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00giovedì 22 dicembre 2016 14:20
Pranzo a base di









lentikkie [SM=x143606]
Diego.Torme
00giovedì 22 dicembre 2016 15:32
SirNuts
00martedì 27 dicembre 2016 21:40
"La morte è parte naturale della vita.
Gioisci per coloro che intorno a te si trasformano nella Forza.
Dolore non avere.
Rimpianto non avere."
Yoda
Jo3
00mercoledì 28 dicembre 2016 07:31
Gateshead Millennium Bridge,
mescal°
00giovedì 5 gennaio 2017 16:09
www.instagram.com/p/BLndw3AAjBp/?taken-by=paolamaugeri&hl=it

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Volevo far vedere a un amico quanto il figlio della maugeri fosse simile a

666
00giovedì 5 gennaio 2017 18:09
SirNuts
00mercoledì 11 gennaio 2017 20:19
badaze
00mercoledì 11 gennaio 2017 21:05
8J00045692727
Diego.Torme
00venerdì 20 gennaio 2017 14:38
Raiden
00venerdì 20 gennaio 2017 17:44
8788B001%
Diego.Torme
00lunedì 13 febbraio 2017 15:14
zapp brannigan
g
00giovedì 16 febbraio 2017 19:52
Si può dare del coglione ad 1 capo di partito? [SM=x39913]
SirNuts
00lunedì 20 febbraio 2017 22:38
g
00venerdì 14 aprile 2017 20:16
Nord Corea,
“escalation causata da svolta di Trump.
Ma Pyongyang non è la Siria,
ha potenza militare e può rispondere”




Antonio Fiori, docente di Politica e Istituzioni della Corea all’Università di Bologna, vede nella dottrina varata dall'amministrazione Trump la causa di uno scontro dalle conseguenze "disastrose": "L'attendismo di Obama non ha portato buoni frutti, ma la strategia della tensione del tycoon è sciagurata. Quell'area del Pacifico è a resto caos"

di Gianni Rosini | 12 aprile 2017

“Una escalation militare tra Stati Uniti e Corea del Nord? Non la escludo affatto, soprattutto a causa del cambio di atteggiamento di Washington”. Antonio Fiori, docente di Politica e Istituzioni della Corea e dell’Asia Orientale all’Università di Bologna, vede nella nuova strategia varata dall’amministrazione Trump la causa di un possibile scontro dalle conseguenze “disastrose”: “L’atteggiamento attendista dell’amministrazione Obama non ha portato buoni frutti – spiega il docente – perché ha permesso a Pyongyang di sviluppare il proprio arsenale in maniera indisturbata, ma la strategia di Trump è sciagurata. Si deve cercare il dialogo con il regime, nella speranza di normalizzare la situazione, mentre qui stiamo assistendo a uno scontro frontale”.

La strategia politica del Regno Eremita è la stessa da tempo, quella della deterrenza. In sostanza, fare la voce grossa e sviluppare i propri armamenti, soprattutto nucleari, per disincentivare un atteggiamento aggressivo da parte delle potenze esterne. Un modo per mostrare i muscoli internamente, linfa vitale per qualsiasi regime totalitario, che in politica estera contribuisce a quell’isolazionismo che caratterizza il regime di Pyongyang. “Ciò che è cambiato – spiega il professore – è l’atteggiamento degli Stati Uniti, ma in maniera pericolosa. Si è passati dalla ‘pazienza strategica‘ di Barack Obama, troppo attendista e che ha permesso alla dittatura di aumentare la propria potenza militare, a una politica della nuova amministrazione che è veramente sconcertante. Gli Usa rifiutano le richieste nordcoreane di un tavolo negoziale perché chiedono un graduale smantellamento dell’arsenale nucleare. Ma Pyongyang è già una potenza nucleare, è una richiesta improponibile”.

Così, mentre gli Stati Uniti rispondono alle provocazioni militari del nipote del Grande Leader, Kim Il-sung, dicendo che la Repubblica Popolare Democratica di Corea “cerca guai”, riorganizzando le proprie forze nella confinante Corea del Sud e inviando la portaerei nucleare Carl Vinson vicino alle coste della penisola asiatica, Kim Jong-un risponde di essere “pronto a reagire a qualsiasi tipo di guerra”. “Una situazione molto pericolosa – continua il docente – che potrebbe gettare nel caos l’intera area del Pacifico, mettendo a repentaglio la sicurezza degli alleati americani, Corea del Sud e Giappone in testa. L’amministrazione Trump deve capire che non ha a che fare con la Siria questa volta: di fronte ha una potenza militare capace di rispondere molto duramente alle provocazioni”.

Situazione, questa, che la Cina prima di tutti vuole scongiurare. Innanzitutto perché un eventuale collasso de regime di Pyongyang porterebbe a una riunificazione della penisola di Corea sotto forte influenza americana, proprio alle porte di casa. Secondo, perché un epilogo militare sconvolgerebbe tutta l’area. “I recenti colloqui tra Xi Jinping e Donald Trump non hanno portato grandi cambiamenti – continua il docente – ma la Cina ha tutto da perdere in caso di una escalation militare. Ed è probabile che Washington continui a ignorare le richieste di tregua da parte di Pechino proprio per fare pressioni sulla presidenza cinese e costringerla a sua volta a fare pressione sul regime. Ciò che negli Stati Uniti non capiscono è che i cinesi non hanno così tanto potere politico sulla dittatura, che è uno Stato sovrano e indipendente. Chiedere a Pyongyang di chinare la testa di fronte agli Usa va contro qualsiasi logica legata a un regime totalitario”.

L’unica strada percorribile, quindi, è quella del tavolo negoziale. “Diverso da quello del passato – dice Fiori – diverso dalla pazienza strategica, dal Six-party Talks di George W. Bush e anche dal bilateralismo di Bill Clinton, anche se quest’ultimo è quello che ha avuto un po’ più successo. Si deve instaurare una trattativa che divida, innanzitutto, le questioni economiche da quelle politiche, così che un nuovo periodo di tensione non possa frenare i progressi in altri campi, e porti, alla fine e con programmi a lunghissimo tempo, a una riunificazione della Penisola con modello federale, in cui la Corea del Nord mantiene comunque autorità sui suoi territori. Prima di tutto, però, si deve finalmente mettere fine alla mai formalmente conclusa Guerra di Corea (dopo l’armistizio del 1953 non è mai stato firmato un trattato di pace, ndr)”.

Gli Stati Uniti devono però avere la capacità di non rispondere alle future provocazioni del regime che, a pochi giorni dall’anniversario della nascita di Kim Il-sung e della fondazione del Chosŏn inmin’gun, l’Armata Popolare Coreana, potrebbero presto arrivare. Come è già successo nel 2012 con il fallito lancio in orbita di un missile a lungo raggio da parte del regime, azione considerata provocatoria da parte di Washington e che portò alla rottura del neonato Leap Day Agreement. “Se il botta e risposta dovesse continuare – conclude Fiori – non si può escludere l’ipotesi del conflitto. Questo perché gli Usa hanno deciso di intraprendere inspiegabilmente la strategia della tensione. Che si rendano conto, però, che anche attacchi mirati a siti nucleari o anche solo alle rampe di lancio missilistiche nordcoreane provocherebbero conseguenze disastrose”.

Twitter: @GianniRosini
di Gianni Rosini | 12 aprile 2017

Fat


mescal°
00martedì 18 aprile 2017 22:48
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mescal°
00sabato 22 aprile 2017 17:11
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00sabato 29 aprile 2017 15:49
Nato, Trump a Gentiloni:
“Gli ho detto che l’Italia deve dare più soldi.
E lui pagherà” [SM=x143660]




Il presidente Usa in un'intervista Ap ha rivelato parte di un suo colloquio privato con il premier italiano, in cui avrebbe chiesto un aumento del contributo finanziario del nostro Paese all'interno dell'Organizzazione del Nord Atlantico

di F. Q. | 24 aprile 2017

“Stavamo scherzando e io gli ho detto: ‘Devi pagare, devi pagare’. E lui pagherà“. Secondo Donald Trump l’Italia aumenterà i suoi contributi al bilancio della Nato: la rivelazione arriva da un’intervista rilasciata all’Ap, nella quale il presidente degli Usa ha svelato, tra il serio e il faceto, il contenuto di una sua conversazione privata con Paolo Gentiloni. Trump stava rispondendo a una domanda su come ha cambiato l’ufficio di presidenza. E in particolare stava parlando del suo rapporto con i leader stranieri: “Ho sviluppato ottimi rapporti, anche se nessuno lo ha scritto”, è quanto sostenuto da Trump. Poi ha aggiunto: “Tutti pensano che non li tratto bene, perché voglio che paghino di più nella Nato. Ma i rapporti sono ottimi, e loro pagheranno”.

Infine la battuta sul “primo ministro italiano”, che in barba a ogni protocollo rivela il contenuto di un colloquio privato tra due leader internazionali. Incalzato dall’intervistatore di Ap, Trump ha spiegato: “Gentiloni finirà con il pagare. Sai, finora nessuno glielo aveva chiesto. La mia è una presidenza diversa”. L’intervista è stata rilasciata venerdì scorso, un giorno dopo l’incontro tra Gentiloni e il presidente Usa alla Casa Bianca. Un incontro in cui di contro il premier italiano aveva chiesto un “impegno politico e di collaborazione con il nostro Paese” in Libia, con l’obiettivo di “allargare le basi di consenso del governo di Tripoli” e del primo ministro Fayez al Sarraj. Ma la risposta di Trump era stata: “Non vedo un ruolo degli Stati Uniti in Libia, credo che gli Stati Uniti abbiano già abbastanza ruoli”.

Intervistato da Fox News dopo il colloquio alla Casa Bianca, Gentiloni aveva invece definito “legittime” le richieste di Trump in merito all’aumento del contributo finanziario alla Nato. E aveva spiegato che l’Italia progressivamente porterà al 2% del Pil, come previsto dalla Nato, le spese per la difesa: “L’impegno è stato preso”. Questo tema è stato d’altronde uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del presidente Usa: gli Stati Uniti destinano a spese per la Difesa (Nato inclusa) più del 4% del loro Pil, mentre i Paesi europei, salvo qualche eccezione, sono fermi all’1,5%. In realtà però, secondo i dati pubblicati dall’Istituto di ricerca sulla pace internazionale di Stoccolma (Sipri), già lo scorso anno c’è stata un’inversione di tendenza. Le spese per la difesa sono aumentate dell’1,7% negli Stati Uniti e ben del 2,6% in Europa occidentale. L’Italia è proprio il paese in cui è stato registrato l’aumento più notevole, con un +11% fra il 2015 e il 2016.
di F. Q. | 24 aprile 2017

Fat


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00sabato 29 aprile 2017 15:52
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00martedì 2 maggio 2017 14:43
Valentino Parlato è morto,
addio al fondatore e direttore del “Manifesto”.
Il giornale: “Comunista per tutta la vita”




Aveva 86 anni. Nel 2010 finì la sua ultima direzione. Negli ultimi anni aveva scritto della crisi della sinistra "che non si riconosce neanche allo specchio". Di Renzi aveva detto: "E' capace, intelligente, un leader. Ma non mi è mai piaciuto". Di Grillo: "Mi ricorda l'Uomo Qualunque, non ha vere idee"

di F. Q. | 2 maggio 2017



E’ morto Valentino Parlato, fondatore e a più riprese direttore del Manifesto. Parlato aveva 86 anni, essendo nato a Tripoli, in Libia, il 7 febbraio 1931. Ha diretto il quotidiano in 7 periodi diversi: l’ultima volta lasciò il testimone all’attuale direttore, Norma Rangeri. “Comunista per tutta la vita – si legge sul sito del Manifesto – ha militato nel Pci fino alla radiazione, lavorato a Rinascita, fondato e difeso il manifesto in tutta la sua lunga storia. Per ora ci fermiamo qui, abbracciando forte la sua splendida famiglia e tutti i compagni che, come noi, l’hanno conosciuto e gli hanno voluto bene”. Quando lasciò la direzione per l’ultima volta scrisse alla Rangeri: “La crisi non è solo di soldi, ma anche di soldati e di linea. Dopo più di quarant’anni sono fuori di questo manifesto che è stata tanta parte della mia vita”.

Tra le sue ultime uscite, con interviste e interventi, il suo No al referendum costituzionale e il “tradimento” della sinistra col voto a Virginia Raggi alle Comunali di Roma: “Ero talmente indignato verso il Pd che per la prima volta ho tradito la sinistra, spero sia anche l’ultima”. “Renzi – aveva detto alcuni mesi fa – è capace, intelligente. Un leader. Ma non mi è mai piaciuto. Perciò voterò No”. Dei Cinquestelle aveva detto: “La loro protesta è fondata. Tuttavia Grillo mi fa pensare all’Uomo qualunque della mia giovinezza, capace di parlare agli scontenti, ma senza una vera idea. Grillo ti fa contento solo sul breve periodo”.



Gran fumatore, si scaglia contro la legge Sirchia considerandola liberticida. Si è raccontato nel documentario del 2005 Vita e Avventure del Signor di Bric à Brac, realizzato dal figlio Matteo con Roberto Salinas e Marina Catucci, dove ripercorre le tappe fondamentali della sua biografia, dall’infanzia in Libia al comitato centrale di via delle Botteghe Oscure, alla crisi della sinistra “che non si riconosce neanche allo specchio”. Provocatore fino alla fine, ha anche detto di vedere di buon occhio l’elezione di Trump, per spronare la sinistra a riappropriarsi del suo ruolo.


Una voce libera e autorevole. Addio a #ValentinoParlato, tra i fondatori del @ilmanifesto e per anni suo direttore.

— Pietro Grasso (@PietroGrasso) 2 maggio 2017



“Un ultimo saluto a Valentino Parlato, vero intellettuale e grande giornalista che nel corso della sua vita ha fatto del giornalismo indipendente il cuore pulsante del Manifesto. La sua voce critica ci mancherà” ha commentato il ministro della Cultura Dario Franceschini.


Mi rammarica la scomparsa di Valentino Parlato. Giornalista e intellettuale di pregio, la sua voce critica fu spesso stimolo per la sinistra

— Anna Finocchiaro (@FinocchiaroAnna) 2 maggio 2017



Il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ricorda: “Lo avevo salutato pochi giorni fa a un nostro convegno su Gramsci. Un grande giornalista, un compagno. Ci mancherà tantissimo. Un abbraccio ai suoi cari, al collettivo del Manifesto, a tutti i compagni e le compagne che gli hanno voluto bene”.
di F. Q. | 2 maggio 2017

Fat


666
00mercoledì 3 maggio 2017 20:30
Fwd: Polizza n 321891037
mescal°
00mercoledì 3 maggio 2017 22:49
UtthitaTrikonasana
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00mercoledì 8 novembre 2017 20:33



Giornalista Piervincenzi di Nemo
picchiato a Ostia





Vid



Diego.Torme
00lunedì 5 febbraio 2018 17:56
QUELLI DELLA SPECIALE
mescal°
00martedì 6 febbraio 2018 12:03
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mescal°
00giovedì 8 febbraio 2018 11:20
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00lunedì 19 febbraio 2018 12:41
Elezioni, lo [SM=x143645] [SM=x143694] [SM=x143579] sfogo di Razzi:
“Fi non mi candida più, i posti sono finiti [SM=x143647] .
Ora capisco chi vota M5s”

di Gisella Ruccia | 30 gennaio 2018
“La mia candidatura all’estero per Forza Italia? Stavo per dire una parolaccia. Io ho accettato la candidatura, ma mi hanno richiamato dicendo che i posti erano finiti. E allora che cazzo me lo chiedete a fare?”. Lo rivela ai microfoni de La Zanzara (Radio24) il senatore uscente di Forza Italia, Antonio Razzi, che racconta la vicenda kafkiana: “Non c’è più posto, hanno preferito altri fenomeni. Paolo Romani mi ha chiamato per dirmi che c’era un posto per candidarmi all’estero. Io ho risposto che ho lavorato bene nella mia regione, gli abruzzesi mi adorano e mi voterebbero in massa. Ho detto anche che per me sarebbe stata una grande spesa e che volevo riflettere. Romani mi ha risposto di non preoccuparmi, perché mi avrebbero aiutato. Ieri sera l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Poi stamattina, dopo un mio sms, mi ha telefonato e gli ho comunicato la mia decisione di candidarmi. E mi ha detto che non c’è più posto, è tutto pieno”. Poi aggiunge: “Non li ho mandati a quel paese, perché sono uno sportivo democratico. Non me ne frega niente. Ho provato a chiamare Berlusconi, ma non me lo passano mai. Come cazzo faccio a parlare con lui? Gatta ci cova. Non parliamo di quelli che sono andati via dal partito, l’hanno tradito, sono andati a fare i ministri con Ncd, sono tornati a Forza Italia e sono stati pure candidati. Questa per me è sicuramente una umiliazione. E’ giustificato allora il cittadino che non va a votare o che vota il M5S perché è incazzato”. E commenta, sconsolato: “Cosa farò tutto il giorno? Questo me lo chiede sempre mia moglie. In Svizzera stavo dalla mattina alla sera sempre a lavorare, ora non so nemmeno io che cavolo devo fare. Vengo a lavorare con voi, Cruciani e Parenzo. Comunque, non mi deprimo. L’importante è che sta la salute. Di tutto il resto non me ne frega niente”

Fat


Diego.Torme
00lunedì 19 febbraio 2018 14:58
Tiverton
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