APPENDICE 2
considerazioni statistiche: un caso di studio
Premessa tecnica. I calcoli riportati in questa appendice non presumono di essere, in senso stretto, accurati. Si vedrà tuttavia che tutte le approssimazioni adottate sono conservative e sono state studiate per agevolare, da un punto di vista numerico, non la posizione dei testimoni di Geova, ma quella dei loro detrattori.
Premessa morale. È privo di senso sul piano scientifico, e disdicevole su quello etico, cercare di ‘misurare la sofferenza’ ricorrendo ai numeri: sminuire l’entità di un incidente stradale che ha provocato due vittime, solo perché dall’altra parte del mondo una guerra civile ne causa cinquecento al giorno, equivale a banalizzare il dono della vita. Naturalmente ciò vale anche per quei fenomeni che non la mettono direttamente in pericolo: poco importa che a patirli siano solo dieci persone o dieci milioni, si tratta in ogni caso di aberrazioni ed è imperativo, in una società civile, mettere in campo ogni sforzo necessario a sradicarle.
A fronte di tale ovvietà, è però doveroso ricordarne un’altra: il principio su indicato si può impiegare solo per questioni che siano oggettivamente classificabili come anomalie sociali. È cioè applicabile ad un’epidemia, ad una crisi aziendale che causa licenziamenti di massa o alla recrudescenza di atti criminali in un quartiere, ma non se ne può fare una applicazione ad usum delphini
per un contesto popolato da una stragrande maggioranza che la percepisce come soddisfacente (in vario grado), e da una strettissima minoranza che la descrive invece, praticamente senza mezze misure, come atroce, drammatica o terrificante. Uno squilibrio del genere costringe l’osservatore non prevenuto a porsi il problema dell’attendibilità della minoranza: se in una classe elementare di trenta bambini ventinove adorano la maestra, e il trentesimo si dichiara perseguitato e oggetto di varie angherie che non è nemmeno in grado di provare, è sintomatico sospettare che quest’ultimo, più che della maestra, sia vittima della sua stessa autocommiserazione. Specie poi se si scopre che non ha neanche voglia di studiare e non fa mai i compiti.
Se è scorretto, quindi, trarre delle considerazioni che seguono una conclusione cinica, del tipo “solo pochissimi ex-testimoni di Geova affermano di soffire, quindi poco importa”
, a maggior ragione è scorretto confondere i piani, spacciare il particolare per l’universale, amplificare l’unica voce stonata del coro, lasciando credere che l’esigua categoria di ex-testimoni di Geova critici, posto che dicano la verità, sia in qualche modo rappresentativa di una realtà che tutti gli altri vivono positivamente.
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Abbiamo preso in esame i dati forniti da un sito Internet di fuoriusciti dei testimoni di Geova che si presenta, relativamente parlando, come la più numerosa comunità virtuale italiana di questo tipo. Un’apposita sezione di tale sito riporta una serie di esperienze negative legate al mondo di testimoni di Geova: si tratta di disassociati / dissociati, oppure di persone che affermano di essere tuttora testimoni, o infine di persone che hanno studiato per qualche tempo, senza arrivare al battesimo. Con rare eccezioni, gli intervistati tratteggiano una descrizione decisamente pessimistica del proprio vissuto fra i testimoni, sottolineando chi un aspetto, chi un altro, ma pervenendo quasi invariabilmente ad un quadro a tinte fosche che lascia pochi dubbi al fruitore occasionale: si è trattata di un’esperienza decisamente negativa, da non ripetere nel modo più assoluto e da non consigliare a nessuno.
Le esperienze riportate in tale elenco, nel momento in cui è stato completato il presente articolo, sono appena
82 (ottantadue). Si consideri che i testimoni di Geova attivi in Italia sono (nel medesimo periodo) oltre
245.000 (duecentoquarantacinquemila),
[nota 1] e si avrà una buon punto di partenza delle proporzioni con le quali abbiamo a che fare, e con le quali avremo a che fare fino alla fine del nostro ragionamento.
In realtà, è necessario fare una particolareggiata distinzione nel merito delle ottantadue esperienze. Distinzione che è riassunta dalla seguente tabella:
[IMG]http://i46.tinypic.com/2n7l2kk.jpg[/IMG]
Le righe
arancioni fanno riferimento alle esperienze che non hanno peso statistico, dato che sono anonime in origine, oppure da considerarsi anonime nei fatti.
[nota 2] È ovvio che un’esperienza firmata con un nickname più o meno bizzarro non merita di essere presa in considerazione, dato che potrebbe essere stata scritta da chiunque, e lo stesso dicasi per una siglata con le sole iniziali o con il solo nome proprio, tipo ‘Attilio’ o ‘Renata’.
La riga
gialla indica esperienze la cui tracciabilità è dubbia: gli unici dati a disposizione sono infatti il nome ed il cognome del presunto autore. A rigor di termini, anche questa dovrebbe essere fatta ricadere nella categoria precedente, dato che scrivere in calce ad un’intervista ‘Mario Rossi’ o anche ‘Mario Rossi da Milano’ non serve evidentemente a documentarla: nessun avvocato penserebbe di portare in tribunale una testimonianza dai connotati così fumosi. Solo l’unica riga
verde corrisponde a vicende di vita vissuta che si possono considerare reali al di là di ogni ragionevole dubbio, dato che rientrano in uno di questi tre casi:
[nota 3]
1. sono corredate non solo di nome e cognome, ma anche della ex-congregazione di appartenenza (assumiamo che questo dato basti a rendere l’esperienza tracciabile, anche se, a dirla tutta, sarebbe necessaria una verifica diretta);
2. sono tratte da articoli di giornali considerati attendibili;
3. sono riferite a personaggi ‘noti’ nel piccolo ambiente degli ex-testimoni di Geova.
Il risultato, come si vede, è che appena in
otto casi, sul totale di
ottantadue (meno del 10%), abbiamo a che fare con esperienze documentate o verificabili per altra via. Il grafico che segue mostra la sproporzione tra tale categoria (barra verde) e quella delle esperienze anonime (barra arancione).
[IMG]http://i47.tinypic.com/21acot2.jpg[/IMG]
[Modificato da EverLastingLife 26/06/2018 13:44]