Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!



 
 
Stampa | Notifica email    
Autore

IL MESSAGGIO 2 - Parole di luce - Il Vangelo commentato della Domenica

Ultimo Aggiornamento: 13/09/2013 17:11
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
07/10/2011 00:23


Il Vangelo della prossima Domenica

Al Signore sta a cuore la nostra gioia

XXVIII Domenica Tempo ordinario - Anno A


In quel tempo, Gesù, riprese a parlare con parabole [...] e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: dite agli invitati: “Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».


Tre immagini riassumono la parabola: la sala della festa, le strade, l'abito nuziale. 1. La sala della festa rimane vuota e triste, fotografia impietosa del fallimento del re: nessuno vuole il suo regalo, nessuno partecipa alla sua gioia. Perché gli invitati non rispondono al suo invito? Abbiamo tutti sperimentato che per far festa davvero con gli altri è necessario un anticipo di felicità dentro, è necessario essere contenti. Ecco perché i primi invitati non rispondono, perché non sono felici: hanno perso la gioia del cuore dietro alle cose e agli affari. 2. Le strade. Allora il Dio che vive per creare gioia condivisa, dice ai servi: «Andate per le strade, agli incroci, ai semafori, lungo le siepi...». E l'invito sembra casuale, invece vuole esprimere la precisa volontà che nessuno sia escluso. È bello questo nostro Dio che quando è rifiutato, anziché abbassare le attese le alza: chiamate tutti! Che apre, allarga, gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti invitati passa a tutti invitati: tutti quelli che troverete, cattivi o buoni, fateli entrare. Notate: prima i cattivi e poi i buoni... Noi non siamo chiamati perché siamo buoni e ce lo meritiamo, ma perché diventiamo buoni, lasciandoci incontrare e incantare da una proposta di vita bella, buona e felice da parte di Dio. 3. L'abito nuziale che un commensale non indossa ed è gettato fuori. A capire che cosa rappresenti quell'abito ci aiuta una parola sussurrataci il giorno del Battesimo quando, ponendo sopra di noi una piccola veste bianca, il sacerdote ha detto: «Bambino mio adesso rivestiti di Cristo!». Il nostro abito è Cristo! Passare la vita a rivestirci di Cristo, a fare nostri i suoi gesti, le sue parole, il suo sguardo, le sue mani, i suoi sentimenti; a preferire coloro che egli preferiva. L'abito nuziale è quello della Donna dell'Apocalisse: vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di stelle, che indossa il guardaroba di Dio, l'abito da festa del creato, che è la luce, il primo di tutti i simboli di Dio. In quella Donna è ciascuno di noi, cercatore di luce che venga a vincere le paure e le ombre che invecchiano il cuore. La parabola ci aiuta a non sbagliarci su Dio. Noi lo pensiamo come un Re che ci chiama a servirlo e invece è Lui che ci serve. Lo temiamo come il Dio dei sacrifici ed è il Dio cui sta a cuore la gioia; uno che ci impone di fare delle cose per lui e invece ci chiede di lasciargli fare cose grandi per noi. Lo pensiamo lontano, separato, e invece è dentro la sala della vita, la sala del mondo, come una promessa di felicità, una scala di luce posata sul cuore e che sale verso Dio.


(Letture: Isaia 25, 6-10a; Salmo 22; Filippesi 4, 12-14. 19-20; Matteo 22, 1-14)

Padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
14/10/2011 03:37


Il Vangelo della prossima Domenica

Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci

XXIX Domenica Tempo ordinario - Anno A


In quel tempo, i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità.(...). Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

Alla domanda cattiva e astuta di chi vuole metterlo o contro Roma o contro la sua gente, Gesù risponde giocando al rialzo, come al suo solito, e con due cambi di prospettiva che allargano gli orizzonti della domanda. Con il primo cambio di prospettiva muta il verbo pagare (è lecito pagare le tasse?) in restituire: quello che è di Cesare rendetelo a Cesare. Con il secondo cambio introduce l'orizzonte di Dio. Innanzitutto parla di un dare e avere: voi usate questa moneta, usate cioè dello stato romano che vi garantisce strade, giustizia, sicurezza, mercati. Avete ricevuto e ora restituite. Pagate tutti le tasse per un servizio che tocca tutti. Come non applicare questa chiarezza semplice di Gesù ai nostri giorni, in cui la crisi economica porta con sé un dibattito su manovre, tasse, evasione fiscale; applicarla ai farisei di oggi che giustificano in mille modi, quando addirittura non se ne vantino, l'evasione delle imposte. «Restituisci, perché sei in debito». Io sono in debito verso genitori, amici, insegnanti, medici, verso la storia di questo paese, verso chi mi ha insegnato ad amare e a credere, mi ha trasmesso affetto e valori, verso i poeti e gli scienziati, i cercatori di Dio, verso milioni di lavoratori sconosciuti, verso l'intera mia società. Un tessuto di debiti è la mia vita, io ho avuto infinitamente di più di ciò che ho dato. Restituire a Cesare di cui mi fido poco? A Cesare che ruba? Sì, ma al modo di Gesù, lui che non guardava in faccia a nessuno, come riconoscono i farisei: allora, se Cesare sbaglia, il mio tributo sarà quello di correggerlo; e se ruba gli ricorderò la voce della coscienza e il dovere della giustizia. Il secondo cambio di prospettiva inserisce la dimensione spirituale. Da Dio hai ricevuto, a Dio restituisci. Da Lui viene il respiro, il volere e l'operare, il gioire e l'amare, i talenti, il seme di eternità deposto in te, suo è il giardino del mondo. Davanti a Lui, come davanti all'uomo, non siamo dei pretendenti, ma dei debitori grati. Se avessimo tra le mani quella moneta romana capiremmo qualcosa d'altro. L'iscrizione recitava: divo Caesari, al divino Cesare appartiene. Gesù scinde di netto l'unità di queste due parole: Cesare non è Dio. Altro è Cesare, altro è Dio. Di Dio è l'uomo, quell'uomo che Lui ha fatto di poco inferiore a un dio. A Cesare le cose, a Dio la persona. A me dice: tu non inscrivere nel cuore altre appartenenze che non siano a Dio. Resta libero e ribelle ad ogni tentazione di venderti o di lasciarti possedere. Ripeti al potere: io non ti appartengo. Ad ogni potere umano Gesù dice: non appropriarti dell'uomo, non ti appartiene. L'uomo è cosa di Dio. È creatura che ha Dio nel sangue.


(Letture: Isaìa 45, 1.4-6; Salmo 95; 1 Tessalonicesi 1, 1-5b; Matteo 22, 15-21)

Padre Ermes Ronchi


_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
21/10/2011 04:10



Il Vangelo della prossima Domenica

Amare, «l'unico» comandamento

XXX Domenica Tempo ordinario - Anno A


In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?». Gli rispose: «“Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».


Qual è il grande comandamento? Gesù risponde indicando qualcosa che sta al centro dell'uomo: tu amerai. Lui sa che la creatura ha bisogno di molto amore per vivere bene. E offre il suo Vangelo come via per la pienezza e la felicità di questa vita. Amerai Dio con tutto, con tutto, con tutto. Per tre volte Gesù ripete che l'unica misura dell'amore è amare senza misura. Ama Dio con tutto il cuore: totalità non significa esclusività. Ama Dio senza mezze misure, e vedrai che resta del cuore, anzi cresce, per amare i tuoi familiari, gli amici, te stesso. Dio non è geloso, non ruba il cuore: lo moltiplica. Ama con tutta la mente. L'amore rende intelligenti, fa capire prima, andare più a fondo e più lontano. Ama con tutte le forze. L'amore rende forti, capaci di affrontare qualsiasi ostacolo e fatica. Da dove cominciare? Dal lasciarsi amare da Lui, che entra, dilata, allarga le pareti di questo piccolo vaso che sono io. Noi siamo degli amati che diventano amanti. Domandano a Gesù qual è il comandamento grande e Lui invece di un comandamento ne elenca due: amerai Dio, amerai il prossimo. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: il primo e il secondo comandamento sono già scritti nella Bibbia. Eppure dirà che il suo è un comando nuovo. Dove sta la novità? Sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, l'unico comandamento. E dice: il secondo è simile al primo. Amerai l'uomo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio. Questa è la rivoluzione di Gesù: il prossimo ha volto e voce e cuore simili a Dio. Il volto dell'altro è da leggere come un libro sacro, la sua parola da ascoltare come parola santa, il suo grido da fare tuo come fosse parola di Dio. «Sul tuo corpo volteggiano angeli / come intorno a una chiesa /... e di Lui sono i tuoi occhi» (Turoldo). Amerai il tuo prossimo come ami te stesso. È quasi un terzo comandamento sempre dimenticato: «ama te stesso», perché sei come un prodigio, porti l'impronta della mano di Dio. Se non ami te stesso, non sarai capace di amare nessuno, saprai solo prendere e possedere, fuggire o violare, senza gioia né gratitudine. Se per te desideri pace e perdono, questo tu offrirai all'altro. Se per te desideri giustizia e rispetto, tu per primo li darai. Ma perché amare, amare con tutto me stesso? Perché portare il cuore a queste vertigini? Perché dare e ricevere amore è ciò su cui posa la beatitudine della vita. Perché Dio-amore è l'energia fondamentale del cosmo, e amando partecipi di questa energia: quando ami, è il Totalmente Altro che viene perché la storia sia totalmente altra da quello che è.



(Letture: Esodo 22, 20-26; Salmo 17; 1 Tessalonicesi 1, 5c-10; Matteo 22, 34-40)

Padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
27/10/2011 20:12


Il Vangelo della prossima Domenica

Il più grande è chi ama di più

XXXII domenica tempo ordinario - Anno A


In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno (...) Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste (...) Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».


Il Vangelo evidenzia due questioni di fondo, che chiunque desideri una vita autentica deve affrontare. La prima: essere o apparire. La seconda: l'amore per il potere. Praticate ciò che vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. La severità di Gesù non va contro la debolezza di chi vorrebbe ma non ce la fa, bensì contro l'ipocrisia di chi fa finta. Verso la nostra debolezza Gesù si è sempre mostrato premuroso, come il vasaio che, se il vaso non è riuscito bene, non butta via l'argilla, ma la rimette sul tornio e la plasma di nuovo, fino a che realizza il suo progetto. Gesù non sopporta gli ipocriti. Ipocrita (termine greco che significa "attore di teatro") è il moralista che invoca leggi sempre più dure, ma per gli altri (legano pesi enormi sulle spalle delle persone, ma loro non li toccano con un dito); ipocrita è l'uomo di Chiesa che più si mostra severo e duro con gli altri, più si sente giusto, vicino a Dio (mentre è vicino solo alla propria aggressività o invidia verso i fratelli). Paolo oggi dice: «Avrei voluto darvi la mia vita». L'ipocrita dice: «Vi ho dato la legge, sono a posto». L'ipocrita non si accontenta di essere peccatore, vuole apparire buono. E con la sua falsa virtù fa sì che gli uomini non si fidino più neanche della virtù autentica. Gesù poi stigmatizza un secondo errore che rovina la vita: l'amore del potere. Non fatevi chiamare maestro, dottore, padre, come se foste superiori agli altri. Voi siete tutti fratelli. E già questo è un primo grande capovolgimento: tutti fratelli, nessuno superiore agli altri, relazione paritaria e affettuosa. Ma a Gesù questo non basta, e opera un ulteriore capovolgimento: il più grande tra voi è colui che serve. Il più grande è chi ama di più. Il mondo ha bisogno d'amore e non di ricchezza per fiorire. E allora il più grande del nostro mondo sarà forse una mamma sconosciuta, che lavora e ama nel segreto della sua casa, o nelle foreste d'Africa, o uno di voi che legge, o colui o colei che vi è vicino. Gesù rovescia la nostra idea di grandezza, ne prende la radice e la capovolge al sole e all'aria e dice: tu sei grande quanto è grande il tuo cuore. Siete grandi quando sapete amare, quando sapete farlo con lo stile di Gesù, traducendo l'amore nella divina follia del servizio: sono venuto per servire non per essere servito. È l'assoluta novità di Gesù: Dio non tiene il mondo ai suoi piedi, è Lui ai piedi di tutti. Dio è il grande servitore, non il padrone. Lui io servirò, perché Lui si è fatto mio servitore. Servizio: nome nuovo, nome segreto della civiltà.


(Letture: Malachia 1, 14-2, 2.8-10; Salmo 130; 1 Tessalonicesi 2, 7-9.13; Matteo 23, 1-12)

Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
04/11/2011 00:19

Il Vangelo della prossima Domenica


Dio è una voce che ci risveglia

XXXII domenica Tempo ordinario Anno A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l'olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l'olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono. A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po' del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”. Ora, mentre quelle andavano a comprare l'olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”. Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l'ora».


Ecco lo sposo! Andategli incontro! In queste parole trovo l'immagine più bella dell'esistenza umana, rappresentata come un uscire e un andare incontro. Uscire da spazi chiusi e, in fondo alla notte, lo splendore di un abbraccio. Dio come un abbraccio. L'esistenza come un uscire incontro. Fin da quando usciamo dal grembo della madre e andiamo incontro alla vita, fino al giorno in cui usciamo dalla vita per incontrare la nostra vita, nascosta in Dio. Il secondo elemento importante della parabola è la luce: il Regno di Dio è simile a dieci ragazze armate solo di un po' di luce, di quasi niente, del coraggio sufficiente per il primo passo. Il regno di Dio è simile a dieci piccole luci, anche se intorno è notte. Simile a qualche seme nella terra, a una manciata di stelle nel cielo, a un pizzico di lievito nella pasta. Ma sorge un problema: cinque ragazze sono sagge, hanno portato dell'olio, saranno custodi della luce; cinque sono stolte, hanno un vaso vuoto, una vita vuota, presto spenta. Gesù non spiega che cosa sia l'olio delle lampade. Sappiamo però che ha a che fare con la luce e col fuoco: in fondo, è saper bruciare per qualcosa o per Qualcuno. L'alternativa centrale è tra vivere accesi o vivere spenti. Dateci un po' del vostro olio perché le nostre lampade si spengono... la risposta è dura: no, perché non venga a mancare a noi e a voi. Il senso profondo di queste parole è un richiamo alla responsabilità: un altro non può amare al posto mio, essere buono o onesto al posto mio, desiderare Dio per me. Se io non sono responsabile di me stesso, chi lo sarà per me? Parabola esigente e consolante. Tutte si addormentano, sagge e stolte, ed è la nostra storia: tutti ci siamo stancati, forse abbiamo mollato. Ma nel momento più nero, qualcosa, una voce una parola una persona, ci ha risvegliato. La nostra vera forza sta nella certezza che la voce di Dio verrà. È in quella voce, che non mancherà; che verrà a ridestare da tutti gli sconforti; che mi rialza dicendo che di me non è stanca; che disegna un mondo colmo di incontri e di luci. Dio non ci coglie in flagrante, è una voce che ci risveglia, ogni volta, anche nel buio più fitto, per mille strade. A me basterà avere un cuore che ascolta, ravvivarlo come una lampada, e uscire incontro a un abbraccio.


(Letture: Sapienza 6, 12-16; Salmo 62; Tessalonicesi 4, 13-18; Matteo 25, 1-13)

Padre Ermes Ronchi


_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
10/11/2011 22:51


Il Vangelo della prossima Domenica

L'invito a non avere paura della vita

XXXIII Domenica Tempo ordinario-Anno A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro (...)».


Dai protagonisti della parabola emergono due visioni opposte della vita: l'esistenza, e i talenti ricevuti, come una opportunità; oppure l'esistenza come un lungo tribunale, pieno di rischi e di paure. I primi due servi entrano nella vita come in una possibilità gioiosa; l'ultimo non entra neppure, paralizzato dalla paura di uscirne sconfitto. La parabola dei talenti è il poema della creatività, senza voli retorici, perché nessuno dei tre servi crede di poter salvare il mondo. Tutto invece odora di casa, di viti e di olivi o, come nella prima lettura, di lana, di fusi, di lavoro e di attesa. Di semplicità e concretezza. Ciò che io posso fare è solo una goccia nell'oceano, ma è questa goccia che dà senso alla mia vita (A. Schweitzer). Il Vangelo è pieno di una teologia semplice, la teologia del seme, del lievito, di inizi che devono fiorire. A noi tocca il lavoro paziente e intelligente di chi ha cura dei germogli. Dio è la primavera del cosmo, a noi il compito di esserne l'estate feconda di frutti. Leggiamo bene il seguito della parabola: Dio non è un padrone che rivuole indietro i suoi talenti, con in aggiunta quelli che i servi hanno guadagnato. Ciò che i servi hanno realizzato non solo rimane a loro, ma è moltiplicato un'altra volta: «Sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto». Il padrone non ha bisogno di quei dieci o quattro talenti. I servi vanno per restituire, e Dio rilancia: e questo accrescimento, questo incremento di vita, questa spirale d'amore crescente è l'energia segreta di tutto ciò che vive. Noi non viviamo semplicemente per restituire a Dio i suoi doni. Ci sono dati perché diventino a loro volta seme di altri doni, lievito che solleva, addizione di vita per noi e per tutti coloro che ci sono affidati. Non c'è neppure una tirannia, nessun capitalismo della quantità. Infatti chi consegna dieci talenti non è più bravo di chi che ne consegna quattro. Le bilance di Dio non sono quantitative, ma qualitative. Non ci sono dieci talenti ideali da raggiungere: c'è da camminare con fedeltà a ciò che hai ricevuto, a ciò che sai fare, là dove la vita ti ha messo, fedele alla tua verità, senza maschere e paure. La parabola dei talenti è un invito a non avere paura della vita, perché la paura paralizza, perché tutto ciò che scegli di fare sotto la spinta della paura, anziché sotto quella della speranza, impoverisce la tua storia. La pedagogia del Vangelo offre tre grandi regole di maturità: non avere paura, non fare paura, liberare dalla paura. Soprattutto da quella che è la paura delle paure, la paura di Dio.


(Letture: Proverbi 31,10-13.19-20.30-31; Salmo 127; 1 Tessalonicesi 5,1-6; Matteo 25,14-30).

Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
18/11/2011 02:23


Il Vangelo della prossima Domenica


Dio ha legato la nostra salvezza a opere semplici, quotidiane

SOLENNITA' DI CRISTO RE - ANNO A


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. (...)


Il Vangelo dipinge una potente visione, drammatica, che noi chiamiamo il giudizio finale. Disegna una scena dove è rivelata, più che la sentenza ultima, la verità ultima sull'uomo, è mostrato che cosa resta della vita quando non resta più niente. Resta l'amore del prossimo. Avevo fame, avevo sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere: e tu mi hai aiutato. Sei passi di un percorso dove la sostanza della vita è sostanza di carità. Sei passi verso la terra come Dio la sogna. Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me! Il povero è come Dio! Carne di Dio sono i poveri, i loro occhi sono gli occhi di Dio, la loro fame è la fame di Dio. Se un uomo sta male anche Lui sta male. Noi abbiamo ridotto i poveri ad una categoria sociale, all'anonimato. Invece per il Vangelo il povero non è l'anonimo, ha il nome di Dio. Un Dio che ha legato la salvezza non ad azioni eccezionali, ma ad opere quotidiane, semplici, possibili a tutti. Non ad opere di culto verso di lui, ma al culto degli ultimi della fila. Un Dio che dimentica i suoi diritti, preferendo i diritti dei suoi amati. E mi sorprende, m'incanta sempre un'immagine: gli archivi di Dio non sono pieni dei nostri peccati, raccolti e messi da parte per essere tirati fuori contro di noi, nell'ultimo giorno. Gli archivi dell'eternità sono pieni sì, ma non di peccati, bensì di gesti di bontà, di bicchieri d'acqua fresca donati, di lacrime accolte e asciugate. Una volta perdonati, i peccati sono annullati, azzerati, non esistono più, in nessun luogo, tanto meno in Dio. E allora argomento del giudizio non sarà il male, ma il bene; non l'elenco delle nostre debolezze, ma la parte migliore di noi; non guarderà la zizzania ma il buon grano del campo. Perché verità dell'uomo, della storia, di Dio è il bene. Grandezza della nostra fede. Poi però ci sono quelli condannati: via da me... perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare. Quale è la loro colpa? Non è detto che abbiano fatto del male ai poveri, non li hanno aggrediti, umiliati, cacciati, semplicemente non hanno fatto nulla per loro. Sono quelli che dicono: non tocca a me, non mi riguarda. Gli uomini dell'indifferenza. Quelli che non sanno che cosa rispondere alla grave domanda di Dio a Caino: che cosa hai fatto di tuo fratello? Il giudizio di Dio non farà che ratificare la nostra scelta di vita: via, lontano da me, perché avete scelto voi di stare lontano da me che sono nei poveri. Allora capisco che il cristianesimo non si riduce semplicemente a fare del bene, è accogliere Dio nella mia vita, entrare io nella vita di Dio : l'avete fatto a me!


(Letture: Ezechiele 34,11-12.15-17; Salmo 22; 1 Corinzi 15,20-26.28; Matteo 25, 31-46).

Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
24/11/2011 22:38


Il Vangelo della prossima Domenica

Avvento, tempo dell'attenzione

I domenica d'Avvento Anno B

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all'improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».


Entriamo nel tempo della speranza. Avvento vuol dire letteralmente avvicinarsi, venire vicino. Un tempo di incamminati, in cui tutto si fa più vicino: Dio a noi, noi agli altri, io a me stesso. In cui impariamo che cosa sia davvero urgente: abbreviare distanze, tracciare cammini d'incontro. Nel Vangelo il padrone se ne va e lascia tutto in mano ai suoi servi. Atto di fiducia grande, da parte di Dio; assunzione di una responsabilità enorme, da parte dell'uomo. Come custodire i beni di Dio che abbiamo fra le mani? Beni di Dio che sono il mondo e ogni vivente? Il Vangelo propone due atteggiamenti iniziali: fate attenzione e vegliate. Tutti conosciamo che cosa comporta una vita distratta: fare una cosa e pensare ad altro, incontrare qualcuno ed essere con la testa da tutt'altra parte, lasciare qualcuno e non ricordare neppure il colore dei suoi occhi, per non averlo guardato. Gesti senz'anima, parole senza cuore. Vivere con attenzione è l'altro nome dell'Avvento e di ogni vita vera. Ma attenti a che cosa? Attenti alle persone, alle loro parole, ai loro silenzi, alle domande mute e alla ricchezza dei loro doni. Quanta ricchezza di doni sprecata attorno a noi, ricchezza di intelligenza, di sentimenti, di bontà, che noi distratti non sappiamo vedere. Attenti al mondo grande, al peso di lacrime di questo pianeta barbaro e magnifico, alla sua bellezza, all'acqua, all'aria, alle piante. Attenti alle piccole cose di ogni giorno, a ciò che accade nel cuore, nel piccolo spazio che mi è affidato. Il secondo verbo: vegliate. Contro la vita sonnolenta, contro l'ottundimento del pensare e del sentire, contro il lasciarsi andare. Vegliate perché c'è un futuro; perché non è tutto qui, il nostro segreto è oltre noi, perché viene una pienezza che non è ancora contenuta nei nostri giorni, se non come piccolo seme. Vegliate perché c'è una prospettiva, una direzione, un approdo. Vegliare come un guardare avanti, uno scrutare la notte, uno spiare il lento emergere dell'alba, perché la notte che preme intorno non è l'ultima parola, perché il presente non basta a nessuno. Vegliate su tutto ciò che nasce, sui primi passi della pace, sui germogli della luce. Attesa, attenzione, vigilanza sono i termini tipici del vocabolario dell'Avvento e indicano che tutta la vita dell'uomo è tensione verso, uno slancio verso altro che deve venire, che il segreto della nostra vita è oltre noi. Allora è sempre tempo d'Avvento, sempre tempo di abbreviare distanze, di vivere con attenzione. Sempre tempo di adottare strategie di risveglio della mente e del cuore, in modo da non arrendersi al preteso primato del male e della notte, in modo da non dissipare bellezza, e non peccare mai contro la speranza.


(Letture: Isaia 63, 16-17.19; 64, 2-7; Salmo 79; 1 Corinzi 1, 3-9; Marco 13, 33-37)

Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
02/12/2011 11:26


Il Vangelo della prossima Domenica

Quelle «buone novelle» nella vita di ogni giorno

II Domenica di Avvento - Anno B


Inizio del Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio (...). Vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati (...). E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».


Il Vangelo di questa domenica è chiuso tra due parentesi che subito dilatano il cuore. La prima: inizio del vangelo di Gesù. E sembra quasi una annotazione pratica, un semplice titolo esterno al racconto. Ma il sigillo del senso è nel termine «vangelo» che ha il significato di bella, lieta, gioiosa notizia. Dio si propone come colui che conforta la vita e dice: «Con me vivrai solo inizi, inizi buoni!» Perché ciò che fa ricominciare a vivere, a progettare, a stringere legami è sempre una buona notizia, un presagio di gioia, uno straccetto di speranza almeno intravista. Infatti è così che inizia la stessa Bibbia: Dio guardò e vide che era cosa buona! La bella notizia di Marco è una persona, Gesù, un Dio che fiorisce sotto il nostro sole. Ma fioriscono anche altri minimi vangeli, altre buone notizie che ogni giorno aiutano a far ripartire la vita: la bontà delle creature, le qualità di chi mi vive accanto, i sogni coltivati insieme, le memorie da non dimenticare, la bellezza seminata nel mondo che crea ogni comunione. A noi spetta conquistare sguardi di vangelo! E se qualcosa di cattivo o doloroso è accaduto, buona notizia diventa il perdono, che lava via gli angoli oscuri del cuore. Infine la parentesi finale: Viene dopo di me uno più forte di me. Giovanni non dice: verrà, un giorno. Non proclama: sta per venire, tra poco, e sarebbe già una cosa grande. Ma semplice, diretto, sicuro dice: viene. Giorno per giorno, continuamente, adesso Dio viene. Anche se non lo vedi, anche se non ti accorgi di lui, viene, in cammino su tutte le strade. Si fa vicino nel tempo e nello spazio. Il mondo è pieno di tracce di Dio. C'è chi sa vedere i cieli riflessi in una goccia di rugiada, Giovanni vede il cammino di Dio nella polvere delle nostre strade. E ci aiuta, ci scuote, ci apre gli occhi, insinua in noi il sospetto che qualcosa di determinante stia accadendo, qualcosa di vitale, e rischiamo di non vederlo: Dio che si fa vicino, che è qui, dentro le cose di tutti i giorni, alla porta della tua casa, ad ogni risveglio. La presenza del Signore non si è rarefatta in questo mondo distratto, il Regno di Dio non è stato sopraffatto da altri regni: l'economia, il mercato, l'idolo del denaro. Io credo che il mondo è più vicino a Dio oggi di dieci o vent'anni fa. Me lo assicura la libertà che cresce da un confine all'altro della terra, i diritti umani, il movimento epocale delle donne, il rispetto e la cura per i disabili, l'amore per l'ambiente... La buona notizia è una storia gravida di futuro buono per noi e per il mondo, gravida di luce perché Dio è sempre più vicino, vicino come il respiro, vicino come il cuore. Profumo di vita.


(Letture: Isaia 40,1-5.9-11; Salmo 84; 2 Pietro 3,8-14; Marco 1,1-8)

Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
09/12/2011 00:38


Il Vangelo della prossima Domenica


Chiamati a essere testimoni di luce

III Domenica d'Avvento Anno B


Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». (...) Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa» (...).


Venne Giovanni mandato da Dio, venne come testimone, per rendere testimonianza alla luce. Ad una cosa sola il profeta rende testimonianza: non alla grandezza, alla maestà, alla potenza di Dio, ma alla luce. Ed è subito la positività del Vangelo che fiorisce, l'annuncio del sole, la certezza che il rapporto con Dio crea nell'uomo e nella storia un movimento ascensionale verso più luminosa vita. Giovanni afferma che il mondo si regge su un principio di luce, che vale molto di più accendere una lampada che maledire mille volte la notte. Che la storia è una via crucis ma anche una via lucis che prende avvio quando, nei momenti oscuri che mi circondano, io ho il coraggio di fissare lo sguardo sulla linea mattinale della luce che sta sorgendo, che sembra minoritaria eppure è vincente, sui primi passi della bontà e della giustizia. Ad ogni credente è affidato il ministero profetico del Battista, quello di essere annunciatore non del degrado, dello sfascio, del peccato, che pure assedia il mondo, ma testimone di speranza e di futuro, di sole possibile, di un Dio sconosciuto e innamorato che è in mezzo a noi, guaritore delle vite. E mi copre col suo manto dice Isaia, e farà germogliare una primavera di giustizia, una primavera che credevamo impossibile. Per tre volte domandano a Giovanni: Tu, chi sei? Il profeta risponde alla domanda di identità con tre "no", che introducono il "sì" finale: io sono Voce. Egli trova la sua identità in rapporto a Dio: Io sono voce, la parola è un Altro. Io sono voce, trasparenza di qualcosa che viene da oltre, eco di parole che vengono da prima di me, che saranno dopo di me. Testimone di un altro sole. Chi sei tu? È rivolta anche a noi questa domanda decisiva. E la risposta è come in Giovanni, nello sfrondare da apparenze e illusioni la nostra vita. Io non sono l'uomo prestigioso che vorrei essere ne il fallito che temo di essere. Io non sono ciò che gli altri credono di me, né un santo, né solo peccatore. Io non sono il mio ruolo o la mia immagine. La mia identità ultima è Dio; il mio segreto è in sorgenti d'acqua viva che sono prima di me. La vita scorre nell'uomo, come acqua nel letto di un ruscello. L'uomo non è quell'acqua, ma senza di essa non è più. Così noi, senza Dio. E venne un uomo mandato da Dio. Anch'io sono un uomo mandato da Dio, anch'io testimone di luce, ognuno un profeta dove si condensa una sillaba del Verbo. Il nostro tempo è tempo della luce nel frammento opaco, di fiducia e smarrimento, dentro il quale io cerco l'elemosina di una voce che mi dica chi sono veramente. Un giorno Gesù darà la risposta, e sarà la più bella definizione dell'uomo: Voi siete luce! Luce del mondo.


(Letture: Isaia 61,1-2.10-11; Luca 1; 1 Tessalonicesi 5,16-24; Giovanni 1,6-8.19-28).

Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
15/12/2011 23:41


Il Vangelo della prossima Domenica

Nella vita quotidiana Dio parla il linguaggio della gioia

IV Domenica di Avvento - Anno B

In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei.



L'annunciazione si apre con l'elenco di sette nomi propri di luoghi e persone (Gabriele, Dio, Galilea, Nazaret, Maria, Giuseppe, Davide) per indicare, attraverso il numero sette che simboleggia la pienezza, la totalità della vita. Non ai margini, ma al centro della vita Dio viene, come evento e non come teoria. Un giorno qualunque, un luogo qualunque, una giovane donna qualunque: il primo affacciarsi del Vangelo è un annuncio consegnato in una casa. Al tempio Dio preferisce la casa. È bello pensare che Dio ti sfiora non solo nelle liturgie solenni delle chiese, ma anche - e soprattutto - nella vita quotidiana. Nella casa Dio ti sfiora, ti tocca, lo fa in un giorno di festa, nel tempo delle lacrime o quando dici a chi ami le parole più belle che sai. La prima parola dell'angelo non è un semplice saluto, ma: Chaîre, sii lieta, gioisci, rallegrati! Non ordina: fa' questo o quello, inginocchiati, vai, prega... Ma semplicemente, prima ancora di ogni risposta: gioisci, apriti alla gioia, come una porta si spalanca al sole. Dio parla il linguaggio della gioia per questo seduce ancora. E subito aggiunge il perché della gioia: piena di grazia, riempita di tenerezza, di simpatia, d'amore, della vita stessa di Dio. Il nome di Maria è «amata per sempre». Il suo ruolo è ricordare quest'amore che dà gioia e che è per tutti. Tutti, come lei, amati per sempre. Maria fu molto turbata. Allora l'angelo le disse: Non temere, Maria. Non temere se Dio non sceglie la potenza, non temere, l'umiltà di Dio, così lontana dalla luci della scena, dai riflettori, dai palazzi; non temere questo Dio bambino che farà dei poveri i principi del suo regno. Non temere l'amore. Ecco concepirai e darai alla luce un Figlio, che sarà Figlio di Dio. La risposta di Maria non è un "sì" immediato, ma una domanda: come è possibile? Porre domande a Dio non è mancanza di fede, è stare davanti a Lui con tutta la dignità di creatura, con maturità e consapevolezza, usare tutta l'intelligenza e dopo accettare il mistero. Solo allora il "sì" è maturo e creativo, potente e profetico: eccomi sono la serva del Signore. Serva è parola biblica che non ha niente di passivo, non evoca sottomissione remissiva; serva del re è la prima dopo il re, è colei che collabora, con-creatrice con il creatore. E l'angelo partì da lei. Un inedito: per la prima volta in tutta la Bibbia è ad una creatura della terra, ad una donna, che spetta l'ultima parola nel dialogo tra il cielo e la terra: nuova dignità della creatura umana. La tua prima parola, Maria, / ti chiediamo di accogliere in cuore: / come sia possibile ancora /concepire pur noi il suo Verbo (Turoldo).


(Letture: Samuele 7,1-5.8b-12.14a-16; Salmo 88; Romani 16, 25-27; Luca 1, 26-38)

Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
23/12/2011 00:20


Il Vangelo della prossima Domenica


La storia ricomincia dagli ultimi

Natale del Signore - Messa della notte


In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra (...) Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nazaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'alloggio (...)



A Natale non celebriamo un ricordo, ma una profezia. Natale non è una festa sentimentale, ma il giudizio sul mondo e il nuovo ordinamento di tutte le cose. Quella notte il senso della storia ha imboccato un'altra direzione: Dio verso l'uomo, il grande verso il piccolo, dal cielo verso il basso, da una città verso una grotta, dal tempio a un campo di pastori. La storia ricomincia dagli ultimi. Mentre a Roma si decidono le sorti del mondo, mentre le legioni mantengono la pace con la spada, in questo meccanismo perfettamente oliato cade un granello di sabbia: nasce un bambino, sufficiente a mutare la direzione della storia. La nuova capitale del mondo è Betlemme. Lì Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia... nella greppia degli animali, che Maria nel suo bisogno legge come una culla. La stalla e la mangiatoia sono un "no" ai modelli mondani, un "no" alla fame di potere, un no al "così vanno le cose". Dio entra nel mondo dal punto più basso perché nessuna creatura sia più in basso, nessuno non raggiunto dal suo abbraccio che salva. Natale è il più grande atto di fede di Dio nell'umanità, affida il figlio alle mani di una ragazza inesperta e generosa, ha fede in lei. Maria si prende cura del neonato, lo nutre di latte, di carezze e di sogni. Lo fa vivere con il suo abbraccio. Allo stesso modo, nell'incarnazione mai conclusa del Verbo, Dio vivrà sulla nostra terra solo se noi ci prendiamo cura di lui, come una madre, ogni giorno. C'erano in quella regione alcuni pastori... una nuvola di ali e di canto li avvolge. È così bello che Luca prenda nota di questa unica visita, un gruppo di pastori, odorosi di lana e di latte... È bello per tutti i poveri, gli ultimi, gli anonimi, i dimenticati. Dio riparte da loro. Vanno e trovano un bambino. Lo guardano: i suoi occhi sono gli occhi di Dio, la sua fame è la fame di Dio, quelle manine che si tendono verso la madre, sono le mani di Dio tese verso di loro. Perché il Natale? Dio si è fatto uomo perché l'uomo si faccia Dio. Cristo nasce perché io nasca. La nascita di Gesù vuole la mia nascita: che io nasca diverso e nuovo, che nasca con lo Spirito di Dio in me. Natale è la riconsacrazione del corpo. La certezza che la nostra carne che Dio ha preso, amato, fatto sua, in qualche sua parte è santa, che la nostra storia in qualche sua pagina è sacra. Il creatore che aveva plasmato Adamo con la creta del suolo si fa lui stesso creta di questo nostro suolo. Il vasaio si fa argilla di una vaso fragile e bellissimo. E nessuno può dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché Creatore e creatura ormai si sono abbracciati. Ed è per sempre.


(Letture: Isaia 9,1-6; Salmo 95; Tito 2,11-14; Luca 2, 1-14).

Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
30/12/2011 07:01


Il Vangelo della prossima Domenica

La benedizione di Dio ci alimenta

Solennità di Maria Santissima Madre di Dio


In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.


La prima lettura biblica del nuovo anno fa scendere su di noi una benedizione colma di luce, in cui prendere respiro per l'avvio del nuovo anno: il Signore parlò a Mosè, ad Aronne, ai suoi figli e disse: Voi benedirete i vostri fratelli. Voi benedirete: per prima cosa, che lo meritino o no, voi li benedirete. Dio ci raggiunge non proclamando dogmi o impartendo divieti, ma benedicendo. La sua benedizione è una energia, una forza, una fecondità di vita che scende su di noi, ci avvolge, ci penetra, ci alimenta. Dio chiede anche a noi, figli di Aronne nella fede, di benedire uomini e storie, il blu del cielo e il giro degli anni, il cuore dell'uomo e il volto di Dio. Mio e tuo compito per l'anno che viene: benedire i fratelli! Se non impara a benedire, l'uomo non potrà mai essere felice. E come si fa a benedire? Dio stesso ordina le parole: Il Signore faccia risplendere per te il suo volto. Che cosa è un volto che risplende? Forse poca cosa, eppure è l'essenziale. Perché il volto è la finestra del cuore, racconta cosa ti abita. Brilli il volto di Dio, scopri nell'anno che viene un Dio luminoso, un Dio solare, ricco non di troni, di leggi, di dichiarazioni ma il cui più vero tabernacolo è la luminosità di un volto. Un Dio dalle grandi braccia e dal cuore di luce. La benedizione di Dio non è salute, denaro, fortuna, prestigio, lunga vita ma, molto semplicemente, è la luce. La luce è tante cose, lo capiamo guardando le persone che hanno luce, e che emanano bontà, generosità, bellezza, pace. Dio ci benedice ponendoci accanto persone dal volto e dal cuore luminosi. Continua la bibbia: Il Signore ti faccia grazia. Cosa ci riserverà l'anno che viene? Io non lo so, ma di una cosa sono certo: Il Signore mi farà grazia, che vuol dire: il Signore si rivolgerà verso di me, si chinerà su di me, mi farà grazia di tutti gli sbagli, di tutti gli abbandoni; camminerà con me, nelle mie prove si abbasserà su di me, mio confine di cielo, perché non gli sfugga un solo sospiro, una sola lacrima. Qualunque cosa accadrà quest'anno, Dio sarà chino su di me e mi farà grazia. Otto giorni dopo Natale ritorna lo stesso racconto di quella notte: Natale non è facile da capire. Facciamoci guidare allora da Maria, che custodiva e meditava tutte queste cose nel suo cuore; che cercava il filo d'oro che tenesse insieme gli opposti: una stalla e «una moltitudine di angeli», una mangiatoia e un «Regno che non avrà fine». Come lei, come i pastori, anche noi salviamo almeno lo stupore: a Natale il Verbo è un neonato che non sa parlare, l'Eterno è appena il mattino di una vita, l'Onnipotente è un bimbo capace solo di piangere. Dio ricomincia sempre così, con piccole cose e in alto silenzio.


(Letture: Numeri 6, 22-27; Salmo 66; Gàlati 4, 4-7; Luca 2, 16-21)

Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
06/01/2012 07:11


Il Vangelo della prossima Domenica

Immersi in Dio, amati per sempre


Battesimo del Signore Anno B


In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall'acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l'amato: in te ho posto il mio compiacimento».


Il racconto del Giordano ci riporta alla genesi, quando la Bibbia prende avvio con una immagine d'acqua: in principio... lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gen 1,2) come un grande uccello in cova su di un mare gonfio di vita inespressa. L'origine del creato è scritta sull'acqua. Allo stesso modo anche la vita di ognuno di noi ha inizio nelle acque di un grembo materno. Essere immersi di nuovo nell'acqua è come esserlo nell'origine, il battesimo parla di nascita, come fa la voce dal cielo che scende su Gesù: tu sei mio Figlio. Voce che è anche per me; voce in cui brucia il cuore ardente del cristianesimo: io sono figlio; il mio nome è: amato per sempre. Io ho una sorgente nel cielo, che si prende cura di me come nessun altro al mondo. E nasco della specie di Dio, perché Dio genera figli secondo la propria specie. In te ho posto il mio compiacimento. Una parola inusuale, la cui radice porta una dichiarazione d'amore gioioso verso ciascuno: «mio compiacimento» significa: tu mi piaci! Una definizione della grazia di Dio: prima che tu faccia qualsiasi cosa, come sei, per quello sei, tu mi dai gioia. Prima che io risponda, prima che io sia buono o no, senz'altro motivo che la gratuità di Dio, perché la grazia è grazia e non calcolo o merito o guadagno, la Voce ripete ad ognuno: io ti amo. Gesù vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere come una colomba. Noto la bellezza del particolare: il cielo si squarciò, si lacerò, si strappò. Come un segno di speranza si stende sull'umanità questo cielo aperto, aperto per sempre, e non chiuso come una cappa minacciosa e pesante. Aperto come si aprono le braccia all'amico, all'amato, al povero: c'è comunicazione tra terra e cielo. Da questo cielo aperto e non più muto viene come colomba lo Spirito, cioè la vita stessa di Dio. Si posa su di te, ti avvolge, entra dentro, a poco a poco ti modella, ti trasforma pensieri, affetti, speranze secondo la legge dolce, esigente, rasserenante del vero amore. Battesimo significa etimologicamente: immersione. Il battezzato è uno immerso in Dio. Adesso, in questo momento immerso; in ogni momento, in ogni giorno immerso in Dio, come nel mio ambiente vitale, dentro una sorgente che non viene meno, dentro un grembo che nutre, fa crescere, riscalda e protegge. E fa nascere. Io nella sua vita e Lui nella mia vita. Come donna gravida di una vita nuova, io vivo due vite, la mia e quella di Dio. Sono uno e due al tempo stesso. Ormai indissolubile da me è Dio, io non più separato da Lui. Nel Battesimo è il movimento del Natale che si ripete: Dio scende ancora, entra in me, nasce in me perché io nasca in Dio; perché nasca nuovo e diverso, con in me il respiro del cielo.


(Letture: Isaia 55,1-11; Salmo: Isaia 12,2-6; 1 Giovanni 5,1-9; Marco 1,7-11).

Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
13/01/2012 04:40


Il Vangelo della prossima Domenica

Trovare la chiave del cuore

II Domenica Tempo ordinario Anno B

In quel tempo, Giovanni (...) disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbi - che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui (...). Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea (...). Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» - che si traduce Cristo - e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa», che significa Pietro.

Un Vangelo che profuma di libertà, di spazi e cuori aperti: Giovanni indica un altro cui guardare, e si ritrae; due discepoli lasciano il vecchio maestro e si mettono in cammino per sentieri sconosciuti dietro a un giovane rabbi di cui ignorano tutto, eccetto una immagine, una metafora folgorante: ecco, l’agnello di Dio! Ecco l’animale dei sacrifici, l’ultimo nato del gregge che viene immolato presso gli altari, ecco l’ultimo ucciso perché nessuno sia più ucciso. Ma nelle parole di Giovanni sta anche la novità assoluta, il capovolgimento totale del nostro rapporto con Dio. In tutte le religioni il sacrificio consiste nell’offrire qualcosa (un animale, del denaro, una rinuncia...) al dio per ottenere in cambio il suo favore. Con Gesù questo contratto religioso è svuotato: Dio non chiede più sacrifici, ora è Lui che viene e si fa agnello, vale a dire sacrifica se stesso; Gesù non prende nulla, dona tutto.

Gesù si voltò e disse loro: che cosa cercate? Sono le sue prime parole nel Vangelo di Giovanni. Le prime parole del Risorto saranno del tutto simili: Donna, chi cerchi?
Cosa cercate? Chi cerchi? Due domande, un unico verbo, dove troviamo la definizione stessa dell’uomo: l’uomo è un essere di ricerca, con un punto di domanda piantato nel cuore, cercatore mai arreso. La Parola di Dio ci educa alla fede attraverso le domande del cuore. «Prima di correre a cercare risposte vivi bene le tue domande» (Rilke). La prima cosa che Gesù chiede non è di aderire ad una dottrina, di osservare i comandamenti o di pregare, ma di rientrare in se stessi, di conoscere il desiderio profondo: che cosa desideri di più dalla vita?
Scrive san Giovanni Crisostomo: «trova la chiave del cuore. Questa chiave, lo vedrai, apre anche la porta del Regno». Gesù, maestro del desiderio, fa capire che a noi manca qualcosa, che la ricerca nasce da una povertà, da una assenza che arde dentro: che cosa ti manca? Salute, denaro, speranza, tempo per vivere, amore, senso alla vita, le opportunità per dare il meglio di me? Ti manca la pace dentro? Rivolge quella domanda a noi, ricchi di cose, per insegnarci desideri più alti delle cose, e a non accontentarci di solo pane, di solo benessere. Tutto intorno a noi grida: accontentati! Invece il Vangelo ripete la beatitudine dimenticata: Beati gli insoddisfatti perché saranno cercatori di tesori. Beati voi che avete fame e sete, perché diventerete mercanti della perla preziosa.
Maestro, dove dimori? La richiesta di una casa, di un luogo dove sentirsi tranquilli, al sicuro. La risposta di Gesù ad ogni discepolo è sempre: vieni e vedrai. Vedrai che il mio cuore è a casa solo accanto al tuo.


(Letture: 1 Samuele 3,3b-10.19; Salmo 39; 1 Corinzi 6, 13c-15, 17-20; Giovanni 1,35-42)

Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
19/01/2012 23:10


Il Vangelo della prossima Domenica

Convertirsi è girarsi verso la Luce

III domenica Tempo ordinario Anno B


Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini» (...)


Siamo al momento fresco, sorgivo del Vangelo. C'è una bella notizia che inizia a correre per la Galilea ed è questa: il tempo è compiuto, il regno di Dio è qui. Il tempo è compiuto, come quando si compiono per una donna i giorni del parto. E nasce, viene alla luce il Regno di Dio. Gesù non spiega il Regno, lo mostra con il suo primo agire: libera, guarisce, perdona, toglie barriere, ridona pienezza di relazione a tutti, anche a quelli marchiati dall'esclusione. Il Regno è guarigione dal male di vivere, fioritura della vita in tutte le sue forme. A questo movimento discendente, di pura grazia, Gesù chiede una risposta: convertitevi e credete nel Vangelo. Immagino la conversione come il moto del girasole, che alza la corolla ogni mattino all'arrivo del sole, che si muove verso la luce: «giratevi verso la luce perché la luce è già qui». Credere nel Vangelo è un atto che posso compiere ogni mattino, ad ogni risveglio. Fare memoria di una bella notizia: Dio è più vicino oggi di ieri, è all'opera nel mondo, lo sta trasformando. E costruire la giornata non tenendo gli occhi bassi, chini sui problemi da affrontare, ma alzando il capo, sollevandolo verso la luce, verso il Signore che dice: sono con te, non ti lascio più, ti voglio bene. Credete nel Vangelo. Non al Vangelo ma nel Vangelo. Non solo ritenerlo vero, ma entrate e buttarsi dentro, costruirvi sopra la vita, con una fiducia che non darò più a nient'altro e a nessun altro. Camminando lungo il mare di Galilea, Gesù vide… Gesù vede Simone e in lui intuisce la Roccia. Vede Giovanni e in lui indovina il discepolo dalle più belle parole d'amore. Un giorno guarderà l'adultera e in lei vedrà la donna capace di amare bene. Il suo sguardo è creatore. Il maestro guarda anche me, e nonostante i miei inverni vede grano che germina, una generosità che non sapevo di avere, capacità che non conoscevo. È la totale fiducia di chi contempla le stelle prima ancora che sorgano. Seguitemi, venite dietro a me. Non si dilunga in spiegazioni o motivazioni, perché il motivo è lui, che ti mette il Regno appena nato fra le mani. E lo dice con una frase inedita, un po' illogica: Vi farò pescatori di uomini. Come se dicesse: «vi farò cercatori di tesori». Mio e vostro tesoro è l'uomo. Li tirerete fuori dall'oscurità, come pesci da sotto la superficie delle acque, come neonati dalle acque materne, come tesoro dissepolto dal campo. Li porterete dalla vita sommersa alla vita nel sole. Mostrerete che l'uomo, pur con la sua pesantezza, è fatto per un'altra respirazione, un'altra aria, un'altra luce. Venite dietro a me, andate verso gli uomini. Avere passione per Cristo, che passa e si lascia dietro larghi sorsi di vita; avere passione per l'uomo e dilatare gli spazi che respira.


(Letture: Giona 3, 1-5.10; Salmo 24/25; 1 Corinzi 7, 29-31; Marco 1, 14-20)

Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
26/01/2012 23:49



Il Vangelo della prossima Domenica

Il Signore è venuto a liberare l'uomo

IV domenica Tempo Ordinario -Anno B


In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. (...). Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.


Questo Vangelo ci riporta la freschezza della sorgente, lo stupore e la freschezza dell'origine: la gente si stupiva del suo insegnamento. Come la gente di Cafarnao, anche noi ci incantiamo ogni volta che abbiamo la ventura di incontrare qualcuno con parole che trasmettono la sapienza del vivere, una sapienza sulla vita e sulla morte, sull'amore, sulla paura e sulla gioia. Che aiutano a vivere meglio. Di fatto, sono autorevoli soltanto le parole che accrescono la vita. Gesù insegnava come uno che ha autorità. Ha autorità chi non soltanto annuncia la buona notizia, ma la fa accadere. Lo vediamo dal seguito del racconto: C'era là un uomo posseduto da uno spirito impuro. La buona notizia è un Dio che libera la vita. Gesù ha autorità perché si misura con i nostri problemi di fondo, e il primo di tutti i problemi è «l'uomo posseduto», l'uomo che non è libero. Volesse il cielo che tutti i cristiani fossero autorevoli... E il mezzo c'è: si tratta non di dire il Vangelo, ma di fare il Vangelo, non di predicare ma di diventare Vangelo, tutt'uno con ciò che annunci: una buona notizia che libera la vita, fa vivere meglio, dove nominare Dio equivale a confortare la vita. Mi ha sempre colpito l'espressione dell'uomo posseduto: che c'è fra noi e te Gesù di Nazaret? Sei venuto a rovinarci? Gesù è venuto a rovinare tutto ciò che rovina l'uomo, a demolire ciò che lo imprigiona, è venuto a portare spada e fuoco, a rovinare tutto ciò che non è amore. Per edificare il suo Regno deve mandare in rovina il regno ingannatore degli uomini genuflessi davanti agli idoli impuri: potere, denaro, successo, paure, depressioni, egoismi. È a questi desideri sbagliati, padroni del cuore, che Gesù dice due sole parole: taci, esci da lui. Tace e se ne va questo mondo sbagliato. Va in rovina, come aveva sognato Isaia, vanno in rovina le spade e diventano falci, si spezza la conchiglia e appare la perla. Perla della creazione è l'uomo libero e amante. Questo Vangelo mi aiuta a valutare la serietà del mio cristianesimo da due criteri: se come Gesù, mi oppongo al male dell'uomo, in tutte le sue forme; se come lui porto aria di libertà, una briciola di liberazione da ciò che ci reprime dentro, da ciò che soffoca la nostra umanità, da tutte le maschere e le paure. Un verso bellissimo di Padre Turoldo dice: Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento insieme tu sei. Impossibile amarti impunemente. Dolce rovina, Cristo, che rovini in me tutto ciò che non è amore, impossibile amarti senza pagarne il prezzo in moneta di vita! Impossibile amarti e non cambiare vita e non gettare dalle braccia il vuoto e non accrescere gli orizzonti che respiriamo.


(Letture: Deuteronòmio 18, 15-20; Salmo 94; 1Corinzi 7, 32-35; Marco 1, 21-28)


Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
03/02/2012 03:25



Il Vangelo della prossima Domenica

Mano nella mano con l'Infinito

V Domenica Tempo ordinario - Anno B


In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. [...] Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni;[...] Al mattino presto [...] si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui [...] lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini perché io predichi anche là; [...]


Marco ci presenta il resoconto della giornata-tipo di Gesù, ritmata sulle tre occupazioni preferite di Gesù: immergersi nella folla e guarire, far stare bene le persone; immergersi nella sorgente segreta della forza, la preghiera; da lì risalire intriso di Dio e annunciarlo. Tutto parte dal dolore del mondo. E Gesù tocca, parla, prende le mani. Il miracolo è, nella sua bellezza giovane, l'inizio della buona notizia, l'annuncio che è possibile vivere meglio, trovare vita in pienezza, vivere una vita bella, buona, gioiosa. La suocera di Simone era a letto con la febbre, e subito gli parlarono di lei. Miracolo così povero di contorno e di pretese, così poco vistoso, dove Gesù neppure parla. Contano i gesti. Non cerchiamo di fronte al dolore innocente risposte che non ci sono, ma cerchiamo i gesti di Gesù. Lui ascolta, si avvicina, si accosta, e prende per mano. Mano nella mano, come forza trasmessa a chi è stanco, come padre o madre a dare fiducia al figlio bambino, come un desiderio di affetto. E la rialza. È il verbo della risurrezione. Gesù alza, eleva, fa sorgere la donna, la riconsegna alla sua andatura eretta, alla fierezza del fare, del prendersi cura. La donna si alzò e si mise a servire. Il Signore ti ha preso per mano, anche tu fa lo stesso, prendi per mano qualcuno. Quante cose contiene una mano. Un gesto così può sollevare una vita! Quando era ancora buio, uscì in un luogo segreto e là pregava. Un giorno e una sera per pensare all'uomo, una notte e un'alba per pensare a Dio. Ci sono nella vita sorgenti segrete, da frequentare, perché io vivo delle mie sorgenti. E la prima di esse è Dio. Gesù assediato dal dolore, in un crescendo turbinoso (la sera la porta di Cafarnao scoppia di folla e di dolore e poi di vita ritrovata) sa inventare spazi. Ci insegna a inventare quegli spazi segreti che danno salute all'anima, spazi di preghiera, dove niente sia più importante di Dio, dove dirgli: Sto davanti a te; per un tempo che so breve non voglio mettere niente prima di te; niente per questi pochi minuti viene prima di te. Ed è la nostra dichiarazione d'amore. Infine il terzo momento: Maestro, che fai qui? Tutti ti cercano! E lui: Andiamocene altrove. Si sottrae, non cerca il bagno di folla. Cerca altri villaggi dove essere datore di vita, cerca le frontiere del male per farle arretrare, cerca altri uomini per farli star bene. Andiamo altrove a sollevare altre vite, a stringere altre mani. Perché di questo Lui ha bisogno, di stringere forte la mia mano, non di ricevere onori. Uomo e Dio, l'Infinito e il mio nulla così: mano nella mano. E aggrapparmi forte: è questa l'icona mite e possente della buona novella.


(Letture: Giobbe 7, 1-4. 6-7; Salmo 146; 1 Corinzi 9, 16-19. 22-23; Marco 1, 29-39)


Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
10/02/2012 04:55


Il Vangelo della prossima Domenica

La buona novella: il Signore guarisce

VI Domenica Tempo ordinario - Anno B


In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va', invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.


Un lebbroso. Il più malato dei malati. La sua malattia non è solo fisica. È uno che c'è ma non esiste. La legge ordina «Starà solo, lontano, fuori dell'accampamento» (Lv 13,46). E Gesù, invece di lasciarlo solo e lontano, supera le regole, abbatte le barriere, lo accoglie e lo tocca. Tocca l'intoccabile. Ama l'inamabile. Nessun sacerdote l'avrebbe fatto, non solo per paura, ma perché lo vietava la Legge: quell'uomo era un castigato da Dio, un reietto, un rifiuto del cielo. Il lebbroso non ha nome né volto, perché è ogni uomo. A nome di ogni creatura dice una frase bellissima: «Se vuoi, puoi guarirmi». Con tutta la discrezione di cui è capace: «Se vuoi». Il suo futuro è appeso a un «se». E intuisco Gesù felice di questa domanda grande e sommessa, che lo obbliga a rivelarsi: «Se vuoi». A nome nostro il lebbroso chiede: che cosa vuole veramente Dio da questa carne piagata, da queste lacrime? Cos'è la volontà di Dio? Sacrifici, sofferenze e pazienza, come dicono i sacerdoti? O un figlio guarito?. E Gesù è costretto a rivelare Dio. È costretto a dire una parola ultima e immensa sul cuore di Dio: «Lo voglio: guarisci!». Ripetiamocelo, con emozione, con pace, con forza. Lo voglio. Eternamente Dio vuole figli guariti. A me dice: «Lo voglio: guarisci!». A Lazzaro grida: «Lo voglio: vieni fuori!». Alla figlia di Giairo sussurra: «Talità kum. Lo voglio: alzati!». È la buona novella: invece di un Dio che condanna, il Dio che fa grazia, che guarisce la vita. Io sono certo della volontà di Dio. Lo mostra Gesù, a ogni pagina. Dio è guarigione! Non conosco i modi. So che non sarà moltiplicando i miracoli. Non conosco i tempi, ma so che lotta con me contro ogni mio male, rinnovando goccia a goccia la vita, stella a stella la notte. Il lebbroso guarito disobbedendo a Gesù si mise a proclamare e a divulgare il fatto. Ha ricevuto e ora diventa donatore: dona attraverso gesti e parole la sua l'esperienza felice di Dio. L'immondo, il castigato, diviene fonte di stupore e di Vangelo. Ciò che è scritto qui non è una fiaba, funziona davvero, funziona così. Persone piene di Gesù oggi riescono a fare le stesse cose di Gesù. Pieni di Gesù fanno miracoli. Sono andati dai lebbrosi del nostro tempo: barboni, tossici, prostitute, li hanno toccati, un gesto di affetto, un sorriso, e molti di questi, e sono migliaia e migliaia, sono letteralmente guariti dal loro male, e sono diventati a loro volta guaritori. Prendere il Vangelo sul serio ha dentro una potenza che cambia il mondo. E tutti quelli che l'hanno preso sul serio, e hanno toccato i lebbrosi del loro tempo, tutti testimoniano, da san Francesco in avanti, che fare questo dona una grande felicità.


(Letture: Levìtico 13, 1-2. 45-46; Salmo 31; 1 Corinzi 10, 31-11-1; Marco 1, 40-45).


Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
17/02/2012 00:48



Il Vangelo della prossima Domenica


Il Signore salva senza porre nessuna condizione

VII Domenica
Tempo ordinario - Anno B

Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dove egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono la barella su cui era adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico: «Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più facile: dire al paralitico "Ti sono perdonati i peccati", oppure dire "Àlzati, prendi la tua barella e cammina"? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: alzati, prendi la tua barella e va' a casa tua». Quello si alzò e subito prese la sua barella e sotto gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».


Il paralitico di Cafàrnao. Lo invidio. Perché ha grandi amici: forti, fantasiosi, tenaci, creativi. Sono il suo magnifico ascensore, strappano l'ammirazione del Maestro: Gesù vista la loro fede... la loro, quella dei quattro portatori, non del paralitico. Gesù vede e ammira una fede che si fa carico, con intelligenza operosa, del dolore e della speranza di un altro. I quattro barellieri ci insegnano a essere come loro, con questo peso di umanità sul cuore e sulle mani. Una fede che non prende su di sé i problemi d'altri non è vera fede. Non si è cristiani solo per se stessi; siamo chiamati a portare uomini e speranze.

A credere anche se altri non credono; a essere leali anche se altri non lo sono, a sognare anche per chi non sa più farlo. «Sei perdonato». Immagino la sorpresa, forse la delusione del paralitico. Sente parole che non si aspettava. Lui, come tutti i malati, domanda la guarigione, un corpo che non lo tradisca più. Invece: figlio, ti sono perdonati i peccati. Perdonare è nel Vangelo è un verbo di moto: si usa per la nave che salpa, la carovana che si rimette in marcia, l'uccello che spicca il volo, la freccia liberata nell'aria. Il perdono di Cristo non è un colpo di spugna sul passato, è molto di più: un colpo di remo, un colpo di vento nelle vele, per il mare futuro; è un colpo di verticalità, se si può dire così, per ogni uomo immobile nella sua barella. Il peccato invece blocca la vita, come per Adamo che dopo il frutto proibito si rintana dietro un cespuglio, paralizzato dalla paura. Finita l'andatura eretta, finiti i sentieri nel sole! Il peccato è come una paralisi nelle relazioni, una contrazione, un irrigidimento, una riduzione del vivere. Sei perdonato. Senza merito, senza espiazione, senza condizioni. Una doppia bestemmia, secondo i farisei. Essi dicono: Dio solo può perdonare.

E poi: Dio non perdona a questo modo, non così, non senza condizioni, non senza espiare la colpa! E Gesù interviene: Cosa è più facile? Dire: i tuoi peccati ti sono perdonati, o: alzati e cammina? Gesù per l'unica volta nel Vangelo dice apertamente il perché del suo miracolo: lega insieme perdono e guarigione, unisce corporale e spirituale, mostra che l'uomo biblico è un'anima-corpo, un corpo-anima, un tutt'uno, senza separazioni. E rivela che Dio salva senza porre condizione alcuna, per la pura gioia di vedere un figlio camminare libero nel sole, perché la grazia è grazia e non merito o calcolo. Tutti si meravigliarono e lodavano Dio. Attingere alla meraviglia, sapersi incantare per questa divina forza ascensionale che ci risana dal male che contrae e inaridisce la vita, forza che la rende verticale e la incammina verso casa. Per sentieri nel sole.

(Letture: Isaia 43, 18-19. 21-22. 24b-25; Salmo 40; 2 Corinzi 1, 18-22; Marco 2, 1-12)



Padre Ermes Ronchi



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
24/02/2012 00:21


Il Vangelo della prossima Domenica

Il regno di Dio è vicino, fidiamoci

I domenica di Quaresima Anno B

In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».


Il Vangelo di Marco non riporta, a differenza di Luca e Matteo, il contenuto delle tentazioni di Gesù, ma ci ricorda l'essenziale: essere tentato vuol dire dover scegliere. La tentazione è sempre una scelta tra due amori. E vinci quando scegli l'amore più grande. Scegliere è vivere. Noi moriamo, scrive padre Turoldo, perché adoriamo cose da nulla, perché scegliamo amori da nulla. Scegliere il bene più grande. È ciò che fa Gesù che, nei quaranta giorni di prova nel deserto, sceglie, adotta, fa sua la parola generatrice di tutto il suo messaggio: il «Regno di Dio». E oppone alla seduzione di un mondo secondo Satana, la seduzione vincente del mondo come Dio lo sogna. Il male è presente, il male è ciò che fa male all'uomo. Vuoi vincere il male dentro e fuori di te? Gesù stesso indica la via. Prima di lui e dopo di lui, molti sono venuti come profeti e hanno cominciato con il denunciare il male, con il lamentare la caduta dei valori, accusare la cattiveria dei tempi. Come se questa fosse la via per far trionfare il bene. Gesù sceglie un'altra via: piuttosto che denunciare, egli annuncia. Non viene come un riformatore religioso, o come un contestatore moralistico, ma prima di tutto come un messaggero di una novità straordinariamente promettente. Il suo annuncio è un «sì», e non un «no». Vuoi vincere il male? Non basta il tuo sforzo, devi prima conoscere la bellezza di ciò che sta succedendo, la grandezza di un dono che viene da altrove. E questo dono è il Regno di Dio: che è vicino, che è qui, che è dentro di te, mite e possente energia, come seme in grembo di donna. Gesù vince la tentazione scegliendo, e sceglie la bellezza e la forza di un evento, già accaduto e che sempre accade, il farsi vicino del Regno: Dio ha guardato, ha visto la sofferenza, ha detto «basta», viene, è qui, e lotta con te e il cuore e il mondo cambiano. Dio viene e guarisce la vita. Ti dà il suo respiro, il suo sorriso, la sua vita. A tutti e senza misura. E non ti lascia più se tu non lo lasci. Viene perché il mondo sia totalmente diverso, un mondo altro dove si può vivere bene, dove si può trovare la pienezza della vita, la felicità. Non possiamo iniziare la Quaresima con il volto accigliato, ma con un sorriso, quel sorriso che intuisco in Gesù mentre dà avvio alla sua missione con un gioioso annuncio: il regno di Dio è vicino, credeteci, fidatevi di questa cosa buona che è nata. La buona notizia che Gesù annuncia è l'amore. Credi nel Vangelo equivale a dire: fidati dell'amore, dai fiducia all'amore in tutte le sue forme, come forma della terra, come forma del vivere, come forma di Dio. Ricomincia da qui. E sarà il Regno.


(Letture: Genesi 9, 8-15; Salmo 24; 1 Pietro 3, 18-22; Marco 1, 12-15)


Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
02/03/2012 05:55


Il Vangelo della prossima Domenica

Finestre di cielo aperte sul Regno

II Domenica di Quaresima Anno B

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro [...]


Gesù porta i tre discepoli sopra un monte alto. La montagna è la terra dove si posa il primo raggio di sole e indugia l'ultimo, la terra che si innalza nella luce, la più vicina al cielo, quella che Dio sceglie per parlare e rivelarsi. Infatti lassù appaiono Mosè ed Elia, gli unici che hanno veduto Dio. E si trasfigurò davanti a loro. Il Vangelo non evidenzia nessun particolare della trasfigurazione, se non quello delle vesti diventate splendenti. Ma se così luminosa è la materia degli abiti che coprono il corpo, quale non sarà lo splendore del corpo? E se così è il corpo, cosa sarà del cuore? È come quando il cuore è in festa e la festa si comunica al volto, e di festa sono anche i vestiti. Pietro ne è sedotto, prende la parola: che bello essere qui! Facciamo tre capanne. L'entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita: che bello! ci fanno capire che la fede per essere pane, per essere vigorosa, deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un «che bello!» gridato a pieno cuore.

Ciò che seduce Pietro non è l'onnipotenza di Dio, non lo splendore del miracolo, il fascino dell'infinito, ma la bellezza del volto di Gesù. Quel volto è il luogo dove è detto il cuore, il suo cuore di luce; dove l'uomo si sente finalmente a casa: qui è bello stare! Altrove siamo sempre lontani, in viaggio. Il nostro cuore è a casa solo accanto al tuo. Il Vangelo della Trasfigurazione mette energia, dona ali alla nostra speranza: il male e il buio non vinceranno, non è questo il destino dell'uomo. Alimenta un pregiudizio sulla bontà dell'uomo, un pregiudizio positivo: Adamo ha, o meglio, è una luce custodita in un guscio di creta. La sua vocazione è liberare la luce. Avere fede è scoprire, insieme con Pietro, la bellezza del vivere, ridare gusto a ogni cosa che faccio, al mio svegliarmi al mattino, ai miei abbracci, al mio lavoro. Tutta la vita prende senso e si illumina. Ma questo Vangelo ci porta una notizia ancora più bella: la trasfigurazione non è un evento che riguarda Gesù solo, al quale noi assistiamo da spettatori. È un evento che ci riguarda tutti, al quale possiamo e dobbiamo partecipare. Il volto di Gesù sul monte è il volto ultimo dell'uomo, è il presente del futuro.

È come sbirciare per un attimo dentro il Regno, vederlo come una forza possente che preme sulla nostra vita, per trasformarci, per aprire finestre di cielo. Il Vangelo di domenica scorsa chiedeva: convertiti. La conversione è come il movimento del girasole, questo girarsi verso la luce. Il Vangelo di questa domenica offre il risultato: mi giro e trovo il sole, sono irradiato, mi illumino, mi imbevo e godo della luce, il simbolo primo di Dio.


(Letture: Genesi 22, 1-2.9a.10-13.15-18; Salmo 115; Romani 8, 31b-24; Marco 9, 2-10)


Padre Ermes Ronchi





_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
09/03/2012 03:22


Il Vangelo della prossima Domenica

Ogni vita è un tempio, casa di Dio

III Domenica di Quaresima Anno B

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». [...] Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» [...].

Un gesto inatteso, quasi imprevedibile: Gesù che prepara una frusta, la brandisce e attraversa l'atrio del tempio come un torrente impetuoso, che travolge uomini, animali, tavoli e monete. La cosa che più mi colpisce e commuove in Gesù è vedere che in lui c'erano insieme la tenerezza, la dolcezza di una donna innamorata e la determinazione, la forza, il coraggio di un eroe sul campo di battaglia (C. Biscontin). All'avvicinarsi della Pasqua, questo gesto, e le parole che lo interpretano, risuonano carichi di profezia: Non fate della casa del Padre mio un mercato! Del tempio di Gerusalemme, di ogni chiesa, ma soprattutto del cuore. A ogni credente Gesù ripete il suo monito: non fare mercato della fede.

Non adottare con Dio la legge scadente della compravendita di favori, dove tu dai qualcosa a Dio (una Messa, un'offerta, una candela...) perché lui dia qualcosa a te. Se facciamo così, se crediamo di coinvolgere Dio in questo giuoco mercantile, siamo solo dei cambiamonete, e Gesù rovescia il nostro tavolo: Dio non si compra ed è di tutti. Non si compra neanche a prezzo della moneta più pura. Noi siamo salvi perché riceviamo. Casa di Dio è l'uomo: non fare mercato della vita! Non immiserirla alle leggi dell'economia e del denaro. Non vendere dignità e libertà in cambio di cose, non sacrificare la tua famiglia sull'altare di mammona, non sprecare il cuore riducendo i suoi sogni a oro e argento. La triste evidenza che oggi determina il bene e il male, la nuova etica sostiene: più denaro è bene, meno denaro è male. Sotto questa mannaia stolta passano le scelte, politiche o individuali. Ma «l'esistenza non è questione di affari.

È solo danza, che nasce dal traboccare dell'energia» (Osho). Non fare mercato del cuore! Non sottometterlo alla legge del più ricco, né ad altre leggi: quella del più forte, o del più astuto, o del più violento. Leggi sbagliate che stanno dentro la vita come le pecore e i buoi dentro il tempio di Gerusalemme: la sporcano, la profanano. Fuori devono stare, fuori dalla casa di Dio, che è l'uomo. Profanare l'uomo è il peggior sacrilegio che si possa commettere, soprattutto se debole, se bambino, il suo tempio più santo. I Giudei presero la parola: Quale segno ci mostri per fare queste cose? Gesù risponde portando gli uditori su di un altro piano: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò. Non per una sfida a colpi di miracolo, ma perché tutt'altro è il tempio di Dio: è lui crocifisso e risorto, e in lui ogni fratello. Casa di Dio è la vita, tempio fragile, bellissimo e infinito. E se una vita vale poco, niente comunque vale quanto una vita. Perché Lui sulla mia pietra ha posato la sua luce.

(Letture: Esodo 20,1-17; Salmo 18; 1 Corinzi 1,22-25; Giovanni 2,13-25)



Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
11/03/2012 08:29

Liturgia della III Domenica di Quaresima - Anno B *

Commento alle Letture tratto dal MESSALE DELL'ASSEMBLEA CRISTIANA - FESTIVO opera del CENTRO CATECHISTICO SALESIANO Leumann (Torino) Editori ELLE DI CI - ESPERIENZE - EDIZIONI O.R. - QUERINIANA






III DOMENICA DI QUARESIMA
Anno B

MISSALE ROMANUM VETUS ORDO

LETTURE: Es 20,1-17; Sal 18; 1 Cor 1,22-25; Gv 2,13-25


Cristo: tempio del culto al Padre

L'evangelista Giovanni introduce alla comprensione del significato della morte-risurrezione, vertice della vita e dell'opera di Gesù e del progetto del Padre. Per la Chiesa si tratta di capire il senso del proprio rinnovamento nell'adesione e nella sequela di Cristo.

Il vero « luogo » del culto
Con il gesto clamoroso, anche se storicamente poco appariscente, della purificazione del tempio (vangelo), Gesù mette in discussione l'istituzione più sacra della tradizione giudaica. Soprattutto è posto sotto accusa il modo comune di interpretare il rapporto con Dio. Il fatto che Dio abitasse nel tempio conduceva Israele alla presunzione di possedere Dio in modo definitivo, anche se la vita quotidiana non si lasciava trasfigurare dal rapporto unico e singolare che Dio aveva stabilito con il suo popolo. I profeti avevano più volte denunciato a chiare lettere l'illusoria sicurezza data dal formalismo religioso (cf Is 1,1ss; Ger 7,1-15; Mic 3,12) per riportare il culto ad integrarsi con la vita. Gesù si colloca in questa linea quando dichiara in modo perentorio la fine dell'istituzione templare, segno di un modo inadeguato di vivere il rapporto con Dio. Il gesto compiuto da Gesù è chiaramente provocatorio e scatena l'opposizione dei Giudei. Per giustificare la sua azione Gesù offre un segno: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Il tempio cui Gesù intende alludere è il suo corpo che sarà distrutto dalla morte, ma riedificato nella risurrezione. Santuario della divina presenza, e vero luogo dell'incontro con Dio è la persona di Gesù. Con la sua vita egli indica quale sia il vero culto che il Padre attende dal suo popolo (cf Gv 4,23-24): fare la volontà di Dio, aderire alla sua Parola, vivere la carità e la giustizia. Non è tanto allora il luogo sacro o il numero dei sacrifici che realizzano la comunione con Dio, quanto soprattutto quei segni ancora più espressivi di una profonda e genuina adesione interiore: l'offerta di sé, della propria obbedienza e volontà di conversione.

Un legalismo duro a morire
La vita cristiana non consiste in una serie di pratiche che possano giustificare o tranquillizzare la nostra «buona coscienza»: messa domenicale, formule frettolose e meccaniche, devozione a qualche santo «parafulmine» contro i guai della vita.
«E' ben misera giustizia o bontà quella che si misura a termini di legge» (Seneca). Per entrare in comunione con Dio è chiamata in causa la vita con tutte le sue scelte quotidiane, piccole o grandi che siano. Il decalogo che Dio offre al suo popolo (prima lettura) non intende fondare un rapporto legalistico, né imporre un giogo; esso indica piuttosto le condizioni attraverso le quali è possibile vivere l'alleanza, quel vincolo unico e irripetibile con il quale Dio si è legato al suo popolo. L'aspetto più originale del «Codice dell'alleanza» è la sua premessa: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dèi di fronte a me...». Il Dio che si è rivelato liberatore del popolo da lui scelto liberamente come alleato e amico, gli indica la strada della libertà. Non accogliere tali indicazioni è lasciarsi presto sopraffare da altri idoli, essere preda di altri «signori».
Questa obbedienza è l'unica possibilità per vivere alla presenza liberante di Dio la comunione con lui. Osservata con animo servile, la legge diventa giogo insopportabile. Solo l'amore diventa l'anima della legge e di essa più esigente ed impegnativo.

L'annuncio della croce
La parola che la Chiesa è chiamata ad annunciare come dono di vita è la parola della croce (seconda lettura), segno supremo dell'amore di Dio. Ma questo messaggio sconcerta chi, in una apparente religiosità, pretende che Dio si adegui ai propri schemi. La vita cristiana non può aggirare o addomesticare la croce. Nel Cristo che muore Dio ha rivelato il volto paradossale della salvezza che diventa accessibile e comprensibile solo a chi possiede lo Spirito.
Facendo suo il progetto del Padre, Cristo ha mostrato come si vive il rapporto con Dio nelle situazioni concrete della vita. Solo l'amore è capace di capire la croce come scelta gioiosa e liberante. Ci sono scelte non contemplate dalla legge che sembrano follia agli occhi del mondo e incomprensibili a chi vive una religiosità superficiale: ... la scelta volontaria della povertà o della verginità, la rinuncia a carriere prestigiose per essere più disponibili agli altri, il servizio agli ammalati, ai vecchi, la dedizione a ogni tipo di emarginati, l'impegno sociale disinteressato. Ma anche dentro la trama di una vita apparentemente monotona e banale, che in definitiva è il volto «feriale» della croce, si realizza una comunione con Dio e sale al Padre quel vero culto che induce a manifestare nelle «opere la realtà nascosta nel sacramento».


Arrivò una donna di Samaria ad attingere acqua

Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo
(Trattato 15, 10-12. 16-17; CCl 36, 154-156)
«E arrivò intanto una donna» (Gv 4, 7): figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma ormai sul punto di esserlo. E' questo il tema della conversione.
Viene senza sapere, trova Gesù che inizia il discorso con lei.
Vediamo su che cosa, vediamo perché «Venne una donna di Samaria ad attingere acqua». I samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano infatti degli stranieri. E' significativo il fatto che questa donna, la quale era figura della Chiesa, provenisse da un popolo straniero. La Chiesa infatti sarebbe venuta dai pagani, che, per i giudei erano stranieri.
Riconosciamoci in lei, e in lei ringraziamo Dio per noi. Ella era una figura non la verità, perché anch'essa prima rappresentò la figura per diventare in seguito verità. Infatti credette in lui, che voleva fare di lei la nostra figura. «Venne, dunque, ad attingere acqua». Era semplicemente venuta ad attingere acqua, come sogliono fare uomini e donne.
«Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani» (Gv 4, 7-9).
Vedete come erano stranieri tra di loro: i giudei non usavano neppure i recipienti dei samaritani. E siccome la donna portava con sé la brocca con cui attingere l'acqua, si meravigliò che un giudeo le domandasse da bere, cosa che i giudei non solevano mai fare. Colui però che domandava da bere, aveva sete della fede della samaritana.
Ascolta ora appunto chi è colui che domanda da bere. «Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Domanda da bere e promette di dissetare. E' bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. «Se tu conoscessi», dice, «il dono di Dio». Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma Gesù parla alla dottrina in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la istruisce. Che c'è infatti di più dolce e di più affettuoso di questa esortazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva»?
Quale acqua, dunque, sta per darle, se non quella di cui è scritto: «E' in te sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Infatti come potranno aver sete coloro che «Si saziano dell'abbondanza della tua casa»? (Sal 35, 9).
Prometteva una certa abbondanza e sazietà di Spirito Santo, ma quella non comprendeva ancora, e, non comprendendo, che cosa rispondeva? La donna gli dice: «Signore dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11, 28). Infatti Gesù le diceva questo, perché non dovesse più faticare, ma la donna non capiva ancora.


MESSALE

Antifona d'Ingresso Sal 24,15-16
I miei occhi sono sempre rivolti al Signore,
perché libera dal laccio i miei piedi.
Volgiti a me e abbi misericordia, Signore,
perché sono povero e solo.



Oculi mei semper ad Dóminum,

quia ipse evéllet de láqueo pedes meos.

Réspice in me et miserére mei,

quóniam únicus et pauper sum ego.


Oppure: Ez 36,23-26
«Quando manifesterò in voi la mia santità,
vi raccoglierò da tutta la terra;
vi aspergerò con acqua pura
e sarete purificati da tutte le vostre sozzure
e io vi darò uno spirito nuovo», dice il Signore.



Cum sanctificátus fúero in vobis,

congregábo vos de univérsis terris;

et effúndam super vos aquam mundam,

et mundabímini ab ómnibus inquinaméntis vestris,

et dabo vobis spíritum novum, dicit Dóminus.

Colletta
Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.



Deus, ómnium misericordiárum et totíus bonitátis auctor, qui peccatórum remédia in ieiúniis, oratiónibus et eleemósynis demonstrásti, hanc humilitátis nostrae confessiónem propítius intuére, ut, qui inclinámur consciéntia nostra, tua semper misericórdia sublevémur. Per Dóminum.


Oppure:
Signore nostro Dio, santo è il tuo nome; piega i nostri cuori ai tuoi comandamenti e donaci la sapienza della croce, perché, liberati dal peccato, che ci chiude nel nostro egoismo, ci apriamo al dono dello Spirito per diventare tempio vivo del tuo amore. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

LITURGIA DELLA PAROLA

Prima Lettura Es 20, 1-17
La legge fu data per mezzo di Mosè.

Dal libro dell'Esodo
[ In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile:
Non avrai altri dèi di fronte a me. ]
Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra, né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra la sua bontà fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
[ Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascia impunito chi pronuncia il suo nome invano.
Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. ] Sei giorni lavorerai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: non farai alcun lavoro, né tu né tuo figlio né tua figlia, né il tuo schiavo né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno del sabato e lo ha consacrato.
[ Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà.
Non ucciderai.
Non commetterai adulterio.
Non ruberai.
Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.
Non desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». ]

Salmo Responsoriale Dal Salmo 18
Signore, tu hai parole di vita eterna.

La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile,
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti,
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro,
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli,
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro,
di molto oro fino,
più dolci del miele
e di un favo stillante.

Seconda Lettura 1Cor 1,22-25
Annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per gli uomini, ma, per coloro che sono chiamati, sapienza di Dio.

Dalla prima lettera di Paolo apostolo ai Corinzi
Fratelli, mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio.
Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.

Canto al Vangelo Gv 3,16
Lode e onore a te, Signore Gesù!
Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito;
chiunque crede in lui ha la vita eterna.
Lode e onore a te, Signore Gesù!






Vangelo Gv 2,13-25
Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere.

Dal vangelo secondo Giovanni
Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.


Sulle Offerte
Per questo sacrificio di riconciliazione perdona, o Padre, i nostri debiti e donaci la forza di perdonare ai nostri fratelli. Per Cristo nostro Signore.



His sacrifíciis, Dómine, concéde placátus, ut, qui própriis orámus absólvi delíctis, fratérna dimíttere studeámus. Per Christum.

Prefazio
Il significato spirituale della Quaresima

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre Santo,
Dio onnipotente ed eterno,
per Cristo nostro Signore.

Ogni anno tu doni ai tuoi fedeli di prepararsi con gioia,
purificati nello spirito, alla celebrazione della Pasqua,
perché, assidui nella preghiera e nella carità operosa,
attingano ai misteri della redenzione
la pienezza della vita nuova
in Cristo tuo Figlio, nostro salvatore.

E noi, uniti agli Angeli e agli Arcangeli,
ai Troni e alle Dominazioni
e alla moltitudine dei Cori celesti,
cantiamo con voce incessante l'inno della tua gloria:

Santo, Santo, Santo il Signore...



Vere dignum et iustum est,

aequum et salutáre,

nos tibi semper et ubíque grátias ágere:

Dómine, sancte Pater, omnípotens aetérne Deus:

per Christum Dóminum nostrum.



Qui, dum aquae sibi pétiit potum a Samaritána praebéri,

iam in ea fídei donum ipse creáverat,

et ita eius fidem sitíre dignátus est,

ut ignem in illa divíni amóris accénderet.



Unde et nos tibi grátias ágimus,

et tuas virtútes cum Angelis praedicámus,

dicéntes:



Sanctus, Sanctus, Sanctus Dóminus Deus Sábaoth...


Antifona alla Comunione Gv 2,23
Molti, vedendo segni che Gesù faceva,
credettero in lui.



Qui bíberit aquam, quam ego dabo ei,

dicit Dóminus, fiet in eo fons

aquae saliéntis in vitam aetérnam.

Oppure: Sal 83,4-5
Il passero trova la casa, la rondine il nido dove porre
i suoi piccoli, presso i tuoi altari, Signore degli eserciti,
mio re e mio Dio. Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi.



Passer invénit sibi domum,

et turtur nidum, ubi repónat pullos suos:

altária tua, Dómine virtútum, Rex meus,

et Deus meus!

Beáti qui hábitant in domo tua,

in saeculum saeculi laudábunt te.

Dopo la Comunione
O Dio, che ci nutri in questa vita con il pane del cielo, pegno della tua gloria, fa' che manifestiamo nelle nostre opere la realtà presente nel sacramento che celebriamo. Per Cristo nostro Signore.



Suméntes pignus caeléstis arcáni, et in terra pósiti iam supérno pane satiáti, te, Dómine, súpplices deprecámur, ut, quod in nobis mystério géritur, ópere impleátur. Per Christum.


Oratio super populum

Rege, Dómine, quaesumus, tuórum corda fidélium, et servis tuis hanc grátiam largíre propítius, ut in tui et próximi dilectióne manéntes plenitúdinem mandatórum tuórum adímpleant. Per Christum.



_________Aurora Ageno___________
OFFLINE
Post: 18.763
Post: 11.136
Registrato il: 02/08/2007
Amministratore
Utente Gold
16/03/2012 08:29



Il Vangelo della prossima Domenica

Dio ci ama tanto da dare suo Figlio


IV Domenica di Quaresima
Anno B

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio (...)».


In questo brano Giovanni ci consegna il nucleo incandescente del suo Vangelo: Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio. È il versetto centrale del quarto Vangelo, il versetto dello stupore che rinasce ogni volta, ad ogni ascolto. Il versetto dal quale scaturisce la storia di Dio con noi. Tra Dio e il mondo, due realtà che tutto dice lontanissime e divergenti, queste parole tracciano il punto di convergenza, il ponte su cui si incontrano e si abbracciano finito ed infinito: l'amore, divino nell'uomo, umano in Dio. Dio ha amato: un verbo al passato, per indicare un'azione che è da sempre, che continua nel presente, e il mondo ne è intriso: «immersi in un mare d'amore, non ce ne rendiamo conto» (G. Vannucci). Noi non siamo cristiani perché amiamo Dio. Siamo cristiani perché crediamo che Dio ci ama. Tanto da dare suo Figlio: Dio ha considerato ogni nostra persona, questo niente cui ha donato un cuore, più importante di se stesso. Ha amato me quanto ha amato Gesù. E questo sarà per sempre: io amato come Cristo. E non solo l'uomo, è il mondo intero che è amato, dice Gesù, la terra è amata, e gli animali e le piante e la creazione tutta. E se Egli ha amato il mondo, anch'io devo amare questa terra, i suoi spazi, i suoi figli, il suo verde, i suoi fiori, la sua bellezza. Terra amata.
Dio ha tanto amato, e noi come lui: «abbiamo bisogno di tanto amore per vivere bene» (J. Maritain). Quando amo in me si raddoppia la vita, aumenta la forza, sono felice. Ogni mio gesto di cura, di tenerezza, di amicizia porta in me la forza di Dio, spalanca una finestra sull'infinito. «È l'amore che fa esistere» (M. Blondel).
A queste parole la notte di Nicodemo si illumina. Lui, il fariseo pauroso, troverà il coraggio, prima impensabile, di reclamare da Pilato il corpo del crocifisso. Dio non ha mandato il Figlio per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato, perché chi crede abbia la vita. A Dio non interessa istruire processi contro di noi, neppure per assolverci nell'ultimo giorno. La vita degli amati non è a misura di tribunale, ma a misura di fioritura e di abbraccio. Cristo, venuto come intenzione di bene, sta dentro la vita come datore di vita e ci chiama ad escludere dall'immagine che abbiamo di Lui, a escludere per sempre, qualsiasi intenzione punitiva, qualsiasi paura. L'amore non fa mai paura, e non conosce altra punizione che punire se stesso.
Dio ha tanto amato, e noi come Lui: ci impegniamo non per salvare il mondo, l'ha già salvato Lui, ma per amarlo; ci impegniamo non per convertire le persone, ma per amarle. Se non per sempre, almeno per oggi; se non tanto, almeno un po' E fare così perché così fa Dio.


(Letture: 2 Cronache 36, 14-16. 19-23; Salmo 136; Efesìni 2, 4-10; Giovanni 3, 14-21)



Padre Ermes Ronchi




_________Aurora Ageno___________
Nuova Discussione
 | 
Rispondi


Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:30. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com