricoprì, fino alla morte (avvenuta nel 1947), l’incarico di suora portinaia nella scuola materna. I bambini la chiamarono subito “Madre Moretta” e il nome familiare le rimase per sempre. A chi la interrogava sulla sua straordinaria avventura, Bakhita ripeteva che soffrire come schiavi non era la peggiore sofferenza del mondo, se si giungeva infine a conoscere il “Padre celeste”. Sembrava vivesse in un’abituale commozione e ciò le rendeva facile l’essere sempre a disposizione di tutti, per amore dell’unico “Padre comune”. Per questo, canonizzandola nel 2000, Giovanni Paolo II la definì: “Sorella universale”.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
09/02/2012 07:21


9 Febbraio

San Marone

La fecondità della preghiera, a cura di Antonio Maria Sicari




San Marone non è un santo molto noto in Italia, ma è molto venerato nel Medio-Oriente. Visse in Siria tra il IV e il V secolo e trascorse una vita eremitica interamente dedita alla preghiera. Si era rifugiato tra le rovine di un antico tempio pagano, che aveva consacrato a Dio. Ciò non impediva, però, che accorressero a lui innumerevoli discepoli e fedeli che finivano per considerarlo loro Maestro e Padre. A tutti, per la guarigione delle malattie del corpo e dei vizi dell’anima, egli prescriveva “una sola medicina”: la preghiera. E invitava i suoi ospiti a trascorrere con lui un’intera notte, all’aperto, in profonda contemplazione. I miracoli si susseguivano, e la fama di san Marone si diffuse in tutto l’impero. Un vescovo, suo contemporaneo, lo definiva “grande” e “divino” e sosteneva che “il coro dei Santi era stato da lui particolarmente abbellito”. Anche il celebre san Giovanni Crisostomo gli scrisse una lettera, piena di ammirazione, raccomandandosi alle sue preghiere.
Sulla tomba di san Marone venne edificato un grande monastero e una chiesa sontuosa che ebbero in Siria una particolare importanza per i cristiani della regione. Da secoli, ormai, egli è riconosciuto e onorato come Fondatore dalla Chiesa che da lui prende il nome di “maronita”, Chiesa pienamente cattolica, ma con un rito proprio e proprie tradizioni.
In Libano non solo la devozione, ma anche la cultura popolare e la vita sociale sono impregnate del riferimento a san Marone. Strano e glorioso destino quello di un eremita, divenuto “l’unico santo che abbia dato il suo nome a un intero popolo”! Nel 2011 la sua statua è stata solennemente collocata nell’ultima nicchia esterna della basilica di s. Pietro in Vaticano.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
10/02/2012 05:39


10 Febbraio

Santa Scolastica

Colei che amò di più, a cura di Antonio Maria Sicari




Alle origini del monachesimo occidentale c’è non soltanto la celebre figura di san Benedetto da Norcia, ma anche la cara figura di santa Scolastica, sua sorella, che fondò, accanto a Montecassino (ma, umilmente, ai piedi della montagna!), un monastero per le donne che volevano consacrarsi a Dio.
Di lei non sappiamo molto, e tuttavia quei pochi ricordi che ci sono stati tramandati non esitano a dire che, nel suo cuore di donna, ella riusciva perfino ad “amare di più” del suo celebre fratello. Si tratta del simpatico episodio, raccontato dal papa san Gregorio Magno: Benedetto e Scolastica avevano pattuito tra loro di incontrarsi una volta all’anno, in una casetta vicino al monastero, per trascorrere assieme l’intera giornata occupati in un fraterno e spirituale colloquio. A sera, Scolastica vorrebbe fermarsi ancora, ma Benedetto è ligio alla Regola e vuole rientrare in monastero. Allora Scolastica congiunge le mani in preghiera e scoppia un temporale così violento che impedisce anche solo di uscire da casa. E così i due possono trascorrere ancora qualche ora assieme “a parlare delle gioie della vita celeste”. Il santo Pontefice commenta: “Potè di più, la preghiera di colei che più amava”.
Il seguito della storia mostra il perché di quell’affettuosa insistenza di Scolastica che era ormai giunta al termine della sua vita. Ella muore, infatti, tre giorni dopo, e Benedetto la fa seppellire nel sepolcro che ha preparato per sé. A quaranta giorni di distanza morirà anche Benedetto. Così, quell’ultimo incontro, a cui Scolastica tanto teneva, diventa un simbolo di quella dolce umanità che deve accompagnare ogni dedizione di sé a Dio. Perciò sul luogo di quell’ultimo incontro venne costruita una “chiesetta del colloquio”.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
11/02/2012 04:42


11 Febbraio

Apparizioni di Lourdes

Un continuo miracolo, a cura di Antonio Maria Sicari




Oggi ricordiamo l’infinita tenerezza con cui la Vergine Santa, nel 1858, decide di apparire in un misero villaggio, a una povera bambina ignorante, chiedendole con celeste cortesia: “Volete essere tanto gentile da venire qui per quindici giorni?”. Alla piccola, la Signora chiede soltanto di riferire al mondo questo essenziale messaggio: “Bisogna pregare per i peccatori e fare penitenza”. Poi le mostra una sorgente d’acqua e chiede che in quel luogo venga costruita una chiesa. Il giorno dell’Annunciazione – in seguito alla richiesta del parroco, fatta in modo piuttosto scorbutico – la Signora rivela il suo nome: “Io sono l’Immacolata Concezione”, e il prete capisce che la piccola non ha potuto inventare un titolo così teologicamente intenso. Alla quindicesima e ultima apparizione – il 4 marzo 1858 – sono già presenti ottomila pellegrini, anche se le “autorità” hanno ottusamente deciso di sbarrare l’accesso alla grotta con uno steccato. Ma ciò non impedisce a Bernadette di vedere per l’ultima volta la Signora, come se lo steccato non esista nemmeno! Oggi noi possiamo costatare nei fatti quale fosse l’intento della santa Vergine: regalarci “il miracolo di Lourdes”, come luogo di preghiera e di prodigi. E il miracolo che continua sempre ad accadere è quello esperimentato da migliaia e migliaia di visitatori che vi trovano la pace del cuore e la fede dell’anima. Bernadette, la piccola veggente, trascorrerà poi la sua vita, umilmente, tenendosi in cuore la promessa della Vergine: “Io non prometto di rendervi felice in questo mondo, ma nell’altro” e anelando a poter rivedere lassù quel Volto tanto amato. Il confessore della ragazza dirà in seguito: “La prova migliore delle apparizioni è Bernadette stessa”.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
14/02/2012 02:08


14 Febbraio


Santi Cirillo e Metodio

Patroni d'Europa, a cura di Antonio Maria Sicari



Erano due fratelli di origine greca che avevano consacrato la vita alla predicazione cristiana e allo studio. Nell’863 accettarono dall’imperatore di Bisanzio, Michele III, la missione di recarsi nella grande Moravia per apprendervi la lingua slava, che allora non possedeva nemmeno un proprio alfabeto né una letteratura scritta. In quattro anni di paziente lavoro, Cirillo inventò un alfabeto appropriato (che è detto, appunto, “cirillico”) e intraprese la traduzione slava della Bibbia e dei testi liturgici. Fino ad allora la Chiesa occidentale aveva ritenuto idonee alla liturgia solo l’ebraico, il greco e il latino, perciò quell’opera di traduzione segnò una vera svolta.Cirillo e Metodio divennero così i primi “Apostoli degli Slavi”.
Nell’anno 869, attraversando la Pannonia (Ungheria), i due fratelli si recarono Roma per incontrarsi col papa Nicolo I e discutere con lui sull’uso della lingua slava nella liturgia. Qui Cirillo morì e venne seppellito con onori straordinari nella basilica romana di san Clemente. Il pontefice affidò allora l’intera opera di evangelizzazione tra gli slavi al fratello Metodio che fu subito ordinato vescovo col titolo di legato pontificio. Metodio si trovò, così, a dover fronteggiare Ludovico il Germanico intenzionato a distruggere quella nuova cultura. Fu imprigionato nell’878 e poi esiliato in Svevia. Papa Giovanni VIII si schierò tuttavia dalla sua parte e lo fece liberare, confermandolo nella carica di arcivescovo per tutta l'Austria orientale, l'Ungheria e la Moravia.
Nel 1980 Cirillo e Metodio sono stati proclamati co-patroni d’Europa, da papa Giovanni Paolo II, che vedeva nei due santi fratelli “gli anelli di congiunzione tra la tradizione cristiana occidentale e quella orientale”.



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
15/02/2012 14:56


15 Febbraio


S. Claudio De La Colombière

Due cuori uniti al Cuore di Gesù, a cura di Antonio Maria Sicari



Nacque a Grénoble, in Francia, nel 1641. Da giovane non si sentiva affatto inclinato alla vita religiosa. Ma scelse di diventare gesuita per un impulso interiore a preferire Dio ai propri gusti: «Ho deciso, per l’avvenire, di vivere senza alcuna preoccupazione e di riversare su di Te ogni mia inquietudine». Era inclinato allo studio e la sua carriera fu brillante: a venticinque anni, mentre ancora si specializzava in teologia, il ministro del re di Francia l’aveva già scelto come precettore per i suoi figli.
Ordinato sacerdote, venne inaspettatamente nominato superiore della comunità gesuita di Paray-le-Monial, villaggio, di poca importanza, ma molto chiacchierato, a causa di un monastero di Visitandine, dove una giovane monaca, maldestra e malaticcia, diceva d’avere ricevuto dal cielo un particolare messaggio. Si chiamava Margherita Maria Alacoque e pochi erano disposti a darle credito.
I più benevoli la ascoltavano sorridendo e poi le consigliavano di “dormire di più e mangiare più minestra”. Eppure il suo messaggio era bruciante. Diceva che Gesù le aveva mostrato il Suo Cuore “infiammato di carità”. Diceva che quell’immagine doveva essere diffusa in tutto il mondo perché i cristiani dovevano imparare a provare «più amore per l’Amore»; che bisognava smetterla di offenderLo con la bestemmia e che si doveva istituire una festa liturgica per onorare il “Sacro Cuore di Gesù”. Ma i teologi di allora storcevano il naso, inclini com’erano a un freddo rigorismo. Ed ecco che Gesù promette di mandarle in aiuto “un suo servo fedele e perfetto amico”. Fu questa la missione di Claudio de la Colombière: difendere la suorina, dando autorevolezza teologica al suo messaggio, fino a diffonderlo in tutto il mondo. Ed egli morirà a soli 41 anni, ma dopo aver fedelmente adempiuto la sua missione.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
16/02/2012 04:25


16 Febbraio


S. Onesimo

Un nuovo linguaggio, a cura di Antonio Maria Sicari




È un nome raro, e s. Onesimo non ha molti devoti. Ma è certamente una persona cara ai cristiani, se soltanto ricordano che di lui parla san Paolo nella Lettera a Filemone. Onesimo è lo schiavo, fuggito dal padrone, dopo averlo anche derubato, che – secondo la legge romana – avrebbe dovuto essere riacciuffato, riconsegnato e duramente punito, anche con la pena di morte. Ma Onesimo si rifugia da Paolo, che lo accoglie, lo converte e lo protegge.
Il cuore di Paolo è testimone e artefice del mondo nuovo voluto da Cristo, un mondo in cui tutti i ruoli sociali sono capovolti: l’Apostolo (cittadino romano!) è a Roma in catene, per il nome di Gesù; Filemone, il padrone, deve a Paolo la sua nuova vita di cristiano; Onesimo lo schiavo è divenuto libero, perché fratello, partecipe della stessa fede. Così le leggi sociali del tempo non sono sovvertite, ma sono totalmente superate. E Paolo può rimandare Onesimo al suo padrone, come la legge prescrive, ma può contemporaneamente chiedere a Filemone di trattare quello schiavo come tratterebbe lo stesso Paolo: “Lui è il mio cuore”, gli scrive l’Apostolo. E aggiunge: “Forse per questo è stato separato da te per un momento, perché tu lo riavessi per sempre: non più però come schiavo, ma molto più che schiavo: come un fratello carissimo, in primo luogo a me, ma quanto più a te, sia come uomo, sia come fratello nel Signore".
Fu così che i primi cristiani impararono quel principio fondamentale, in base al quale sta o cade il cristianesimo: che ogni uomo è «il Tu di Dio» ed è perciò unico al mondo. “Padrone”, “schiavo”, “prigioniero”: sono i termini faticosi della nostra storia, quando essa si allontana da Dio. “Fratello”, “figlio”, “amico carissimo”: sono i termini della storia cristiana. E la tradizione racconta, addirittura, che Onesimo divenne in seguito vescovo di Efeso.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
17/02/2012 00:44


17 Febbraio


Sette Santi Fondatori

Monaci amici, a cura di Antonio Maria Sicari




Che cosa si può fare quando una città è divisa in fazioni e l’odio sembra rinchiudere le persone in recinti invalicabili? Così si viveva a Firenze nei primi decenni del ‘300. Per uscirne e ricostruire una fraternità era necessario esperimentare una nuova storia. E fu quello che accadde a sette giovani mercanti fiorentini che, invece di schierarsi e guerreggiare, si misero tutti in gruppo dalla parte di Dio. Anzi, più precisamente: dalla parte della Vergine Santa, che consideravano loro Signora.
La tradizione racconta che la vocazione a consacrarsi al Suo “servizio” nacque contemporaneamente nel loro cuore, nella festa dell’Assunta, il 15 agosto 1233. Il successivo 8 settembre, festa della sua Natività, si radunarono sul monte Senario, fuori dalle mura di Firenze, e diedero origine a una nuova forma di consacrazione. Si facevano chiamare “Servi di Maria” e le chiese che a lei costruivano erano dedicate a “Santa Maria dei Servi”.
E la leggenda narra che fu la Santa Vergine a rivestirli di un povero abito grigio da lei stessa preparato. Pur vivendo in solitudine e dediti alla piena contemplazione, non rifiutavano di accogliere coloro che li raggiungevano per trovare consiglio e conforto.
L’aspetto più straordinario della loro vicenda è nel fatto che tutti e sette non soltanto iniziarono la stessa opera, ma realizzarono poi, assieme, la propria vocazione alla santità, pur mantenendo ciascuno inconfondibili e simpatici tratti della propria diversa personalità: una vera santità comunitaria, con le ricchezze sia dell’unità che della diversità. Giustamente furono canonizzati assieme nel 1888, e le loro spoglie sono raccolte e venerate in un unico sepolcro al monte Senario.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
18/02/2012 09:22



18 Febbraio


Beato Angelico

L'arte della vita, a cura di Antonio Maria Sicari



Il suo nome religioso era fra Giovanni da Fiesole. A chiamarlo “beato Angelico” fu il Vasari, per sottolineare la paradisiaca bellezza dei suoi capolavori, ma ricordando anche la sua personale “santità di vita”: «Fu questo non mai abbastanza lodato Padre, in tutte l’opere e i ragionamenti suoi, umilissimo e modesto…, ed i santi che egli dipinse hanno più aria e somiglianza di santi, che quelli di qualunque altro». Innumerevoli sono i suoi capolavori, che qui non possiamo nemmeno citare, ma sono tutti testimonianze della sua particolarissima missione. Una missione simile a quella del suo dottissimo confratello Tommaso d’Aquino.
Appartengono tutti e due all’Ordine dei Predicatori, ma quello che il grande teologo spiegava con la sua Somma Teologica, fra Giovanni lo spiegava con la Somma della sua pittura.
Le sue Madonne, i suoi Crocifissi, i suoi dolcissimi Santi, le sue pale d’altare, i suoi cicli di affreschi sono una “predicazione della Sacra Scrittura”: Parola di Dio, che fra Giovanni contemplava nel suo intimo, rappresentava nelle sue opere e su cui modellava se stesso. Dalle forme, dai colori, dalle espressioni, dai riverberi di luce, che egli creava col suo pennello d’artista, traspariva sia la santità dell’opera che quella dell’artista. L’ideale domenicano (“contemplare e donare al prossimo il frutto della propria contemplazione”) egli lo realizzava modellando le sue figure, senza dimenticare di modellare se stesso. Proclamandolo “patrono di tutti gli artisti”, al termine dell’anno giubilare 1984, Papa Giovanni Paolo II ha detto: «Per il Beato Angelico la parola di Dio era, sia per la sua vita che per la sua opera creativa, fonte d’ispirazione, alla cui luce creava le proprie opere e, allo stesso tempo, creava soprattutto se stesso, sviluppando le sue doti naturali eccezionali e corrispondendo alla grazia divina».




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
22/02/2012 12:11


22 Febbraio

Mercoledì delle Ceneri

Ricordati che sei polvere!, a cura di Antonio Maria Sicari




Quest’anno la liturgia delle “Ceneri” sostituisce le celebrazioni festose per la “Cattedra di Pietro”. Sembrerebbe un contrasto stridente e, invece, l’accostamento permette una bella visione d’insieme del mistero cristiano. Ci viene, infatti, ricordato che, nella Chiesa, tutti gli avvenimenti e le circostanze della vita (la sofferenza e la gioia; la povertà e la grandezza, l’umiliazione e la gloria, il silenzio del Morente e la parola del Maestro) sono indicazioni che ci orientano verso l’unico meraviglioso accadimento che attendiamo senza paura: quando il nostro “piccolo nulla” (come lo chiamava s. Teresa del Bambino Gesù) si abbandonerà nelle braccia di Dio, per ricevere da Lui la grazia della Resurrezione e della Vita.
Del resto è bello ricordare che, alcuni decenni fa, durante la santa Messa per l’incoronazione di un nuovo pontefice, c’era un rito che dava da pensare. Prima che gli ponessero la tiara sul capo, davanti ai suoi occhi, uno stoppino acceso veniva spento, mentre il diacono diceva: “Così passa la gloria del mondo!”. E il pontefice s’inginocchiava umilmente per una breve meditazione. Così oggi, in questo Mercoledì delle ceneri, sul capo di papa Benedetto XVI come sul capo di ogni cristiano che si presenterà all’altare (anche del bambino condotto dai genitori), verrà compiuto lo stesso umile gesto e tutti ascolteremo la stessa ammonizione: “Ricordati che sei polvere e in polvere tornerai!”.
Ma non sarà un gesto di umiliazione: sarà un gesto di verità per poter cominciare tutti assieme, dallo stesso punto di partenza, l’itinerario quaresimale con semplicità e con speranza certa e indomabile.



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
24/02/2012 01:02


24 Febbraio

S. Etelberto

Dall'amore la fede, a cura di Antonio Maria Sicari




Papa Gregorio Magno e Agostino di Canterbury avevano un grande sogno: convertire al cristianesimo gli Angli, e farli diventare Angeli.
Il simpatico gioco di parole, risale già allo stesso grande pontefice. Ma non sarebbe accaduto nulla, se i missionari inviati da Roma non avessero trovato in Inghilterra una coppia straordinaria: re Etelberto e la regina Berta, figlia del re dei Franchi. Etelberto, allora pagano, era il più potente sovrano d’Inghilterra (riconosciuto sia dagli Angli che dai Sassoni), mentre Berta era cattolica. Ma i due si volevano bene al punto tale che lei poteva tranquillamente professare la sua fede, mentre il marito la imparava pian piano, amando la moglie. Così, quando giunse la delegazione dei monaci inviata dal papa, il re ascoltò attentamente, concedendo loro il permesso di predicare e di operare conversioni, offrendo loro una sede a Canterbuy.
Nella Pentecoste del 597 Etelberto chiese il battesimo e cominciò a prodigarsi per la fondazione di varie chiese nel suo regno. I monaci, via via inviati da Roma, trovavano così la strada preparata per evangelizzare e fondare altre due diocesi oltre quella di Canterbury: London e Rochester. Nessuno dei sudditi fu costretto a convertirsi, ma il favore del re era un aiuto immenso.
Il suo regno durò più di cinquant’anni e il sovrano diede prova di saggezza, anche politica, facendo redigere il primo codice legislativo inglese, basato sulla legge salica di Clodoveo, il primo re dei franchi convertito al cristianesimo. Ethelbert e Berta – ambedue sepolti nella cappella di san Martino del monastero dei santi Pietro e Paolo, in Canterbury – furono riconosciuti e venerati come santi e sembra che davanti alla loro tomba sia stata tenuta una candela accesa, ininterrottamente fino al tempo della Riforma protestante.




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
27/02/2012 09:17



27 Febbraio


Santi Giuliano ed Euno

dal Marirologio



Ad Alessandria d'Egitto, commemorazione dei santi Giuliano ed Euno, martiri. Giuliano, costretto dalla podagra al punto di non poter camminare né stare in piedi, si presentò ai giudici insieme a due domestici che lo portavano su una sedia; dei due domestici l’uno rinnegò la fede, mentre l’altro, di nome Euno, perseverò insieme al suo padrone nel confessare Cristo. Fu quindi ordinato che costoro, messi su dei cammelli, fossero portati in giro per tutta la città e, al cospetto del popolo, flagellati a morte, sotto l’imperatore Decio.



_________Aurora Ageno___________
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 3 4 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi


Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 14:15. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com