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Come dare l'ortica ai polli? Molti allevatori offrono questa pianta ai propri animali, ma non sempre gli avicoli la gradiscono. Oggi vedremo insieme appunto quali sono i modi migliori per somministrare l'ortica alle galline. 

L'ortica (Urtica dioica) è davvero la cenerentola degli orti: invasiva, detestata per i dolorosi incontri che regala a chi la sfiora, è una vera e propria bomba dal punto di vista nutrizionale: ricca di vitamine (B2, B3, A, K) e di sostanze utili (potassio, calcio, fosforo, magnesio).


In pollaio l'ortica è utilissima come integratore alimentare, specie d'inverno, visto che pare stimolare la ripresa della deposizione nelle galline. Come somministrarla? Abbiamo vari modi per farlo. Possiamo offrirne le foglie più tenere fresche e tagliuzzate finemente ai polli in gabbia di accrescimento o nei recinti, oppure possiamo lasciarla essiccare e sbriciolarla nel pastone. E ancora, possiamo sbollentarla e unirla sempre al pastone a base di pane o crusca, da fornire d'inverno agli animali. Troverete le indicazioni necessarie nel video che posto qui sotto. 



Tutto sta ad andare oltre al suo pungente abbraccio, dovuto alla presenza di sostanze urticanti nei tricomi, peli unicellulari che si rompono al contatto con un potenziale aggressore liberando le sostanze al loro interno. Ma nella lillipuziana foresta di peli velenosi e non che adombra fusto e foglie dell''ortica, una marea di insetti trova casa, dagli afidi agli imenotteri parassiti degli afidi stessi, fino ai bruchi di tante specie di farfalla.




LIBRI CONSIGLIATI

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Quando, quest'anno, ho deciso di riprendere un gruppo di Gallina Boffa, ho pensato di ripartire pensando direttamente a un obbiettivo preciso da ottenere: la Boffa bianca. Ho pensato che vedere nel pascolo un bel gruppo di Polverara nere e di Boffe bianche sarebbe stata una vista magnifica. Ho preso quindi una femmina avana e un gallo bianco dal Pollaio Rurale La Giuliana, provenienti dalla mia linea di sangue, e per assicurarmi variabilità genetica ho recuperato una femmina nera con una lieve macchiettatura bianca da Stefano Gallo. Il trio si è ambientato senza problemi, e alla fine quest'anno ho ottenuto un gruppetto di giovani Boffe avana, provenienti dai soggetti di Gianni. 



Di questi animali ho tenuto solo 3 giovani femmine, per la rimonta, tutte portatrici del bianco; ma dalla femmina nera di Stefano sembrava non esserci modo di ottenere uova feconde. Per tutta la primavera e l'estate le uova o erano chiare, o mostravano un guscio stranamente fragile. Poi, quest'autunno, la matrona nera di Stefano ha mutato produzione: in un'ultima incubata autunnale di 20 uova, solo 6 sono risultate feconde ed erano tutte uova deposte da lei. 



Alla fine su 6 uova ho avuto 5 pulcini, che ad occhio e croce sembrano essere 4 galletti e una femminuccia, tutti caratterizzati da una livrea scura ma portatori di bianco. Così se riuscirò ad accoppiare questi maschi con le sorellastre avana potrò avere nella prossima generazione delle Boffe candide, come avevo voluto fin dall'inizio, e mantenendo per di più una discreta variabilità genetica.

LIBRI CONSIGLIATI


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Giovani anatre mute grigio perla


Le giovani anatre mute stanno finalmente diventando subadulte e degli 8 nati di quest'estate 3 sembrano essere maschi e 5 invece femmine. Determinare il sesso delle anatre mute non è troppo difficile, e per aiutare chi non ha ancora maturato esperienza in tal senso ho pensato di realizzare un video sull'argomento, che pubblicherò nei prossimi giorni.

Giovani anatre mute grigio perla


Ho deciso di tenere per il momento i vecchi riproduttori e una coppia di giovani (quelli con le caruncole e i tarsi più scuri) e di cedere gli altri esemplari.
Sono bellissimi da vedere, mentre oziano sul prato, con la loro splendida livrea grigia e bianca. Forse il prossimo anno cercherò dei soggetti neri, per rinsanguare, ma per il momento mi godrò queste meraviglie.


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Come evitare sprechi alimentari?

I polli sono incredibilmente abili a sprecare mangime, spargendolo fuori dalle mangiatoie e rovinandolo o disperdendolo. Se usate correttamente, le mangiatoie a tramoggia sono uno dei modi migliori di diminuire gli sprechi. Ecco i tre punti fondamentali da seguire per avere il massimo risultato.



1) Appendete la mangiatoia a tramoggia, in modo che il piatto di beccata sia all'altezza più meno della testa degli animali. In questo modo i movimenti che potrà fare il pollo saranno limitati, e il cibo sparso a terra sarà molto molto minore.
2) Offrite un mangime omogeneo. I polli vedono benissimo forme e colori, per cui se offrirete un miscuglio di granaglie agli animali questi finiranno per mangiare solo quelle che gradiscono di più spargendo fuori il resto. Macinate col molino tutte le granaglie e mescolatele bene in modo che risultino molto omogenee, oppure acquistate direttamente un mangime già pronto.


3) Pesate il cibo. Offrite ogni giorno agli animali la quantità di cibo che essi possono mangiare in un giorno, così che il mangime eventualmente caduto venga minuziosamente raccolto dagli animali affamati.
Questi tre accorgimenti vi faranno ottenere il massimo dalle vostre mangiatoie e vedrete diminuire vistosamente la quantità di cibo sprecato, con benefici secondari indubbi (come la diminuzione di roditori attratti dal cibo sparso a terra). Provate e vedrete che avrete buoni risultati!



gallo di polverara


E come ogni anno, in questa stagione, guardo ai giovani nati in primavera alla ricerca del futuro, valido riproduttore. Tra i galli ha diverse scelte, ma al momento il migliore sembra essere lui. Il ciuffo, per una volta, è totalmente in avanti; gli occhi sono perfettamente arancioni. Gli orecchioni sono bianchi, i tarsi verdi, la livrea ricca di riflessi scarabeo. La taglia è media, ma è comunque il secondo più grande travi maschi nati quest'anno. Il becco è al limite, la mandibola inferiore sembra troppo lunga, ma accoppiandolo con femmine non consanguinee dovrei eliminare il problema. Due cose non mi piacciono: la cresta a cornetti, che è davvero minuscola, e la struttura fisica, con spalle e groppone troppo stretti. Ma l'unico soggetto più largo e robusto sembra avere troppi difetti rispetto allo standard per poterlo usare.

Non resta quindi che aspettare che finisca lo sviluppo per valutarne anche peso, forma e portamento. Nel frattempo alcuni giovani nati quest'estate, tardi, stanno crescendo e fra loro forse troverò un gallo ancora migliore, ma per ora lasciamo che lui, con la sua intraprendenza, si prenda il titolo di futuro riproduttore.

gallo di polverara




polverara bianca

A vederle sul prato di un verde freddo e asettico le Polverara bianche sono un colpo d'occhio davvero notevole. Lo scorso anno avevo deciso di eliminare tutti i soggetti bianchi e di concentrarmi sulla selezione delle nere, per lavorare sui riflessi verdi che tale livrea deve comportare. Ma dopo pochi mesi è emersa, alla prima schiusa, una manciata di soggetti candidi dagli esemplari ebano. Cosa è successo quindi?

Iniziamo col rispondere a una domanda che in tanti mi avete fatto negli scorsi mesi: quale dei due colori, tra bianco e nero, risulta dominante nei polli? E la risposta è... Dipende, perché le cose non sono così lineari come sembrano. Iniziamo col dire che bianco e nero non sono degli alleli diversi di un singolo Lucia genico, ma che si tratta di almeno tre differenti loci, per cui non si può semplicemente parlare di dominanza di un colore sull'altro.
In particolare, una livrea nera è data dall'allele E del locus omonimo E, locus che conta non meno di 8 alleli diversi responsabili tra l'altro della livrea selvatico oro, selvatico frumento, selvatico bruno. La condizione per cui un pollo è nero è data dalla presenza in omozigosi di E (E/E) con l'aggiunta di geni melanizzatori. Nella Polverara è questa (o dovrebbe esserlo) la corretta base del piumaggio.
Per il bianco invece le cose si fanno più complicate. Generalmente nelle Polverara è presente il bianco dominante I, che inibisce la produzione di melanina. I soggetti in cui l'allele è in omozigosi (I/I) appaiono bianchi, mentre in eterozigosi (I/i+) sono bianchi con qualche pezzatura nera. Se il bianco della Polverara fosse dovuto solo al gene I sarebbe quindi bastato eliminare i soggetti bianchi o pezzati dall'allevamento per selezionare solo capi neri. Ma il bianco può essere dovuto, come livrea, anche al gene C+ del bianco recessivo. In particolar modo se in omozigosi l'allele c (c/c) rende il mantello candido, mentre in eterozigosi (C+/c) l'inibizione della melanina scompare e i polli mostrano la loro normale livrea.
Nel caso in oggetto, nel mio gruppo di Polverara erano presenti entrambi i geni del bianco, causando così la ricomparsa di tale colorazione (continua nel primo commento).

polverara bianca


polli al pascolo
Qualche giorno fa, per la prima volta, ho potuto lasciare i giovani nati di quest'anno al pascolo. È sempre un momento speciale vedere il primo approccio dei nostri avicoli alla distesa di erba e alberi che si para loro davanti. Inizialmente guardinghi, muovono i primi passi timidamente iniziando a becchettare, fino a che gli animali più vecchi non li sorpassano con foga e si lanciano a cercare i posticino che tanto amavano sotto gli alberi o tra i cespugli. I giovani allora partono al seguito, lasciando le proprie remore, correndo e svolazzando a più non posso: oramai sono così grandi che i falchetti che regolarmente frequentano il frutteto non rappresentano più un potenziale pericolo. Gli anatroccoli sono sorvegliati a vista dai genitori, che ogni tanto si inalberano proteggendoli se qualche pollo si avvicina un po' troppo a loro. È arrivato uno dei momenti dell'anno, nel mio allevamento, che preferisco di più, il momento in cui vorrei solo sedermi sotto un albero ad ammirare i miei animali scorrazzare al pascolo attorno a me.

piccola anatra muta


La pioggerellina sottile di stamattina ha costellato il prato e le foglie degli alberi di migliaia di gocce d'acqua che rilucono come gioielli. I polli sono indifferenti, inzuppati ma tranquilli: molti infatti scelgono di prendere la pioggia, piuttosto che stare nel ricovero. Ma chi si gode davvero la giornata sono le anatre mute. 

piccola anatra muta


I giovani sono inzaccherati, con un'aria satolla e soddisfatta mentre si godono il fresco e l'acqua c

piccola anatra muta

he ha riempito i contenitori presenti nel loro recinto. La madre è sempre all'erta, anche se ora ha accettato la mia presenza con più serenità e sembra non considerarmi più una minaccia per i suoi piccoli a meno che non mi avvicini a meno di un metro di distanza.

piccola anatra muta


Ero molto curioso invece di capire il comportamento del maschio: non avevo mai lasciato infatti una femmina libera nello stesso recinto del compagno subito dopo la schiusa delle uova. Stavolta ho voluto lasciare fare alla natura e lo spettacolo è stato magnifico. Durante la cova il maschio sostava spesso di fronte al nido, in paziente attesa. Dopo la nascita sembra occuparsi abbastanza attivamente della prole, attaccando i polli che si avvicinino troppo ai suoi anatroccoli. Un gruppo famigliare stupendo che fa davvero tenerezza.

femmina di anatra muta


Ora non devo fare altro che aspettare di vedere come cresceranno i piccoli e quanti maschi e quante femmine avrò, per capire quali e quanti animali tenere per il prossimo anno.

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Giovani Polverara


Il pollaio in questa stagione è sempre affollato dei giovani nati in primavera. Quest'anno le sorprese non sono mancate e gli animali che sono nati mi hanno mostrato quali vie seguire nel prossimo lustro almeno.

La cosa più evidente è stata la manifestazione di una serie di problemi dovuti alla consanguineità. Dopo anni senza aver mai inserito nuovo sangue, e dopo 5 anni di impossibilità di praticare lo spiral mating, quest'anno sono sia comparse livree che credevo perdute sia si sono presentati per la prima volta dei problemi fisici totalmente nuovi.
Dal punto di vista delle colorazioni sono ricomparse la mottled (almeno in apparenza), la bianca recessiva e una nuova livrea grigia, molto particolare. 

pollastra di Polverara


È evidentemente una mutazione del bianco recessivo, e sarebbe bello studiarla, ma...
Ma il soggetto (a destra nella prima foto) mostra un difetto congenito, una malformazione delle ossa del cranio che porta il becco a incrociarsi, causando difficoltà nell'afferrare qualcosa col becco. Sebbene l'animale riesca a nutrirsi regolarmente, non potrò probabilmente riprodurlo. Problema certo legato alla consanguineità, dovuta anche alla morte di alcune femmine adulte a causa di un predatore, nei mesi scorsi, cosa questa che ha diminuito la variabilità genetica del gruppo dei riproduttori.

pollastra di Polverara


Sono nati poi diversi soggetti con ciuffi troppo grandi: bellissimi, ma fuori standard. Non potrò certo tenerli come riproduttori, per cui di fatto sono a disposizione di chi voglia dei polli vivaci e affascinanti.
Di Boffe ne sono nate solo 4, ma le femmine in effetti avevano fatto davvero pochissime uova. 

gallo di Boffa


Le mie gallinelle nane invece si sono date da fare e sono nati molti giovani, quasi tutti di livrea sparviero.



Un anno ricco? Certamente, ma che getta anche pesanti ipoteche: per rimediare alla morte delle riproduttrici dovrò cercare qualche femmina in allevamento diversi dal mio, inserendo per la prima volta dal 2010 nuovo sangue nel mio allevamento.
Ma questa sarà una avventura totalmente nuova, e la racconteremo un'altra volta.



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Capita, a volte, che in pollaio nasca un soggetto diverso da tutti gli altri, che ci lascia sbalorditi per qualche caratteristica. Quest'anno è stata la volta di un galletto di Polverara, che al posto di sfoggiare un paio di mefistofelici cornetti, sembra avere una strana cresta che ricorda quella a coppa della siciliana o forse più compiutamente quella a foglia di quercia della francese Houdan. Ma cosa dovrebbe essere successo?

Difficile dirlo. Nella complicata genetica del pollo, sono alcuni alleli del locus D i responsabili dello sdoppiamento della cresta. Un pollo con base genetica d+/d+ sfoggerà una cresta semplice, un Polverara dalla cresta a cornetti sarà caratterizzato dalla presenza in omozigosi dell'allele Dv (Dv/Dv) mentre una siciliana avrà una cresta a coppa dovuta all'azione di un terzo allele, Dc (Dc/Dc). Su tutti questi alleli possono poi insistere geni modificatori che influiscono sulla forma finale della cresta in questione. In una situazione di eterozigosi, data dall'incrocio di polli a cresta semplice con polli a cresta a cornetti, si ha un patrimonio genetico che comprende l'accoppiata Dv/d+, che comporta un parziale sdoppiamento della cresta. La razza francese Houdan, con la sua cresta a farfalla o a foglia di quercia, non è ben chiaro se sia dotata di una forma modificata di Dc o se invece sia portatrice di un differente allele del locus D.



E il nostro galletto allora? Mistero: si tratta di un incrocio con una gallinella nana, e quindi di una cresta in stato di eterozigosi? O invece si è verificata una mutazione, che ha prodotto al posto di un paio di cornetti una cresta a coppa su cui agiscono dei modificatori della forma? Impossibile dirlo ora. Se fosse vera la prima ipotesi dovremmo osservare una taglia molto piccola del soggetto adulto; per verificare che sia vera la seconda, dovremo aspettare invece che cresca e programmare degli accoppiamenti con animali a cresta semplice per studiare la trasmissibilità del carattere. In ogni caso sarà interessante vedere l'evolversi della situazione, e non ci resta che allevare questo galletto e vedere che sorprese ci riserverà da adulto.

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anatroccoli di anatra muta 1


La prima covata dell'anno era andata male: un solo piccolo nato, morto dopo pochi giorni. Così, quando un paio di giorni fa mamma anatra muta è emersa dal nido guidando fiera questa manciata di piumini ambulanti, ne sono stato felicissimo - oltre che esteticamente estasiato. Credo che poche creature al mondo siano più belle degli anatroccoli di Carina moschata appena nati, coi loro corpi un po' goffi, la testolina arrotondata e i grandi occhi liquidi e scuri. La schiusa, in questa specie, avviene dopo 35-40 giorni di cova: la madre costruisce il nido in un anfratto sicuro, foderandolo col proprio piumino. Durante la cova e dopo la nascita dei piccoli il suo temperamento cambia drasticamente: diventa una belva, e nessuno può pensare di avvicinarsi impunemente alla sua prole. Alla nascita i piccoli sono autonomi, e iniziano a nutrirsi dopo poche ore. Va offerto un buon mangime specifico per anatidi, e bisogna evitare di offrire loro pane o prodotti lievitati. L'acqua è importantissima, e va messa loro a disposizione una vaschetta per il bagno che si di facile accesso e schiusa. Io ho usato il piatto di una mangiatoia di Novital, ma qualunque contenitore basso può andar bene (per vederli in azione, sguazzanti, andate nei miei reels!) . Per i primi giorni i pulcini resteranno soffici concentrati di piume, ma a breve inizieranno a sviluppare le penne ardesia chiaro tipiche della livrea dei genitori, due soggetti grigio perla. Per distinguere i sessi ci vorranno settimane, ma prima che accada avrò tempo di lavorare su un recinto più grande e accogliente, per offrire loro tutto lo spazio di cui hanno bisogno.

anatroccoli di anatra muta 1


maschio di anatra muta


Le anatre mute che ho portato a casa settimane fa si sono adattate bene alla loro nuova dimora. Sono animali molto tranquilli e tra i più semplici - e silenziosi! - avicoli da allevare. Solo quando agitati, ad esempio se mi avvicino troppo, sollevano i ciuffi di penne sul capo e il maschio inizia a soffiare, col collo che avanza e arretra ritmi valente come uno strambo stantuffo. Amo la loro livrea, elegante e semplice, e soprattutto amo i loro grandi occhi scuri, che sembrano piccoli laghi neri. Sono sempre vivaci e attenti, e sembrano scrutarmi con benevolo interesse - ma anche con un po' di diffidenza - quando vado a cambiare e pulire loro l'acqua. Proprio l'approvvigionamento idrico andrà migliorato fortemente quest'anno. Voglio fare arrivare l'acqua corrente in tutti i recinti, in modo da garantire ai miei animali sempre la disponibilità costante di acqua. Per le anatre si tradurrà anche nella possibilità, per me, di pulire più efficacemente la vasca che funge loro anche come bagno privato e alcova. Si, perché queste anatre si accoppiano volentieri in acqua o - come ora, in cui la vasca è troppo piccola per ospitarle entrambe - nelle sue vicinanze. Così non è raro vedere maschio e femmina, congiunti, mentre bevono o si bagnano collo e testa. 

uova di anatra muta


 Da alcuni giorni poi la femmina ha scelto uno dei rifugi che ho predisposto per lei per deporvi le uova. Sono uova grosse, dal guscio verdastro e liscio, che sembra quasi alabastro. Non lascerò tutte le uova nel nido: ogni giorno ne lascio un paio, in modo che la femmina continui a deporre, e porto via le più vecchie. Le sto raccogliendo per destinarle all'incubatrice, conscio che richiederanno qualche sforzo in più rispetto alle uova di gallina per ottenere una buona schiusa. Una volta raccolta una dozzina di uova, lascerò le successive alla femmina, in modo che possa covarle ed espletare così il suo istinto materno. Sono ottime chiocce, di solito, le anatre mute, e madri premurose. Per quest'anno non cederò nuova o anatroccoli, e voglio invece puntare a tenere soggetti con caruncole sempre più nere come si vedevano nei quadri del XVII secolo, dove le anatre mute, da poco giunte in Europa ma già ampiamente allevate e selezionate, sfoggiavano le loro eleganti livree sulla tela per il piacere di pochi signori. Oggi ho il piacere di allevare questi animali diversi dai ceppo commerciali, pesanti e dotati di caruncole rosse; eleganti e leggeri, i miei soggetti sembrano invece usciti appunto da una tela seicentesca. Non vedo l'ora di poterne ammirare la nuova, soffice e zampettante generazione.

femmina di anatra muta



Mi ha sempre leggermente infastidito che la gente si riferisse, parlando con malinconia di qualcosa che stia finendo, come di qualcosa al tramonto. Sarà perché, nella mia campagna, amo la luce del tramonto, specie in inverno, quando già alle tre del pomeriggio a volte il sole è basso e illumina da dietro le erbe e gli animali, donando loro un'aureola incredibile, fatta di penne e foglie e steli intrisi di luce. Sarà perché la luce di quel sole che si appresta a scendere sembra diventare ancora più calda, ancora più accogliente, ancora più totalizzante del solito. Sarà anche perché al tramonto segue la notte, punteggiata di stelle, o luminosa di lune tonde e pallide, o buia e misteriosa come poche cose. Insomma, non trovo malinconia i questo momento della giornata, anche se lo devo accostare a qualcosa che sta finendo, perché quella fine diverrà l'inizio d'altro. Mentre cercavo una foto per un articolo ho scorso il mio archivio e tra tante immagini me ne è saltata agli occhi una (questa), scattata 14 anni fa, quando appena avevo iniziato a muovere i miei primi passi nel mondo dell'avicoltura. In essa, il primo gallo di Polverara da me acquistato sorvegliava le nostre storiche, vecchie galline mentre pascolavano serene, tra i vecchi filari di viti. E rivederla mi ha fatto uno strano effetto.

Ecco, io ancora non lo sapevo, ma dietro quella foto c'era un tramonto metaforico oltre a quello reale. Di li a pochi anni le viti sarebbero state sostituite da alberi da frutta, il vecchio ricovero distrutto e ricostruito, il pollaio completamente rifatto. Sarebbe cambiato il mio rapporto con quella terra, con quella campagna, e la passione per quella razza sarebbe stata la molla capace di far scattare tutto un mondo di cambiamenti. Scorrendo l'archivio fotografico compaiono le foto di centinaia di animali, alcuni dei quali completamente rimossi dalla mia memoria, ma al solo vederli riaffiorano ricordi ed emozioni di schiuse, nascite, accoppiamenti, morti. Tornano le foto degli amici, dei maestri, dei compagni di avicoltura, e penso al tramonto di certe conoscenze perse con le persone che non ci sono più. E in ogni foto vedo un tassello, una maglia di quella lunga catena che mi ha portato a questa foto, che rappresenta l'attuale indirizzo della mia campagna, della mia passione, della mia vita. E anche questa è una foto fatta al tramonto e parla di un tramonto, perché più che mai quest'anno sento che si stanno preparando grandi cambiamenti e che vedrò il tramonto di quella che è la mia attuale quotidianità.



Ma questo tramonto non può spaventarmi, mi trova in attesa di quella luce calda che aprirà la strada a nuovi capitoli di questa storia. Perché l'unico altro momento in cui si trova una luce così calda, radente e accogliente è l'alba. Ricordo un anno in cui tutti i miei animali, che dormivano fuori, sugli alberi, anche nei mesi più freddi, si radunavano insieme all'alba tutti diretti verso il sole nascente, pronti a scaldarsi dei suoi raggi. Ed è questo che cerco nella vita: che la luce calda del tramonto di qualcosa si trasformi nell'altrettanto calda e avvolgente luce di un alba, nell'inizio di nuove avventure, nell'immersione vivifica nel cambiamento non fine a sé stesso ma indirizzato e motivato, spinto dalla passione e dall'ostinazione. E allora, ancora una volta, ci saranno nuovi tramonti e nuove albe. Grazie a Dio.



Come curare i pulcini


In Avicoltura ogni volta che inizia la stagione riproduttiva l'ansia è tutta per pochi, salienti momenti: quelli delle schiuse. I pulcini sono le vere superstar: attendiamo trepidanti di vederli nascere, aspettiamo che emergano dalle uova, ci preoccupiamo del fatto che c'è la facciano o meno. E subito dopo la schiusa li guardiamo, li ammiriamo, cerchiamo di capire se saranno latori di buone caratteristiche e se potremo tenerli con noi a lungo, magari chiedendoci se diventeranno i nuovi riproduttori. Ma è dopo la schiusa che arriva la vera sfida: far crescere al meglio i pulcini. Ecco quindi alcune note su come provvedere ai loro bisogni nelle prime settimane.

Appena nati andranno spostati in una gabbia o allevatrice dotata di una fonte di calore. Può trattarsi di una lampada riscaldante o di una chioccia artificiale, l'importante è che permetta ai piccoli di vivere alla giusta temperatura.
Nei primissimi giorni la fonte di calore dovrà creare nell''allevatrice una zona a 37°C circa, zona in cui i piccoli si raduneranno per gioire del tepore. Questa temperatura andrà via via diminuendo coi giorni, fino ad arrivare a 20°C verso i 20 giorni di vita. In questo senso, la lampada riscaldante risulterà molto comoda permettendo di sollevarla a varie altezze, appesa a un cavalletto, in modo da variare la temperatura percepita al suolo. C'è in modo semplice di capire se la quantità di calore erogata è corretta: osservare i pulcini. Se scorrazzano tranquilli, la temperatura è ok. Se sono tutti ammassati sotto lampada, hanno freddo; se invece si allontanano e restano costantemente ai bordi della gabbia, hanno troppo caldo.
Io uso un mangime primo periodo per i primi due mesi, senza coccidioststico, che sostituisco dai due ai quattro mesi con un secondo periodo integrato con erbe e verdure finemente triturate. Mano a mano che i piccoli crescono vengono spostate in gabbie più grandi, che servono principalmente per difenderlo dai moltissimi predatori che li potrebbero divorare. Verso i due mesi e mezzo i pulcini sono gradatamente abituati a vivere fuori, e ad uscire dalla gabbia: basterà lasciare la porta a porta e dar loro modo piano piano di esplorare il mondo circostante. La gabbia resterà a loro disposizione, luogo sicuro in cui rifugiarsi in caso di bisogno.
È importante che, all'inizio, il pascolo non sia a diretto contatto con quello degli adulti. In questo modo potranno rafforzare le difese immunitarie prima di entrare in contatto inevitabilmente coi parassiti che accompagnano i loro genitori.

Come curare i pulcini


Un tempo la cura e la gestione dei pulcini era legata a tradizioni antiche. Qui in Veneto ad esempio ai pulcini, nati sotto la chioccia, veniva offerto come primo cibo un pastoncino di farina di mais cui veniva mescolato un po' di vino o di aceto, a poco a poco, in modo da ottenere una consistenza grossolana. Questo cibo, integrato quando possibile con un uovo sodo sbriciolato, rappresentava la base dell'alimentazione dei piccoli e della loro balia. In seguito venivano posti al pascolo, sotto una caponàra, ovvero una gabbia con maglie abbastanza grande da trattenere la chioccia ma abbastanza piccole da lasciar girovagare i pulcini, che potevano così esplorare i dintorni e spiluccare steli e insetti pronti a rintanarsi sotto le ali della mamma al primo chiocciare di richiamo. Le famiglie che allevavano i cavalieri, ovvero i bachi da seta, potevano integrare la dieta dei pulcini anche con le crisalidi che venivano sacrificate per ottenere i bozzoli sericei. Verso il mese di vita gli animali venivano lasciati seguire la gallina, ma il loro pastoncino veniva comunque servito dentro la caponàra, per evitare che gli altri polli mangiassero il cibo destinato ai pulcini. E quei pulcini diventavano poi, assieme alle uova, il motore di quella economia familiare gestita dalle paròne de casa, le contadine, che dovevano fare quadrare i conti aiutandosi proprio, anche, coi pulcini.
Oggi quei tempi sono finiti, ma anche noi, come le contadine di un tempo, ci fermiamo a studiare gli occhi scintillanti di un pulcino neonato come se da essi dipendesse il futuro del mondo.

Come curare i pulcini




Dicembre per il frutteto sembra un periodo vuoto e triste. Ma a portare uno sprazzo di colore nel grigiore invernale ci sono i cachi (Diospyros kaki), che col loro arancio vivo trasformano i propri rami spogli in alberi di Natale, pronti per la festa. In verità, in questa stagione, di frutti sui rami ne sono rimasti ben pochi. Gli uccelli infatti li hanno depredati, beccandoli, forandone la buccia e svuotandoli. Eppure, anche quando cadono, mantengono la propria bellezza: traslucidi e solcati da venature brune, sembrano dolci glassati di fresco che, aperti, rivelino al proprio interno una sorgente di braci rosse. Gli uccelli, dicevo. Si, gli uccelli apprezzano forse più di chiunque altro i cachi maturi. Non appena la polpa diventa appena più tenera si alternano appesi ai rami per rubacchiarla attraverso gli squarci che i loro becchi causano sulla buccia. Nel mio frutteto sono soprattutto merli, cinciallegre e codibugnoli a goderne, tanto che raramente qualche frutto resta ancora sui rami a fine dicembre.
In effetti, quando sono andato per scattare qualche foto, solo un frutto resisteva ancora integro sui rami, in alto, nascosto da una selva di ramoscelli sottili, quasi che l'albero volesse proteggere con mani grinzose l'ultimo dei suoi gioielli dall'ingordigia dei pennuti. Proveniente dall'oriente, coltivato da più di 2000 anni, era notissimo per le molte virtù.



Per i permacoltori esso è una vera miniera d'oro: richiede pochissime cure, si adatta anche a climi moderatamente rigidi, produce frutti in una delle stagioni più avare e non ha bisogno di trattamenti contro parassiti o altro: può essere invece utile una periodica fertilizzazione aggiuntiva, specie negli anni in cui frutti sono numerosi, per evitarne la cascola estiva. L'albero di cachi ha un altro grande vantaggio: le grosse foglie carnose, cadute al suolo, si trasformano in humus arricchendo il terreno sottostante la pianta e rendendolo adatto anche a coltivare alla sua ombra frutti di bosco come more e lamponi. Ma anche in pollaio la sua utilità si fa sentire.
Nel recinto dei polli, infatti, l'albero di cachi svolge sia il ruolo di riparo che di... "mangiatoia". In estate produce una bella ombra fitta che rinfresca gli animali, mentre d'inverno i polli che dormono tra i suoi rami hanno modo di becchettare i frutti maturi. In effetti, ora che gli animali sono chiusi in recinto, cerco sempre di fornire loro alcuni cachi: ricchi di vitamine B e C, betacarotene, potassio, proteine, con un minimo apporto calorico, questi frutti son delle vere e proprie bombe nutrizionali in questa stagione in cui anche il pascolo è poco generoso. E ovviamente questi scrigni di bontà non sono buoni solo per i polli: raccolti ancora sodi e fatti maturare in casa, magari tra le mele, quando diventano morbidi possono essere tagliati in due e svuotati con un cucchiaino, magari dopo averne cosparso la polpa con un po' di cacao in polvere. E così i cachi vi daranno ancor più motivi per spingevi a coltivarli nel vostro frutteto, portando in un grigio inverno una ghirlanda arancione.


Gruppo di galline Boffa, anno 2009


In questi giorni ho ricevuto diverse domande sia sul perché io abbia voluto riprendere un gruppo di gallina Boffa dopo tanti anni, sia sul modo in cui si studiano e si ricercano le antiche razze avicole. Ho deciso di prendere due piccioni con una fava e di rispondere a entrambi i quesiti, visto che essi sono profondamente intrecciati. Ho ripreso la Boffa perché sono molto legato a questa razza. L'ho cercata con caparbietà per anni, convinto che qualcosa dell'antica stirpe potesse essere rimasto, e alla fine il tempo mi ha dato ragione. Nel 2009 infatti ho riportato in Veneto, dopo un esilio umbro durato oltre 50 anni, il gruppo di riproduttori che si vede in questa foto. Ma come ero arrivato a questo? 

Ovviamente con impegno e anche con un pizzico di fortuna: dopo aver visto delle foto molto interessanti apparse su un forum ho contattato un avicoltore perugino che allevava un gruppo di questi animali da oltre 50 anni, eredità di una zia scomparsa. Ma era possibile avere una ragionevole certezza che si potesse trattare proprio della Boffa? Qui entra in gioco la ricerca storica in campo avicolo e alcune nozioni di genetica dei polli. Vediamo come. Per conoscere le razze tipiche di un territorio, normalmente, possiamo utilizzare almeno due canali: libri e riviste di Avicoltura, che fanno spesso luce su come certe razze erano nate, si erano diffuse e su quali fossero le loro caratteristiche, e le testimonianze storiche dei contadini anziani, che possono raccontare dettagli preziosi non presenti in letteratura. 

Procedendo in questo senso, si cerca di ampliare la propria visione sempre di più, e sempre attraverso fonti meno "convenzionali", come ad esempio libri antichi di geografia, economia, letteratura, poesia; foto storiche prese da vecchi album di famiglia, in cui magari si scorge la sagoma di qualche volatile, dietro gli sguardi e le pose austere dei nonni in posa; e poi ancora quadri, nature morte, incisioni, bassorilievi e statue, conservati in pinacoteche, collezioni private, chiese e oratori, che possono riservare incredibili sorprese. Tutti questi dati vengono presi, analizzati, ponderati e vagliati attraverso il crivello delle nozioni che abbiamo sulla genetica del pollo, che ci permettono di intendere se ciò che abbiamo di fronte possa comprovare l'esistenza di una razza antica e per capire soprattutto se i soggetti eventualmente ritrovati possano essere compatibili con i dati raccolti in precedenza. 

Nel caso della Boffa, gli animali che mi trovai di fronte nel 2009 non solo rispecchiavano l'identikit che mi avevano lasciato alcuni contadini ottuagenari padovani, ma sembravano usciti dalle foto che avevo ritrovato in alcune riviste degli anni '30 del secolo scorso, come quella in bianco e nero di questo post. Infine, tramite un'altra lettura avevo potuto confermare che la zona da cui provenivano gli zii che avevano dato a quel contadino i primi capi era proprio una di quelle in cui la Boffa era stata diffusa dal Pollaio Provinciale di Padova. 

Boffa, anni '30 del secolo scorso

Ma la ricerca ovviamente non finiva qui. Infatti restavano tanti altri punti da chiarire: quali livree esistevano? Che aspetto avevano i primi soggetti di questa razza, e soprattutto, da quanto tempo si aggiravano nelle campagne padovane? Ovviamente anche a queste domande si poteva trovare risposta: in una vecchia foto scattata in un cortile a Roncajette emerse la prova della presenza della Boffa nera; e dagli scritti del compianto Italo Mazzon, ecco uscire un'incisione ottocentesca che raffigurava una testa di Boffa e che faceva maggior luce sull'origine di questa razza, frutto dell'incrocio tra polli ciuffati e barbuti (Polverara, Padovana) con poli mediterranei locali. Ma le sorprese non erano finite: continuando le ricerche, ecco che in un libro di ornitologia pubblicato nel XVIII secolo compare una bella Boffa, ancora con caratteristiche di transizione, chiamata col nome di gallina patavina barbuta. L'immagine, che vedete in foto, rappresenta la più antica testimonianza della razza? Probabilmente no: in un quadro antecedente di un pittore fiammingo operante in Veneto ecco comparire infatti una gallina simile in tutto e per tutto alle moderne Boffe. 

Insomma, la ricerca storica diventa appassionante, coinvolgente, intrigante come la ricerca del Graal da parte di Indiana Jones. Ma il premio, a volte, è quello di diventare custodi di un frammento di storia. Ed è per questo che ho deciso di riprendere la Boffa: per tornare a contribuire a selezionare e a traghettare nel 21° secolo l'eredità dei nostri avi.

La Boffa in un'incisione del '700