COSTANTINO E NICEA

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bruciolis
00lunedì 7 gennaio 2008 22:08
COSTANTINO E NICEA (seconda parte

Il mondo gira intorno a un niente

In fondo i dissidi interni alla chiesa erano già stati fatti esplodere dai precoci tentativi dei cristiani istruiti di stipare nei propri granai il ricco raccolto spirituale della civiltà greca. Ma i tentativi non ebbero successo, o almeno non per l'intera chiesa.
Già i propugnatori dello gnosticismo (gnosi in greco significa conoscenza), che cercavano di mettere d'accordo il mito con la verità rivelata, fecero fallimento. Dalle loro riflessioni scaturì una strana e oscura teoria della redenzione che concepiva Gesù esclusivamente come una comparsa in un drammatico conflitto universale tra spirito e materia.
La stessa cosa accadde alla grande impresa che vide la partecipazione di Origene e il coinvolgimento di Eusebio, ma il cui protagonista fu Ario (morto nel 336), prete di Alessandria d'Egitto. Comunque la fortuna non arrise al loro tentativo di utilizzare per la dottrina cristiana l'ultimo grande sistema filosofico del paganesimo. Ma questo tentativo produsse un risultato politico: l'ideologia statale costantiniana. Invece la ripercussione teologica di questo esperimento, l'arianesimo, si dimostrò incapace di durare, sebbene il suo fondatore - sacerdote che aveva studiato ad Antiochia, roccaforte dell'intellettualismo greco-orientale - lo propagandasse con energia e intelligenza.
Ecco come lo storico della chiesa Walther von Loewenich definisce l'insegnamento di Ario: « Gesù Cristo è un essere umano dotato di una particolare forza religiosa. In lui anche il principio divino non è uguale all'eterna divinità del Padre e quindi non è assolutamente perfetto ... Quand'anche fosse possibile definire divino tale principio, non gli spetterebbe lo stesso onore dovuto al Padre ». È una creatura venuta dal nulla che ha ottenuto la dignità di figlio soltanto sulla base di una prova etica, quindi un eroe come Ercole, come Achille. Se vogliamo esprimerei con le parole di allora, dobbiamo dire:
Padre e Figlio hanno nature che si assomigliano (homoiusios), ma non sono consustanziali (homousios). Una piccola i divise due teologie, ma essa fu il perno - scrive lo storico Hans Delbriick - sul quale ruotò la storia del mondo. La definizione di Delbruck non era esagerata. Per la prima, volta l'ecumene si divise in due campi contrapposti e in guerra: quello occidentale e quello orientale.
Ario e i suoi seguaci rappresentavano senza dubbio l'oriente greco e possedevano armi pericolosamente affilate, formulazioni penetranti quali: « Ci fu un tempo in cui il Figlio ancora non esisteva », tali da acuire il conflitto. Insegnarono alle masse canzoni a tempo di marcia, con le quali propagandarono la nuova dottrina, e trasferirono la lotta nelle strade.
Contro di essi, come difensori dell'occidente, si scagliarono Alessandro d'Alessandria, vescovo nato nel 282 e morto nel 365 (che scomunicò Ario), e il suo diacono Atanasio (295-373), dal quale prese il nome la dottrina antagonista. Ad Atanasio, predicatore infaticabile e gran ragionatore, parve che la tesi della non-consustanzialità mirasse a distruggere il cristianesimo, perché - questa la sua argomentazione -,se Cristo è soltanto un semidio, « addio monoteismo, addio opera di redenzione!» (Loewenich).
Il dissidio tra le due scuole finì per ingrandirsi a dismisura, tanto che lo stesso imperatore si vide costretto a intervenire, a rendere nota la sua decisione di convocare un concilio per regolare l'intera materia. Il luogo in cui si riunì gli diede il nome: Nikaia (Nicea), oggi Iznik, città non lontana da Nicomedia. Correva l'anno 325 e Bisanzio non era ancora assurta a capitale dell'impero. Costantino stesso volle essere nominato presidente di quell'assemblea ecclesiastica e si arrogò il diritto di prendere la decisione definitiva. Non a torto ci fu curiosità e attesa: come si sarebbe svolto il dibattito teologico presieduto da un profano? Secondo Eusebio quell'assemblea fu la ripetizione della prima pentecoste.

Quel che piace all'imperatore è ciò che Dio vuole

Ario e Atanasio si scontrarono, facendo ricorso a tutti i trucchi dialettici imparati alla scuola dei retori greci: esposero i loro argomenti in forbitissimo linguaggio, con finezze che potevano essere colte soltanto dagli addetti ai lavori.
Costantino assisteva al dissidio senza intervenire, con addosso una veste carica di pietre preziose. Incontrando i ministri del culto si mostrò rispettoso, pur senza abdicare al ruolo autoritario, e si sforzò di comprendere le loro richieste. Ma poi, prima ancora che il dramma giungesse all'epilogo e che l'accanita discussione fosse terminata, si alzò in modo abbastanza repentino e comunicò la decisione che aveva preso: egli era favorevole alla consustanzialità, insomma alla formula di Atanasio, all'occidente. I vescovi accettarono senza fiatare, sebbene fossero quasi tutti partigiani di Ario, Eusebio compreso. Due soltanto osarono rifiutarsi di firmare le decisioni del concilio fissate nell'editto, il quale pubblicava anche il « symbolum nicaenum». Essi vennero esautorati ed esiliati. Ciò che era piaciuto all'imperatore era volontà di Dio.
La sua interpretazione subì alcune modifiche. Fece scrivere alla comunità di Alessandria: « Quello che è piaciuto a trecento vescovi non è altro che la volontà di Dio». Ma se fosse stato onesto fino in fondo, avrebbe dovuto ammettere: « Ciò che è piaciuto al vescovo Hosius di Cordoba (257-358), è stato da me accettato». Era stato lui a indirizzare segretamente Costantino verso la famosa decisione.
Il risultato del concilio, tuttavia, non può non stupire, soprattutto quando si considera che l'arianesimo fu la base teologica della successiva ideologia imperiale costantiniana. La sua realizzazione trova forse spiegazione nel disinteresse dell'allora venticinquenne sovrano per le questioni teologiche. La vittoria su Licinio era appena stata conseguita; l'impero doveva essere di nuovo formato; esistevano gravi problemi, che mettevano in ombra quelli teologici; infine - fattore tutt'altro che secondario - i due uomini che diventeranno i suoi consiglieri personali non avevano ancora un peso determinante nelle decisioni del sovrano: Eusebio di Nicomedia (morto nel 342), ardente sostenitore di Ario, poi diventato vescovo di Costantinopoli, ed Eusebio di Cesarea, l'« araldo del bizantinismo». A quell'epoca Costantino - che ne avesse coscienza o no - era a favore dell'occidente. Ma tutto questo sarebbe cambiato in fretta, subito dopo il suo insediamento a Costantinopoli.

continua




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