Michio Kaku assicura di avere scoperto la prova scientifica che Dio esiste

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wheaton80
00mercoledì 26 marzo 2014 03:13



Uno degli scienziati più rispettati dichiara di aver trovato la prova dell’azione di una forza che “governa tutto”. Il noto Fisico teorico Michio Kaku ha affermato di aver creato una teoria che potrebbe comprovare l’esistenza di Dio. L’informazione ha creato molto scalpore nella comunità scientifica perché Kaku è considerato uno degli scienziati più importanti dei nostri tempi, uno dei creatori e degli sviluppatori della rivoluzionaria teoria delle stringhe ed è quindi molto rispettato in tutto il mondo. Per raggiungere le sue conclusioni, il fisico ha utilizzato un “semi–radio primitivo di tachioni” (particelle teoriche che sono in grado di “decollare” la materia dell’universo o il contatto di vuoto con lei, lasciando tutto libero dalle influenze dell’universo intorno a loro), nuova tecnologia creata nel 2005. Anche se la tecnologia per raggiungere le vere particelle di tachioni è ben lontano dall’essere una realtà, il semi-radio ha alcune proprietà di queste particelle teoriche, che sono in grado di creare l’effetto del reale tachyon in una scala subatomica. Secondo Michio, viviamo in un ‘Matrix’:“Sono arrivato alla conclusione che ci troviamo in un mondo fatto di regole create da un’intelligenza, non molto diverso del suo videogioco preferito, ovviamente, più complesso e impensabile.



Analizzando il comportamento della materia a scala subatomica, colpiti dalle primitive tachioni semi-radio, un piccolo punto nello spazio per la prima volta nella storia, totalmente libero da ogni influenza dell’universo, la materia, la forza o la legge, è percepito il caos assoluto in forma inedita. “Credetemi, tutto quello che fino a oggi abbiamo chiamato caso, non avrà alcun significato. Per me è chiaro che siamo in un piano governato da regole create e non determinate dalle possibilità universali, Dio è un gran matematico”, ha detto lo scienziato.

Fonte: tugoogle.com/NoticiasCristianas/cientifico-michio-kaku-asegura-que-encontro-una-prueba-definitiva-de-que-dios...

23 marzo, 2014
evidenzaliena.altervista.org/2014/03/23/michio-kaku-assicura-di-avere-scoperto-la-prova-scientifica-che-dio...
wheaton80
00sabato 18 febbraio 2017 00:54
Il fisico del CERN:«La causa dell’universo dev’essere trascendente»



«Sono convinto che la fede cristiana è una credenza ragionevole e non vi è alcun conflitto tra le scoperte scientifiche e il cristianesimo. Ritengo che il Creatore dell’universo è il Dio della Bibbia». Così si è presentato Michael G. Strauss, fisico delle particelle del CERN di Ginevra e docente presso l’Università dell’Oklahoma. Poche settimane fa ha infatti aperto il suo sito web personale (www.michaelgstrauss.com), motivandolo così:«Da qualche tempo ho l’opportunità di parlare nelle università, nelle scuole e nelle chiese circa l’intersezione tra la scienza e la fede cristiana. Spesso capita che la gente mi chiede se ho scritto qualcosa su questo per esplorare il tema in modo più dettagliato». Così è nata l’idea di uno spazio virtuale, decisione insolita per un ricercatore di un certo peso: apprezziamo molto dato che tale tematica sul web è solitamente, e purtroppo, inflazionata per la gran parte da avvocati del creazionismo biblico e scienziati dell’ateismo militante. Esperto dell’interazione tra quark e gluoni e attualmente impegnato sulle proprietà del bosone di Higgs, Strauss ha scritto che «come scienziato professionista e come cristiano posso avere qualcosa da offrire alla discussione concernente il rapporto tra cristianesimo, la scienza e pensiero oggettivo».

I suoi primi due articoli (http://www.michaelgstrauss.com/2017/01/should-big-bang-be-disdained.html) sono stati dedicati alla teoria del Big Bang, riflettendo sulla «ripugnanza che questa idea ha generato» fin dall’inizio in certi ambienti positivisti, la quale «è stata alla fine accettata solo perché le prove a suo favore sono schiaccianti e indiscutibili». E’ interessante la sua precisazione:«Quando si sente dire che gli scienziati discutono se il Big Bang si sia davvero verificato, in realtà stanno solo mettendo in discussione ciò che è accaduto nei primi 10 -35 secondi o giù di lì, non se vi è stato un inizio effettivo. Nessuno ha dubbi sul fatto che l’universo visibile era molto piccolo, caldo e denso, circa 13,8 miliardi di anni fa ed è da allora in uno stato di espansione». Il problema è che a molti «non piace l’implicazione teologica e filosofica di un universo che ha avuto un inizio effettivo e continuano a cercare scappatoie. Eppure tutte le osservazioni che abbiamo, tutti i calcoli teorici, e anche alcuni calcoli proiettivi come il teorema di Borde-Guth-Vilenkin, danno credito alla conclusione che tutto lo spazio, il tempo, la materia e l’energia di questo universo ha avuto un inizio.

Il Big Bang è un termine improprio perché non c’è stata una sorta di esplosione, dato che non c’era nulla che esisteva che potesse esplodere. È l’origine dell’universo. Quindi, se questo universo ha avuto un inizio, allora la causa dell’universo non può essere una parte dell’universo. La causa deve essere trascendente, come l’idea cristiana di Dio». Fa bene il prof. Strauss a non parlare di “prova di Dio”, non è saggio mischiare i piani. Ha probabilmente ragione anche quando scrive:«I teisti non avrebbero potuto delineare uno scenario migliore per sostenere il teismo». Lo stesso pensiero del fisico americano è condiviso da altri colleghi, anche importanti premi Nobel, come ad esempio Arno Penzias, Leon Max Lederman e Antony Hewish. Abbiamo raccolto le loro parole in questo dossier: www.uccronline.it/2012/08/12/citazioni-di-scienziati-credenti-cristiani-e-cat... Strauss ha promesso altri articoli in cui discuterà degli scenari alternativi all’origine del nostro universo che non richiederebbero un inizio effettivo di esso, entrando dunque nel vivo del grande dibattito scientifico e filosofico su questa tematica. Buon lavoro!

15 febbraio 2017
www.uccronline.it/2017/02/15/il-fisico-del-cern-la-causa-delluniverso-devesseretrasc...
wheaton80
00venerdì 17 giugno 2022 23:18
Scienza e fede. Se i quanti gettano luce sulla teologia

Quello del dialogo e del confronto fra scienza e fede, o meglio, fra scienza e metafisica, è ormai considerato dalla grande maggioranza della comunità scientifica non più un problema ma una vera e propria opportunità di fronte alla sempre più evidente incapacità dell’uomo di fornire risposta agli infiniti perché che pone l’Universo. Come contributo al dibattito anticipiamo un estratto del saggio dell’astrofisico gesuita Paolo Beltrame, “Forse Dio gioca a dadi?”, su fede e meccanica quantistica, che sarà sul numero in uscita di “Civiltà Cattolica”. Una volta Albert Einstein, rivolgendosi agli scienziati che allora si occupavano della “nuova fisica”, disse:«Il problema quantistico è così straordinariamente importante e difficile che dovrebbe essere all’attenzione di tutti». La “meccanica quantistica” è attualmente la teoria fisica più completa per descrivere la materia, la radiazione e le reciproche interazioni, specialmente in condizioni in cui le precedenti teorie cosiddette “classiche” risultano inadeguate, ossia nei fenomeni di lunghezza o energia atomica e subatomica. La frase di Einstein vale per tutti, perché la fisica quantistica, oltre ad avere un grande impatto tecnologico e conseguentemente sociale, ha importantissime implicazioni nella visione filosofica della realtà [...]. La questione dei fondamenti della meccanica quantistica rimane ancora aperta e appassiona fisici e filosofi della scienza. Ci sono molte pubblicazioni in merito e varie posizioni che si differenziano, anche notevolmente. A un estremo, abbiamo il “realismo”, paladino del fatto che ogni affermazione sul mondo fisico ha valore oggettivo e reale. Le cose sono lì; al limite, il problema è nostro che non riusciamo a conoscerle in maniera completa ed esatta; ma i modelli che abbiamo costruito nel corso dei secoli ci informano realmente, in maniera più o meno accurata, sul mondo come esso veramente è. A questa visione fanno capo la meccanica classica e anche le concezioni filosofiche che considerano la conoscenza come “corrispondenza tra realtà e intelletto”. All’estremo opposto, troviamo lo “strumentalismo” esasperato, e a volte anti-realista. Secondo tale interpretazione le leggi della fisica e la nostra descrizione del mondo hanno un valore semplicemente “pratico”, cioè sono meri strumenti utili per spiegare e prevedere i fenomeni (o meglio, la loro probabilità di concretizzarsi), ma che essenzialmente non rappresentano affatto la realtà, della quale non si può dire nulla (sempre ammesso che esista).

Questa posizione, abbastanza in voga tra i fisici, è stata sostenuta in una certa misura anche dalla scuola di Copenaghen. Qui però non intendiamo entrare in tale dibattito. La visione che proponiamo è quella che potrebbe essere chiamata “conoscenza orizzontale” della meccanica quantistica e della fisica in generale. “Orizzontale” in questo caso si riferisce all’orizzonte, la linea di demarcazione tra la terra e il cielo. Con un breve excursus letterario, possiamo riferirci alla “siepe” e all’“orizzonte” di Giacomo Leopardi. Nell’Infinito è la siepe che esclude la visione di tanta parte dell’orizzonte. Per la concezione classica, essa rappresenta ciò che possiamo vedere e anche i limiti della nostra conoscenza, che è imperfetta per quello che riguarda i dati iniziali e le leggi della natura, e tale imperfezione ci impedisce di vedere l’orizzonte. Quest’ultimo è lì, ma noi non possiamo averne esperienza, a causa della siepe. La concezione quantistica, invece, riesce ad arrivare all’orizzonte stesso, che però è un limite invalicabile e che racchiude tutto il visibile. È un confine naturale, inevitabile e insormontabile, che nasconde ciò che è al di là. Il nostro affanno conoscitivo è racchiuso all’interno di tale orizzonte, in quanto la descrizione dei fenomeni fisici è esclusivamente probabilistica, per la “relazione d’indeterminazione” e per il fatto che la realtà fisica conoscibile è costituita soltanto da elementi “osservabili” (e non dagli “oggetti” stessi): i fenomeni, infatti, esistono in quanto osservati e in quanto entrano in relazione con l’apparato di misurazione. Circa i limiti della conoscenza scientifica, siamo consapevoli di non dire nulla di nuovo. Soprattutto le discipline teologiche e filosofiche considerano la conoscenza scientifica tanto utile quanto limitata e incompleta. Qui però vogliamo far notare due cose. La prima è che sono gli scienziati stessi del XXI secolo a riconoscere esplicitamente i limiti del sapere umano. I fisici di oggi scorgono l’orizzonte e intuiscono che esso è necessario per la scienza, come l’orizzonte geografico è indispensabile per il Pianeta. Questo limite è concepito dall’interno, è la scienza stessa a descriverlo, e non imposto dall’esterno da autorità di natura politica o religiosa, che talvolta non comprendono le dinamiche della ricerca scientifica. La seconda cosa consiste nel riconoscere che l’orizzonte può essere certamente spostato, ampliato, esteso (e come scienziati siamo invitati a farlo) ma la linea di demarcazione della nostra stessa conoscenza è inevitabile e costituisce il fondamento del nostro sapere. Inoltre, il limite suppone la presenza di qualcosa che è al di là del campo visivo.

Questo non coincide necessariamente con l’accettazione di un Dio personale, ma sarebbe abbastanza ingiustificato irrigidirsi caparbiamente sull’idea che oltre «l’ultimo orizzonte escluso allo sguardo» non ci sia nulla. Come abbiamo detto precedentemente, «i fenomeni esistono in quanto osservati e in quanto entrano in relazione con l’apparato di misurazione». Questa frase, attribuita a Bohr, viene riportata da Rovelli nel suo libro Helgoland. Siamo d’accordo con questa idea, sia da un punto di vista epistemologico (conoscitivo), ontologico (descrittivo del reale), sia da un punto di vista teologico. L’impossibilità di distinguere il fenomeno dall’osservazione (sperimentale o matematica) e il fatto che le proprietà delle particelle si manifestano solo quando entrano in relazione con altre entità sembrano eliminare l’esistenza di qualche cosa di oggettivo, che sia autonomo o individuale. Con buona pace di Leibniz, il fondamento del mondo non è costituito da monadi indipendenti e isolate, bensì dalla relazione: la realtà stessa è relazionale. La percezione teologica che vi intravediamo si discosta però da quella di Rovelli, che vede la relazione come una negazione della metafisica e una porta aperta a concezioni vicine a quelle del pensiero orientale. Va tenuto presente che il pensiero teologico cristiano scorge proprio nella Trinità l’attuazione stessa della relazione. La Trinità è relazione in se stessa, relazione con l’universo, e relazione con tutti gli esseri viventi, senzienti o meno. Questa concezione non dev’essere vista in contrapposizione alla precedente. Non lo è, perché «la fisica informa, ma non obbliga né imprigiona», e quindi pluralità di interpretazioni possono benissimo coesistere. Inoltre, il mistero dell’incarnazione ci invita a percepire la presenza dello Spirito in molteplici realtà, invitandoci ad ampliare l’immagine della verità e a cogliere le sue multiformi manifestazioni, anche se presenti in posizioni che ci appaiono distanti. La meccanica quantistica apre a una concezione relazionale e dinamica della realtà. La conoscenza, seria e attenta, della fisica contemporanea ci invita quindi a un dialogo teologico ancora più ricco e variegato di quello a cui siamo abituati.

Paolo Beltrame
04 marzo 2021
www.avvenire.it/agora/pagine/scienza-e-fede-se-i-quanti-gettano-luce-sulla-teologia-paolo-...
wheaton80
00sabato 18 giugno 2022 16:07
"L'Illusione del Diavolo": la guerra dello scientismo radicale a Dio



Lo scientismo minaccia la scienza? Galileo viene dimenticato mentre l'establishment scientifico, su diversi temi, detta linee chiare e veri e propri dogmi di fede su questioni ad oggi insondabili, come la teoria delle stringhe? Soprattutto, come mai un'ampia fetta dell'establishment in questione si occupa di dare fondamenta scientifiche all'ateismo e muove una guerra a Dio degna del più forte razionalismo del XVII e XVIII secolo? Questi temi dibattuti segnano profondamente il dibattito culturale odierno. E portano a lasciar pensare che il dogmatismo scientista sia, in fin dei conti, l'unica pietra miliare su cui interpretare la realtà. David Berlinski si interroga su questi temi ne L'illusione del Diavolo, incisivo trattato in cui mostra come il dogmatismo scientista sia stato promosso, soprattutto, attraverso la propaganda dell'ateismo militante, spesso compita sdoganando l'appoggio a vero e proprio nichilismo, in quanto il pensiero religioso e spirituale è visto come ontologicamente nemico della scienza. Come se la religione scientista dovesse essere l'unico vero culto al posto della religione vissuta come atto di fede e devozione. Berlinski appare in quest'ottica insospettabile nella sua disamina. Ebreo laico, dichiaratamente agnostico, ha una formazione scientifica e filosofica, si è formato all'Università di Princeton e ha svolto ricerca alla Columbia University, per poi insegnare filosofia e matematica in diversi atenei (da Stanford alla Sorbona di Parigi). Pensatore cosmopolita e dinamico, si trova in aperta polemica con chi, nel mondo scientifico, fa della professione d'ateismo e della lotta all'idea di Dio un presupposto per esercitare correttamente le professioni e acquisire visibilità extra-accademica. La polemica è soprattutto col biologo Richard Dawkins, autore di studi che cercano di mostrare, scientificamente, l'inesistenza di Dio. Quella di Berlinski non è una guerra alla scienza, anzi, è una guerra per la scienza. Per il metodo scientifico e la reale ricerca oltre "l'ipotesi secondo cui non siamo altro che accidenti cosmici", vero e proprio "articolo della Fede" di autori come Dawkins, Jacques Monord, Steven Weinberg. Berlinski riconosce che grandi pensatori del passato, da Kenneth Miller, importante biologo darwiniano, a Francis Collins, direttore del progetto "Genoma Umano", hanno ricordato come l'idea religiosa fosse da loro studiata in forma non unicamente militante. E "Stephen Jay Gould, tra i massimi studiosi dell'evoluzione", ha dichiarato che "scienza e religione costituiscono due magisteri che non si accavallano tra di loro". Per tacere della posizione di Albert Einstein sul tema o dei grandi dubbi ontologici emersi sulla scia dei primi esperimenti atomici nel cuore di chi, come Robert Oppenheimer, direttore del Progetto Manhattan, si trovò turbato dal portato distruttivo della loro ricerca.

L'idea che un altro sistema di pensiero possa confrontarsi con il loro è, per Berlinski, il vero problema di molti scienziati moderni. "L'attacco al pensiero religioso" e la ridicolizzazione della sua visione del mondo teleologica e trascendente "segna l'odierno consolidamento dello scientismo" come l'unico sistema di credenze "in cui gli uomini e le donne razionali potrebbero trovare la loro fede, se non proprio la Fede, perlomeno la devozione". Da qui la tendenza a risolvere i problemi irriducibili (teoria generale, fisica quantistica, studio del cervello umano) in cui ancora ci sarebbe da scoprire, dunque da applicare sano metodo scientifico, con narrative. Perfino la stessa teoria del Big Bang si trova di fronte a un margine di aleatorietà crescente mano a mano che si avvicina al momento-zero dell'evento che avrebbe dato origine al tempo e allo spazio: essa descrive con grande accuratezza l'evoluzione dell'universo da un punto preciso del tempo e dello spazio ad oggi, ma non dà risposte definitive sul tempo e lo spazio. E solo alimentando il dubbio, ovvero lo studio sistemico, si potrà scoprire e capire. Berlinski, da agnostico, invita a non ridicolizzare nessuna ipotesi, nemmeno quella che nella scienza fonda il cosiddetto principio antropico o l'idea del Disegno Intelligente. Invita a seguire la lezione del teologo islamico Al-Ghazali, per il quale è spesso stata messa in dubbio la capacità di "un organo finito e limitato come il cervello umano" di "guardare dentro il cuore profondo della materia e della matematica".

Opzione ancor più improbabile quando si fa riferimento a macchine e algoritmi che del cervello umano sono, con vari gradienti, una derivata. La tesi di fondo del pensiero di Berlinski è che ogni narrativa assolutista vada scartata: tanto una religione oscurantista quanto una scienza abbagliante impediscono all’uomo di vedere con i propri occhi, distogliendolo dalla curiosità e dall'utilizzo dell'ingegno e delle facoltà razionali. Entrambe anelano ad una ricerca della verità che passa attraverso la presunzione di possederla già in partenza. L'importanza sociale della scienza impone oggigiorno di rifiutare il dogmatismo di chi preferisce il dominio dei paradigmi e delle narrazioni e usa l'ateismo militante come forma di propaganda di una nuova religione, quella di una Scienza venduta come monolitica e non aperta ai dubbi della sua stessa comunità. Una scienza è tale se, e solo se, opera secondo un metodo induttivo-deduttivo, che passa per osservazioni dei fenomeni e costruzione di ipotesi. Si parte da una necessaria induzione, tramite osservazioni e costruzione di formule, ma si deduce necessariamente tramite un esperimento. Nel momento in cui tutto questo metodo viene meno, si crea uno sfasamento pericoloso, specie se la modellistica prevale sulla sperimentazione reale. Vale per tutti un aneddoto raccontato dialogando con l'autore Valerio Grassi, fisico italiano a lungo nel team del CERN di Ginevra:"Ho letto di un ricercatore che affermava di poter predire un buco nero nel grafene. Lo puoi vedere? No, però le equazioni sono belle e ordinate. Chiaramente queste cose senza senso generano titoli sui giornali, elevano i loro interpreti a sommi sacerdoti, diffondono nel grande pubblico concetti a loro modo affascinanti. Ma la realtà dov’è? Sembra quasi ci sia stato un divorzio col metodo della ricerca tradizionale. Rinnegare il proprio archetipo, nella nostra disciplina, è pericoloso". Quasi come se il mondo fosse un sillogismo, parafrasando Hegel: tutto ciò che è razionalizzabile è reale, tutto ciò che è reale è razionalizzabile. La situazione è evidentemente un pò più complessa e ha a che fare con l'anelito umano a scoprire, esplorare e conoscere. Fatti che non hanno alcuna incoerenza con la volontà di ricercare il senso profondo dell'esistenza e di capire il proprio ruolo nel creato. In cui scienza e religione possono coesistere. Ne era conscio anche Galileo, per il quale, in fin dei conti, tutto si teneva e "la matematica è l’alfabeto nel quale Dio ha scritto l’universo". Una visione profonda e dinamica spesso negata da chi, con l'arma dell'ateismo militante, vuole sostituire alla scienza lo scientismo.

Andrea Muratore
19 aprile 2022
www.ilgiornale.it/news/cultura/lillusione-diavolo-guerra-dello-scientismo-radicale-dio-2025...
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