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Pio XII-nazismo

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    Il rabbino che demolě la leggenda nera di Pio XII

    di Foberto Persico

    Lo storico ebreo David Dalin rende giustizia a un pontefice che si oppose sempre al nazismo.

    [Da «Tempi» num. 37 del 13/09/2007]

    Un suo articolo uscito anni addietro sul Weekly Standard (26 febbraio 2001) aveva suscitato un vespaio: un rabbino che chiede, pubblicamente e con abbondanza di argomentazioni, che Pio XII, "il Papa di Hitler" accusato di complicitŕ nello sterminio degli ebrei o quantomeno di connivenza col nazismo, sia incluso fra i "giusti" č certo un evento che fa notizia. A firmare la clamorosa apertura era stato rabbi David Dalin, uno degli esponenti di spicco del conservatorismo ebraico, quella corrente del giudaismo che combina un fermo rispetto dei princěpi religiosi tradizionali con una leale apertura alla civiltŕ moderna e ai suoi metodi di critica storica. Non č certo uomo che si fa condizionare dai pregiudizi e dai luoghi comuni, rabbi Dalin, se č cosě libero da aver accettato la proposta di insegnare Storia e teorie politiche all’Ave Maria University di Naples, Florida, il cattolicissimo ateneo fondato dall’ex proprietario di Domino’s Pizza, Tom Monaghan, convertito dalla lettura di Clive Staples Lewis e banditore (nonché generoso finanziatore) di una specie di crociata personale per sottrarre la cultura della Chiesa americana allo strapotere dei liberal.
    E sono proprio costoro, i cattolici non praticanti o del "dissenso", i bersagli polemici de La leggenda nera del Papa di Hitler, il libro, ora edito anche in Italia, in cui Dalin ha sviluppato le sue tesi anticonformiste. Nel saggio il rabbino accusa costoro di sfruttare la tragedia degli ebrei per i propri fini. «Pochissimi fra i molti libri recenti su Pio XII e l’Olocausto - scrive Dalin - riguardano veramente Pio XII e l’Olocausto. Gli attacchi in formato bestseller al papa e alla Chiesa cattolica sono in realtŕ una contesa interna al cattolicesimo sulla direzione della Chiesa di oggi. L’Olocausto č semplicemente la piů grande clava di cui di-spongono i cattoliberal contro i cattolici tradizionali, nel loro tentativo di colpire il papa e quindi di distruggere i tradizionali insegnamenti cattolici, specialmente sulle questioni relative alla sessualitŕ, inclusi l’aborto, la contraccezione, il celibato e il ruolo delle donne nella Chiesa. La polemica antipapale di ex seminaristi come Garry Wills e John Cornwell (autore de Il papa di Hitler), di ex preti come James Carroll, e di altri cattolici liberal non praticanti o arrabiati, sfrutta la tragedia del popolo ebraico durante l’Olocausto per promuovere la loro agenda politica, quella di costringere la Chiesa odierna a dei cambiamenti. Questo dirottamento dell’Olocausto dev’essere respinto. La veritŕ su papa Pio XII dev’essere ripristinata. La guerra culturale liberal contro la tradizione - di cui la controversia su papa Pio XII č un microcosmo - dev’essere riconosciuta per ciň che č, un assalto all’istituzione della Chiesa cattolica e alla religione tradizionale. Questo č un cattivo uso dell’Olocausto a cui gli ebrei devono opporsi. L’Olocausto non puň essere adoperato per scopi partigiani in un tale dibattito».

    Nelle pagine che seguono, Dalin si dedica alacremente al compito, mettendo alla berlina le falsitŕ, le parzialitŕ, gli errori di metodo storico dei libri che accusano Pio XII. Sottolinea la complicitŕ dei mezzi di comunicazione, sempre pronti a dare risonanza alle voci di accusa e a silenziare la difesa: perfino Cornwell, ricorda Dalin, in una intervista all’Economist del dicembre 2004 aveva preso le distanze dal proprio libro, ma la ritrattazione era caduta in un silenzio inversamente proporzionale al clamore di cui era stato circondato il libro. Passa quindi in rassegna le pubblicazioni piů serie in materia, dal celebre (e guardacaso mai ristampato) Roma e gli ebrei. L’azione del Vaticano a favore delle vittime del Nazismo, pubblicato nel 1967 dal console israeliano a Milano Pinchas Lapide, che afferma che Pio XII «fu lo strumento di salvezza di almeno 700 mila, ma forse anche 860 mila, ebrei che dovevano morire per mano nazista», al recente, documentatissimo e in attesa di traduzione Hitler, the War and the Pope di Ronald J. Rychlak. Rabbi Dalin mostra come tutti gli storici seri siano concordi nel riconoscere l’avversione di papa Pacelli per il nazismo, la sua instancabile opera in difesa degli ebrei, il suo totale appoggio a decisi oppositori del regime come il vescovo Van Galen, la sofferta decisione di evitare un’accusa pubblica motivata dal timore, fondato, che essa avrebbe avuto come unica conseguenza un inasprimento delle persecuzioni. E non tralascia un ampio excursus storico, in cui mostra come «il papato ha una lunga tradizione filosemita, che risale almeno al pontificato di Gregorio Magno del sesto secolo».

    Le SS islamiche alla guerra santa

    Ma il capitolo forse piů impressionante del libro di Dalin č quello dedicato al vero antisemitismo dei nostri tempi, quello musulmano, terribilmente impersonato dal gran muftě di Gerusalemme Haj Amin al Husseini. Erede di una tradizione antisemita che risale al massacro degli ebrei di Medina, compiuto da Maometto in persona, distintosi fin dagli anni Venti del Novecento negli eccidi dei primi coloni ebraici stanziati in Palestina, con l’avvento al potere di Hitler Husseini perseguě tenacemente una «alleanza con la Germania, contro l’ebraismo mondiale, per realizzare la Soluzione Finale del problema ebraico dovunque». Trasferitosi nel 1941 a Berlino, dove fu accreditato come leader riconosciuto di tutti gli arabi, «pubblicamente - e ripetutamente - invocň la distruzione dell’ebraismo europeo». Nel 1943, in Bosnia, partecipň al reclutamento di musulmani per una compagnia di SS, i famigerati "soldati Hangar" che sterminarono il 90 per cento degli ebrei di quel paese e bruciarono innumerevoli chiese e villaggi cristiani. Dopo la guerra, poi, Husseini riparň in Egitto, dove fece entrare segretamente un ex ufficiale di un commando nazista, affinché insegnasse gli elementi della guerriglia ai giovani che il muftě stava reclutando: il piů brillante tra quei ragazzi si chiamava Yasser Arafat. «"Il piů pericoloso chierico della storia contemporanea", per usare la frase di Cornwell - sintetizza Dalin - non fu Pio XII ma Haj Amin al Husseini, il cui fondamentalismo islamico č stato tanto pericoloso durante la Seconda guerra mondiale quanto lo č oggi. Il gran muftě fu il collaboratore par excellence dei nazisti: il "muftě di Hitler". Il "papa di Hitler" č un mito».

    © Editoriale Tempi Duri
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    [Modificato da LiviaGloria 26/03/2008 13:12]
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    Ritornano periodicamente le pretestuose accuse contro Pio XII per il suo «silenzio» sulla persecuzione nazista degli ebrei. L'Autore, professore emerito all'Università Gregoriana, che fu uno dei curatori degli Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, ricostruisce la verità dei fatti, anche attraverso documenti di archivio, che dimostrano sia la fermezza del Papa nei confronti del nazismo, sia l'opportunità del suo riserbo, sia soprattutto l'efficacia degli aiuti prestati alle comunità ebraiche d'Europa. Oggi comunque esistono forze che, ripetendo gli attacchi contro Pio XII, lavorano per minare il Papato e la Chiesa cattolica.

    Giornalisti e romanzieri sono sempre alla ricerca di novità per i loro lettori e a tal fine non risparmiano nulla: ricerca di testimoni e di documenti, interviste, spedizioni pericolose. Un solo argomento fa eccezione. Da 40 anni si ripete in tutti i toni lo stesso ritornello: durante l'ultima guerra, quando il regime nazionalsocialista sterminava gli ebrei, il Papa Pio XII sapeva e ha taciuto, mentre con una parola avrebbe potuto salvarli. Oggi la rapsodia si sposta sugli schermi, in un film che riprende il vecchio schema scenico del 1963: il Papa, il quale sarebbe stato informato dell'esistenza dei campi di morte, non muove un dito per salvare le vittime. Più e più volte si è risposto a tale caricatura, che era già stata sfatata dalle testimonianze di gratitudine che si erano moltiplicate quando il Papa era ancora in vita e al momento della sua morte. Tuttavia alla menzogna che trova forza nel suo ripetersi, è bene opporre ancora una volta la realtà.

    In questa quarantennale campagna contro la memoria di Pio XII ricorrono due affermazioni principali: 1) benché informato del genocidio, egli è rimasto passivo; 2) la sua simpatia per la Germania di Hitler, nella quale egli avrebbe visto il baluardo dell'Occidente contro la barbarie sovietica, lo avrebbe indotto a evitare tutto ciò che poteva indebolire il Reich.



    Pio XII e Hitler

    Partiamo dal secondo punto. Una prova della simpatia di Pio XII per la Germania sarebbe il Concordato della Santa Sede con il Reich, firmato il 20 luglio 1933 dal Segretario di Stato, card. E. Pacelli, e dal vicecancelliere del Reich, Fr. von Papen. La proposta del Concordato era stata portata a Roma da von Papen, con l'offerta alla Chiesa di garanzie favorevoli per il culto, per le scuole e per l'insegnamento cattolico. I cattolici tedeschi non avrebbero facilmente capito una decisione della Santa Sede contraria a un atto che sembrava recare una seria protezione legale alla Chiesa in Germanía. Del resto, la decisione spettava a Pio XI, che non era abituato a demandare ad altri le proprie responsabilità. Il Vaticano non si faceva illusioni, ma il Concordato costituiva almeno una base definita per protestare contro gli attacchi ai diritti della Chiesa. In realtà le proteste non si fecero attendere, ed era compito del Segretario di Stato formularle. Il 26 luglio 1933 il card. Pacelli consegnava una Nota all'ambasciatore del Reich:«È intollerabile che nel testo del Concordato si prometta alla Chiesa amicizia e protezione, e che lo Stato, con i suoi alti funzionari e con il direttore dell'Educazione [A. Rosenberg], combatta e insulti la Chiesa. È intollerabile che lo Stato ricordi alla Chiesa gli obblighi del Concordato e che nello stesso tempo si prendano misure (sterilizzazione, divieti di partecipazione ai movimenti cattolici) che violano i diritti della Chiesa»1. E questo sarebbe ciò che un recente articolo di Le Monde chiama «manifestare il proprio amore per il Reich con slanci che rapivano l'ambasciatore tedesco».

    Nonostante il Concordato e le note di protesta del card. Pacelli, i rapporti tra la Chiesa e il Terzo Reich andavano peggiorando sempre più. Il regime si scatenava contro i sacerdoti (processi per corruzione e traffico di valuta) e contro la scuola. Il 12 gennaio 1937 i cardinali tedeschi, gli arcivescovi di Breslavia, Monaco e Colonia, e i vescovi di Berlino e di Münster furono convocati a Roma per discutere con Pio XI e con il card. Pacelli sulla situazione della Chiesa in Germanía; e si convenne sull'opportunità di un'enciclica che condannasse il neopaganesimo del regime. Il card. Pacelli pregò il card. M. von Faulhaber di stendere un primo abbozzo. La mattina del 21 gennaio questi consegnava al Segretario di Stato undici pagine di suo pugno, che esponevano la dottrina cristiana di fronte al neopaganesimo nazista. Il card. Pacelli vi prepose un'introduzione storica sul Concordato e sul modo con cui esso veniva applicato dallo Stato nazionalsocialista2. Fu l'enciclica Mit brennender Sorge3.

    Il Papa aveva fatto di tutto per mantenere fede agli impegni assunti. Glí fu risposto con lo «svisare arbitrariamente i patti, eluderli, svuotarli e finalmente violarli più o meno apertamente»4. Il corpo della lettera denunciava gli errori dottrinali del nazionalsocialismo: «Chi fa della razza, o dello Stato, o del Regime, o del detentore del pubblico potere la norma suprema perverte e falsifica l'ordine da Dio creato»5.

    Per mantenere la purezza della dottrina di Gesù Cristo, Dio e uomo, l'enciclica affermala continuità dei due Testamenti contro la tentazione di eliminare quello Antico: «Chi vuole banditi dalla Chiesa e dalla scuola la storia biblica e i saggi insegnamenti dell'Antico Testamento, bestemmia la parola di Dio, bestemmia il piano di salvezza dell'Onnipotente ed erige a giudice dei piani divini un angusto e ristretto pensar umano. Egli rinnega la fede in Gesù Cristo, apparso nella realtà della sua carne, il quale prese natura umana da un popolo, che doveva poi configgerlo in croce. Non comprende nulla del dramma mondiale del Figlio di Dio, il quale oppose al misfatto dei suoi crocifissori, qual sommo sacerdote, l'azione divina della morte redentrice e fece così trovare all'Antico Testamento il suo compimento, la sua fine e la sua sublimazione nel Nuovo Testamento». E proseguiva riaffermando il carattere definitivo della rivelazione di Cristo, la quale «non ammette appendici di origine umana e, ancor meno, succedanei o sostituzioni di "rivelazioni" arbitrarie, che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal così detto mito del sangue e della razza»6. L'esaltazione senza misura del Führer era colpita in maniera sferzante: «Chi osasse di porre accanto a Cristo o, ancor peggio, sopra di Lui e contro di Lui, un semplice mortale, fosse anche il più grande di tutti i tempi, sappia che è un profeta di chimere, a cui si applica spaventosamente la parola della Scrittura: "Colui, che abita nel cielo, ride di lui"».

    È noto che questo documento, introdotto e diffuso segretamente in Germania, fu letto la domenica delle Palme in tutte le chiese della Germania a dispetto della Gestapo. Il 12 aprile l'ambasciatore presentò in Vaticano una nota di protesta. L'enciclica violava il Concordato, spezzava il fronte comune contro il bolscevismo e annullava i buoni effetti dell'enciclica Divini Redemptoris, pubblicata otto giorni prima. L'enciclica dimostrava che la Santa Sede non aveva mai cercato di comprendere il modo di pensare del nazionalsocialismo e mancava di ogni sorta di buona volontà a tale riguardo7. L'ambasciatore riconosceva un medesimo autore nelle note diplomatiche a firma di Pacelli e nell'enciclica a firma di Pio XI.



    Pio XII e la seconda guerra mondiale

    Il card. Pacelli, divenuto Pio XII, non dimenticò le difficoltà che la Chiesa doveva affrontare in Germania. Egli mise in atto tutte le risorse della sua diplomazia per salvare la pace: il progetto di una Conferenza a cinque (5 maggio 1939), le esortazioni alla moderazione rivolte ai tedeschi e ai polacchi, i consigli per un riavvicinamento tra Francia e Italia. Ma, quando la sera del 21 agosto 1939 l'agenzia di stampa tedesca Deutsches Nachrichtenbüro rese noto il patto di non aggressione tedesco-sovietico, fu chiaro in Vaticano che era la guerra e che l'ora della diplomazia era finita. Pio XII lanciò alla radio un ultimo appello alla ragione. Otto giorni dopo (1° settembre 1939), infatti, la Wehrmacht varcava la frontiera polacca, e in un mese la Polonia veniva occupata a ovest dall'esercito tedesco e a est dall'armata rossa. Su un punto almeno Pio XII aveva visto realizzate le sue speranze: l'Italia, alleata della Germania, aveva dichiarato la non belligeranza.

    Nei mesi seguenti il Papa moltiplicò gli sforzi per trattenere Mussolini dall'entrare in guerra a fianco della Germania. Atteggiamento indubbiamente logico da parte del Papa, ma che non può essere visto come una prova di parzialità nei confronti della Germania in guerra. Egli non faceva più affidamento sulla diplomazia per ristabilire la pace tra i belligeranti. Solamente la caduta della dittatura nazista in Germania avrebbe aperto prospettive di pace. Pio XIΙ si decise a un passo difficilmente credibile, se non fosse attestato dagli archivi del Foreign Office: non Gemette di recare il proprio appoggio ai militari tedeschi che progettavano di eliminare Hitler.

    L'11 gennaio 1940 Pio XIΙ convocò l'inviato straordinario e ministro plenipotenziario di Gran Bretagna presso la Santa Sede, sir G. F Osborne d'Arcy, e gli spiegò di aver ricevuto l'emissario di alcuni capi militari tedeschi. Essi, se avessero ottenuto dalla Gran Bretagna l'assicurazione di una pace che non fosse una nuova Compiègne né una pace alla Wilson, sarebbero stati disposti a sostituire l'attuale Governo con un regime con il quale fosse possibile trattare, sulla base di una restaurazione della Polonia e della Cecoslovacchia, ma mantenendo l'unione dell'Austria al Reich. Pio XII si diceva certo della buona fede dell'inviato, senza poter garantire quella dei mandatari, e meno ancora la loro capacità di attuare il cambiamento di regime.

    Il mese seguente Osborne trasmetteva a lord E. W Halifax, ministro degli Esteri della Gran Bretagna, una nuova comunicazione del Papa. Il 7 febbraio 1940, nel ρiù assoluto segreto, l'inglese fu nuovamente introdotto nell'appartamento pontificio. Pio XII spiegò al diplomatico di aver ricevuto un intermediario degno di fiducia dei militari tedeschi, tra i quali un importante generale, sicché la cosa doveva essere presa molto sul serio. Una parte importante dell'esercito voleva sbarazzarsi di Hitler. Il nuovo potere sarebbe stato moderato e conservatore, anche se all'inizio sarebbe stato una dittatura militare. Ciò che gli autori di tale piano speravano dal Papa era che assicurasse presso il Governo britannico che il Reich unito all'Austria poteva ritenersi come base di negoziato. Il Papa manifestava la propria riluttanza a fare tale comunicazione. Tuttavia la sua coscienza non gli consentiva di lasciar cadere anche una sola possibilità su un milione di salvare vite umane. Se Osborne aveva una comunicazione da fargli, sarebbe dovuto passare attraverso il Maestro di Camera, perché non voleva che il Cardinale Segretario di Stato ne fosse messo al corrente8. Nonostante i considerevoli rischi assunti dal Papa, il Governo inglese prestò scarsa considerazione alle proposte del militari tedeschi e lasciò cadere l'opportunità di pace e di salvezza per milioni di persone, tra cui le future vittime della Shoà!Sipossono considerare questi passi come una prova della sollecitudine di Papa Pacelli per la Chiesa in Germania, non certo per il regime nazista.

    Nonostante questo insuccesso, gli interlocutori segreti del Papa mantenevano il contatto con la Santa Sede, tanto che il 6 maggio 1940 Pio XIΙ riceveva l'ambasciatore di Francia, Fr. Charles-Roux, il quale, al termine dell'udienza, telegrafò al proprio Governo: «Di nuovo il Papa e mons. Montini hanno fatto sapere a me e al mio consigliere che, secondo informazioni pervenute loro dall'estero, i tedeschi scateneranno un'offensiva sul fronte occidentale entro brevissimo tempo (una settimana). Vi mando con la posta di domani alcune indicazioni complementari sulla comunicazione verbale fattami. Beninteso, mi limito ad avvertire senza potermi pronunciare sul valore delle informazioni»9. Nella corrispondenza della stessa data l'ambasciatore precisava che l'offensiva sarebbe stata lanciata contemporaneamente contro Francia, Belgio e Olanda, e aggiungeva che i tedeschi contavano molto sul loro bombardieri10. Il ministro britannico Osborne inviò una comunicazíone parallela al Foreign Office, con una annotazione che manifestava lo scarso credito da lui attribuito all'avvertimento11. Anche questo è un episodio attestato dagli archivi francesi e inglesi, sul quale, salvo rarissime eccezioni, i nostri quotidiani, radio e televisioni osservano un profondo silenzio.

    Inoltre la mattina del 22 giugno 1941 la Wehrmacht lanciava i suoi carri armati e aerei contro la Russia sovietica. L'Italia era ora alleata della Germania. Il 5 settembre l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, B. Attolico, domandò a mons. D. Tardini, Segretario per gli Affari Straordinari, se la Santa Sede non potesse rivolgere una parola d'incoraggiamento agli italiani e ai tedeschi impegnati in questa lotta dell'Occidente contro la barbarie sovietica. Tardini fece intendere all'alleato di Hitler che la croce uncinata non era proprio quella delle crocíate12. Questa guerra del Reich contro la Russia sovietica creò presto alla Santa Sede un problema più delicato. Roosevelt forniva già alla Gran Bretagna in guerra l'aiuto del credito e del materiale americano. Poiché la Russia si trovava a sua volta in guerra contro la Germania, il Presidente degli Stati Uniti voleva aiutare anche Stalin contro Hitler. Se l'appoggio alla Gran Bretagna lasciava esitanti molti americani, un aiuto alla Russia sovietica li rendeva ancora più perplessi. I cattolici in particolare vi opponevano l'enciclica di Pio XI che condannava il comunismo ateo, e soprattutto la frase: «Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con lui da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana» (Actes, v 5, 215). Per fare accettare ai cattolici l'aiuto a Stalin e assicurarsi la maggioranza al Congresso, Roosevelt decise di ricorrere a Roma. L'anno precedente aveva affidato a M. C. Taylor l'incarico di rappresentarlo presso Pio XII. Lo rinviò quindi per una breve missione presso il Papa.

    Il 10 settembre 1941 Taylor fu ricevuto dal card. L. Maglione, Segretario di Stato. Spiegò che negli Stati Uniti alcuni cattolici interpretavano l'enciclica Divini Redemptoris rifiutando di distinguere tra il comunismo e il popolo russo, perciò, ai loro occhi, aiutare la Russia significava sostenere il comunismo. Il card. Maglione rispose di stupirsi che una cosa tanto chiara potesse essere oggetto di dubbi: «La Santa Sede ha condannato e condanna il comunismo. Non ha mai pronunciato una parola né può averla pronunciata, contro il popolo russo. Ha pure condannato le dottrine naziste. Chi può dire che il Santo Padre sia avverso e non sia invece molto amico del popolo germanico?». Siccome Taylor insisteva perché il Papa stesso spiegasse l'enciclica del suo Predecessore, il Cardinale ripeté che non ne vedeva la necessità. Ma la Gerarchia [americana] poteva farlo con autorità, senza timore di andare contro gli insegnamenti della Santa Sede» (ivi, 193).

    Tardini riconosceva, sì, che in teoria l'enciclica di Pio XI non si applicava alla situazione presente, ma, in pratica osservava: «Se i russi vincono la guerra, la vittoria è di Stalin. Nessuno potrà più detronizzarlo. E Stalin è il comunismo: il comunismo vittorioso è il comunismo padrone assoluto del continente europeo» (ivi, 218). In conclusione, Tardini riteneva inopportuna qualsiasi dichiarazione per dirimere una questione così scottante. È difficile pensare che Tardini non abbia reso partecipe il Papa delle proprie riflessioni. Tuttavia il 20 settembre, e sotto la forma di una lettera firmata da Tardini, la Segreteria di Stato inviava a mons. Cicognani un'istruzione con l'interpretazione dell'enciclica Divini Redemptoris, come Maglione l'aveva esposta a Taylor (cfr ivi, 240). Cicognani mise al corrente l'arcivescovo di Cincinnati, J. T McNicholas, delle intenzioni del Papa, e il prelato, in una lettera pastorale ai fedeli della sua diocesi, si pronunciò nel senso indicato dalla Santa Sede: il discusso passo dell'enciclica Divini Redemptoris non è da applicarsi al momento presente di conflitto armato (cfr íví, 285 s).

    In ogni caso, sei settimane più tardi (7 dicembre 1941), l'attacco del Giappone contro gli Stati Uniti modificava i dati del problema: USA e URSS diventavano per forza di cose alleati. Ciò non toglie che questa decisione di Pio XII, chiaramente rivelata dagli Archivi della Santa Sede, riduca a nulla le affermazioni tante volte ripetute che Pio XII sarebbe rimasto in silenzio di fronte alle atrocità dei nazisti perché, ossessionato dal pericolo bolscevico, avrebbe visto nel Terzo Reich il baluardo dell'Occidente cristiano.

    Fonte: La Civiltà Cattolica, 2002 III, 117-131, quaderno 3650
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    Pio XII, il Terzo «Reich» e gli ebrei
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    Autore:
    Pierre Blet S.I.
    Contenuti:
    Pio XII, il Terzo «Reich» e gli ebrei
    Iª Parte
    IIª Parte
    «Il Papa sapeva»

    Il Papa sapeva» è il ritornello che si ripete da quasi 40 anni: il Papa sapeva e ha taciuto di fronte alla persecuzione degli ebrei. Affermandolo oggi, si vuol far credere che il Papa sapesse tutto ciò che noi ora sappiamo sulla questione, che sapesse ciò che era avvenuto, ciò che avveniva e ciò che sarebbe avvenuto. Gli si attribuisce una specie d'infallibilità che va ben oltre quello che la definizione del Concilio Vaticano I attribuisce al Pontefice. Pio XII riceveva certamente informazioni, molte informazioni, presunte informazioni. Molte attraverso il canale dei Nunzi, dunque scritte; ne riceveva presumibilmente, ancora più, a voce dai visitatori, di cui non sapremo mai che egli le abbia ricevute, ancor meno ciò che si siano detti. Ricevere informazioni è una cosa, sapere è un'altra cosa; nelle informazioni ricevute occorre distinguere nettamente tra ciò che è verificabile e ciò di cui nulla assicura l'autenticità e la veridicità. A questo proposito è fatica sprecata reclamare urgentemente l'apertura degli Archivi Vaticani ancora chiusi.

    Così, tramite mons. G. Burzio, incaricato di affari della Santa Sede in Slovacchia, erano giunti in Vaticano i primi rapporti sulla deportazione. Il 9 marzo 1942 egli spedì un telegramma urgente in cui rivelava come corresse voce di una deportazione imminente di ebrei, senza distinzione di sesso, età o confessione (Actes, v 8, 453 ). Un anno dopo il 7 aprile 1943 mons. Burzio era ricevuto dal ministro degli Esteri, A. Tuka: «Dopo che io ebbi esposto il motivo della mia visita - scrive al card. Maglione - egli [il ministro] si alterò visibilmente e disse seccato: "Monsignore, non comprendo che ha da vedere il Vaticano con gli ebrei della Slovacchia. Fate sapere alla Santa Sede che io respingo questo passo". La sua missione - diceva Tuka - era di sbarazzare il suo Paese "da questa peste, da questa banda di malfattori e di gangsters". Burzio fece notare che non era giusto trattare da malfattori le migliaia di donne e di fanciulli innocenti compresi nella deportazione precedente. "Vostra Eccellenza - aggiunse - è senza dubbio a conoscenza delle tristi notizie che corrono sulla sorte atroce degli ebrei deportati in Polonia e Ucraina. Tutto il mondo ne parla [...]". Tuka replicò che quei racconti di atrocità erano diffusi dalla propaganda ebraica, "che se risultassero veri non permetterei che un solo ebreo di più varcasse la frontiera slovacca [...]. Deploro che il Vaticano stesso non sia del tutto al riparo da simili influenze", concluse Tuka» (Actes, v 9, 248 s).

    A Parigi, nell'agosto 1942 un segretario della Nunziatura incontra il primo ministro del Governo di Vichy, Pierre Laval, il quale è molto irritato per le dichiarazioni dell'arcivescovo di Tolosa contro gli arresti di ebrei e spiega di essere deciso a consegnare gli ebrei stranieri presenti sul territorio nazionale nelle mani dei tedeschi, che intendono creare per loro in Polonia «una specie di casa madre» (!) (Actes, v 8, p. 627).

    Il 26 settembre 1942, durante la sua breve visita in Vaticano, Taylor consegna una richiesta ufficiale di informazioni. Secondo The Jewish Agency of Palestine diGinevra, la situazione degli ebrei della Polonia o lì deportati era disperata. La conclusione della deportazione era la morte. Ci si trovava di fronte a rapporti a cui si esitava a credere. La sola cosa certa era il silenzio dei deportati. Se ne dovevano trarre le ultime conclusioni? Bisognava lanciare proclami solenni, denunciando di fronte al mondo la persecuzione di cui gli ebrei erano vittime? Non se ne sapeva abbastanza per una condanna energica? Alcuni reclamavano dal Papa questa presa di posizione. Gli alleati, persuasi che essa poteva tornare loro utile, si facevano portavoce delle associazioni ebraiche. Il ministro britannico Osborne aveva portato a Pio XIΙ la dichiarazione degli alleati del 17 dicembre 1942 sui diritti dell'uomo, nella quale si denunciava, in termini forti ma generici, il trattamento inflitto agli ebrei, chiedendogli di confermarlo con un discorso pubblico. Pio XIΙ terminò il Messaggio di Natale esprimendo la speranza della fine dei combattimenti in favore di tutte le vittime della guerra, combattenti, vedove e orfani, esiliati: «Questo voto - egli disse - l'umanità lo deve alle centinaia di migliaia di persone, le quali, senza veruna colpa propria, e talora solo per ragione di nazionalità o di stirpe, sono destinate alla morte o a un progressivo deperimento» (Actes, v 7,166). Il termine ebrei non era espresso, ma i servizi segreti del Reich non sbagliarono: «Egli [Il Papa] accusa virtualmente il popolo tedesco d'ingiustizia verso gli ebrei e si fa portavoce degli ebrei, criminali di guerra».

    Sei mesi più tardi, Pio XII prese la parola ancora una volta. Nel discorso de12 giugno 1943 ai cardinali, cioè un mese dopo la redazione del memorandum, Pio XIΙ lasciò intendere qualcosa del suo pensiero relativamente alle deportazioni. Il discorso riguardava anzitutto i polacchi, ma, senza pronunciarne il nome, menzionava anche gli ebrei: «Non Vi meraviglierete, Venerabili Fratelli e diletti Figli, se l'animo nostro risponde con sollecitudine particolarmente premurosa e commossa alle preghiere di coloro che a Noi si rivolgono, con occhi di implorazione ansiosa, travagliati come sono, per ragione della loro nazionalità o della loro stirpe, da maggiori sciagure e da acuti e gravi dolori, e destinati talora, anche senza colpa propria, a costrizioni sterminatrici»13.

    Perché senza precisarne il nome? Per simpatia per il Terzo Reich? Abbiamo visto che cosa pensare di questa spiegazione. Ma egli stesso si è chiaramente espresso. Già il 13 maggio 1940, nel ricevere l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, D. Alfieri, in udienza di congedo, disse che gli italiani «sanno sicuramente e completamente le orribili cose che avvengono in Polonia. Noi dovremmo dire parole di fuoco contro simili cose, e

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    solo ci trattiene dal farlo il sapere che renderemmo la condizione di quegli infelici, se parlassimo, ancora più dura» (Actes, v. 1, 455).

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    Più tardi la questione di una protesta contro ciò che avveniva in Polonia si pose a Pio XII e ai suoi collaboratori. Bisognava lanciare una solenne protesta di fronte al mondo? Mons. Tardini respinse come inopportuna una manifestazione del genere. «Date le circostanze attuali, una pubblica condanna della

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    Santa Sede sarebbe ampiamente sfruttata a scopi politici da una delle parti in conflitto

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    . Di più, il Governo tedesco, sentendosi colpito, farebbe senza dubbio due cose: inasprirebbe ancora la persecuzione contro il cattolicesimo in Polonia e impedirebbe in tutti i modi che la Santa Sede abbia contatti, comunque, con l'episcopato polacco ed eserciti quell'opera caritativa che ora, per quanto in forma ridotta, può compiere. Sicché, in definitiva, una dichiarazione pubblica della Santa Sede verrebbe ad essere snaturata in se stessa e

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    sfruttata a finalità persecutrici» (Actes, v. 3**, 570).

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    Il Comitato della Croce Rossa aveva organizzato a Ginevra, il 12 febbraio 1943, una riunione con rappresentanti di diverse organizzazioni internazionali. La sig.na Ferrière spiegò l'atteggiamento del Comitato circa il problema ebraico: «Ci si meraviglia che il Comitato Internazionale non protesti presso i Governi. In primo luogo, le proteste non servono a nulla;

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    inoltre possono rendere un pessimo servizio a coloro che si vorrebbero aiutare» (Actes, v. 9, 138 s).

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    E il 2 giugno 1943, dopo avere denunciato senza ambiguità la persecuzione degli ebrei, Pio XII aveva spiegato la sua discrezione: «Ogni parola, da Noi rivolta a questo scopo alle competenti autorità, e ogni nostro pubblico accenno, dovevano essere da noi seriamente ponderati e misurati nell'interesse dei sofferenti stessi, per non rendere, pur senza volerlo, più grave e insopportabile la loro situazíone»14.

    L'incaricato di affari di Roosevelt in Vaticano, H. H. Tittmann, ha riportato nel 1959 le risposte che Pio XII diede alla richiesta, che gli rivolgevano i diplomatici alleati, di denunciare, facendone il nome, Hitler e i nazisti: «Pensavamo - racconta il diplomatico statunitense - che tale dichiarazione avrebbe avuto un effetto profondo sui 300 milioni di cattolici sparsi nel mondo, e avrebbe aiutato materialmente gli alleati a vincere la guerra. Pensavamo che il Santo Padre alla fine avrebbe esaudito la nostra richiesta, perché sapevamo che egli detestava l'ideologia nazista e tutto ciò che la favoriva. Ma egli non lo fece mai. Abbiamo insistito per un certo tempo ed egli ci disse un giorno un po' spazientito: "Ma perché volete che punti il dito e faccia nomi? Ho già dichiarato in tre consecutivi Messaggi di Natale che i principi totalitari antireligiosi sono iniqui, e sono i principi dei nazisti, come ogni bambino può vedere". Allora abbiamo detto: "Ma i vostri Messaggi sono troppo vaghi, sono suscettibili di parecchie interpretazioni. Abbiamo bisogno di qualcosa di ρίù esplicito". Il Papa allora ha spiegato: "Bene, mi rincresce, ma non posso farlo, e per la seguente ragione: [...] ci sono più di 40 milioni di cattolici che parlano tedesco. Se denunciassi i nazisti con il loro nome, come voi volete, e la Germania perdesse la guerra, ogni tedesco avrebbe l'impressione che io ho contribuito alla disfatta, non solo dei nazisti, ma della stessa Germania"». Tittmann concludeva che avevano dovuto rassegnarsi a non insistere più, e aggiungeva che in materia di affari esteri la Santa Sede pensava in termini di decenni, di generazioni e anche di secoli15.

    Ma, mentre osservava in pubblico questa prudente riserva, in segreto, attraverso Nunzi e ambasciatori il Papa interveniva efficacemente là dove la sua parola poteva ancora essere efficace, nel tentativo di recare aiuto alle vittime della persecuzione. Inizialmente il piano dei dirigenti del Terzo Reich era di eliminare gli ebrei dal territorio nazionale. Un rapporto alla Segreteria di Stato citava un discorso di Rosenberg, in cui si dichiarava che per la Germania il problema ebraico non sarebbe stato risolto se non quando l'ultimo ebreo avesse lasciato il territorio del Grande Reich. In tale prospettiva aiutare gli ebrei - e in primo luogo gli ebrei battezzati che avevano perso il sostegno dei loro fratelli di razza - significava facilitarne l'emigrazione e trovare loro una terra di accoglienza. A ciò si adoperò anzitutto la Santa Sede con l'aiuto dell'Opera di San Raffaele, ancor prima della guerra. Soltanto per procurare i 3.000 visti promessi dal Presidente del Brasile, la Santa Sede mise in movimento Nunzi e ambasciatori, con risultati limitati.

    Nel corso degli anni 1941-42 le misure contro gli ebrei avevano assunto un carattere di particolare violenza. L'inizio della campagna di Russia era stato segnato da massacri, alla luce del sole, di popolazioni ebraiche. Nella primavera del 1942 era cominciata la realizzazione di ciò che i documenti segreti del Terzo Reich chiamavano già «la soluzione finale». Le possibilità di emigrazione furono completamente bloccate, e apparve un fenomeno nuovo: la deportazione fuori della Germania, verso ignota destinazione.

    Nel Grande Reich ogni intervento a favore di ebrei era inutile, anzi pericoloso. Il 20 luglio 1942 C. Orsenigo, nunzio in Germania, in seguito a un suo intervento presso il Ministero degli Esteri, a favore di ebrei tedeschi, ripeteva che gli avevano fatto intendere più di una volta che meno parlava degli ebrei, meglio sarebbe stato (cfr Actes, v 8, 603 s). Perciò Pio XII lasciò ai vescovi la decisione di agire sul posto nella misura del possibile. Li spinse a proteggere i propri fedeli, in particolare la gioventù, dalle dottrine di violenza. C'erano però Stati che, pur trovandosi in una sorta di sudditanza nei confronti del Grande Reich, potevano essere sensibili alla voce del Papa, comunicata attraverso i Nunzi: Romania, Slovacchia, Ungheria e Croazia. Quattro volumi dei citati Actes et documents du Saint Siège sono pieni di telegrammi o di lettere che ordinavano ai rappresentanti della Santa Sede d'intervenire presso i Governi di quei Paesi per protestare contro le deportazioni, e presso gli episcopati per invitarli a esercitare allo stesso scopo tutta la loro influenza. A queste istruzioni ai Nunzi e ai delegati si aggiungevano le note diplomatiche consegnate ai rappresentanti di questi stessi Governi presso la Santa Sede per esprimere le proteste del Papa. Si trova persino un telegramma inviato direttamente da Pio XII all'ammiraglio M. Horthy, reggente di Ungheria, telegramma che bloccò momentaneamente le deportazioni.

    I censori di Pio XII condannano oggi questa diplomazia e proclamano perentoriamente: se il Papa avesse parlato chiaro e forte, avrebbe salvato gli ebrei, ne avrebbe salvato di più. Questi critici sono davvero più sicuri di Pio XII e dei suoi consiglieri nel valutare la situazione, giudicare la portata di un discorso pubblico, valutarne le conseguenze? I collaboratori ρίù vicini a Papa Pacelli la pensavano come lui. Mons. Montini, uno dei suoi più stretti collaboratori, lo spiegò pίù tardi, quando iniziò la campagna contro Pio XII, organizzata attorno a un lavoro teatrale: se avesse parlato chiaro e forte, quanti oggi gli rimproverano il suo silenzio lo accuserebbero di aver provocato, con discorsi imprudenti, la morte di migliaia di innocenti. Viene quasi da ridere nel vedere una «storica» di oltreatlantico dichiarare con sicurezza: «Montini si sbaglia». I vescovi polacchi rifugiati a Londra reclamavano quei discorsi di fuoco. I loro colleghi rimasti in Polonia chiedevano invece il silenzio, e della stessa opinione era la Croce Rossa. R. M. W Kempner, procuratore a Norimberga, ha detto dopo la guerra: «Ogni tentativo di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler sarebbe stato non solo un suicidio provocato - come ha dichiarato recentemente Rosenberg -, ma avrebbe affrettato l'esecuzione di un numero ancora maggiore di ebrei e di preti»16. Alle ragioni di prudenza, c'è chi replica: con simili precauzioni non si ottiene nulla. Il Papa aveva il dovere di parlare; tacendo ha fallito la sua missione profetica. Se Pio XII avesse ragionato come i nostri teologi da rotocalchi, e se la sua parola, come è più verosimile, avesse scatenato persecuzioni ancora più violente e raddoppiato il numero delle vittime, i nostri critici di oggi lo accuserebbero di una leggerezza incredibile o di un orgoglio insensato per essersi pronunciato senza considerare le circostanze di tempo, come forse avrebbe fatto un Pontefice del Medioevo.



    Attestati di riconoscenza


    Dell'efficacia dell'azione silenziosa recano testimonianza le innumerevoli espressioni di gratitudine provenienti da parte dei capi e delle organizzazioni ebraiche durante e dopo la guerra. Già nel febbraio 1943 il nunzio a Bucarest, mons. A. Cassulo, aveva trasmesso i ringraziamenti del Presidente della comunità ebraica di Romania: «Il Presidente della comunità israelita di Romania [...] è venuto a ringraziarmi già due volte per l'assistenza e la protezione della Santa Sede a favore dei suoi correligionari, pregandomi di trasmettere al Santo Padre l'espressione della gratitudine di tutta la sua comunità, che in questi difficili tempi aveva avuto nella Nunziatura un efficace sostegno». E lo stesso Cassulo comunicava 15 giorni dopo che proprio il giorno prima il dott. Safran, gran Rabbino di Bucarest, era andato a trovarlo per pregarlo «di trasmettere al Santo Padre l'omaggio di devozione e gli auguri sinceri e deferenti dell'intera comunità, che sa di essere oggetto di tanta paterna sollecitudine da parte dell'augusto Pontefice» (Actes, v 9, cít., 128 e 163).

    Nello stesso periodo dom G. R. Marcone, rappresentante della Santa Sede in Croazia, scriveva nel medesimo senso: «Il Rabbino maggiore di Zagabria mi ha pregato di esprimere i suoi vivissimi ringraziamenti alla Santa Sede per l'aiuto efficace da essa prestato nel trasferimento di un gruppo di ragazzi ebrei da Zagabria in Turchia» (ivi, 139). Il Delegato Apostolico in Turchia, mons. A. G. Roncalli, scriveva il 22 maggio 1943:«Oggi stesso il segretario dell'Agenzia Giudaica per la Palestina, Ch. Barlas, venne a ringraziarmi e a ringraziare la Santa Sede per il felicissimo successo delle sue pratiche a favore degli israeliti di Slovacchia» (ivi, 307).

    Il Gran Rabbino di Gerusalemme, I. Herzog, esprimeva in una lettera del 19 luglio al Segretario di Stato la sua riconoscenza verso il Papa, i cui sforzi in favore dei rifugiati «hanno suscitato un sentimento di gratitudine nel cuore di milioni di uomini» (ivi, 403 e 575).E in uria forma sostanzialmente identica alcune comunità ebraiche del Sud America, Cile, Uruguay, Bolivia, scrissero ai rappresentanti della Santa Sede per esprimere la loro riconoscenza al Papa.

    Assai significativo è anche l'articolo, apparso il 27 settembre 1944 sul quotidiano Mantuirea a firma del rabbino Safran. Il titolo da solo diceva tutto: «Il nunzio apostolico ha ottenuto che si rinunciasse alla deportazione degli ebrei in Transnistria. Dio lo ricompensi per ciò che ha fatto». Ecco altre testimonianze ancora più convincenti, perché non ispirate dalla necessità di nuovi aiuti: quella del Gran Rabbino di Roma, Zolli, che si converte al cattolicesimo assumendo come nome di battesimo Eugenio, per riconoscenza verso Eugenio Pacelli17; il senatore Isaia Levi, che lascia alla Santa Sede la sua villa «Giorgina», così chiamata dal nome della figlia morta in tenera età; villa circondata da un parco con alberi rari, fontane, reperti antichi, oggi sede della Nunziatura in Italia. È nota la dichiarazione di Golda Meir, ministro degli Esteri dello Stato d'Israele alla morte di Pio XII: «Durante il decennio del terrore nazista, quando il nostro popolo era sottoposto a un terribile martirio, la voce del Papa si è levata per condannare i persecutori e per esprimere compassione per le vittime».

    Oggi il rabbino di New York, D. G. Dalie, si è levato contro questo «abuso dell'Olocausto» da parte di coloro che se ne servono contro la Chiesa. E ricorda una serie di ringraziamenti rivolti a Pio XIΙ da personalità ebraiche particolarmente autorevoli: quello di A. Einstein, in un articolo del dicembre 1940 sul Times Magazine; di C. Weizmann, nel 1943, che fu poi primo presidente d'Israele; di M. Sharett, secondo primo ministro dello Stato d'Israele, che, dopo avere incontrato Pio XII poco dopo la guerra, dichiarò: «Gli ho detto che il mio primo dovere era di ringraziarlo, e in lui la Chiesa cattolica, in nome della comunità ebraica, per quanto aveva fatto in diversi luoghi per soccorrere gli ebrei». Nel febbraio 1944, il Rabbino capo d'Israele inviava un messaggio: «Il popolo d'Israele non dimenticherà mai ciò che fa Sua Santità, e che i Suoi illustri delegati fanno per i nostri infelici fratelli e sorelle nell'ora più tragica della loro storia». Nel settembre 1945 L. Kubowsky, segretario generale del World Jewish Congress ringraziava personalmente il Papa, e il World Jewish Congress donava alla Santa Sede 20.000 dollari «come riconoscenza per l'opera della Santa Sede nel salvare gli ebrei dalla persecuzione fascista e nazista». Nel 1955, mentre l'Italia celebra il decimo anniversario della Liberazione, l'Unione delle Comunità ebraiche d'Italia proclama il 17 aprile giornata di gratitudine per l'assistenza del Papa durante la guerra. E ricorda poi che il 26 maggio successivo «un'Orchestra Filarmonica di artisti ebrei appartenenti a 14 diverse nazioni avevano sollecitato vivamente di poter eseguire alla presenza del Sommo Pontefice qualche saggio per rinnovare, ancora una volta, "un omaggio di riconoscenza e di gratitudine per l'immensa opera di assistenza umana prodigata da Sua Santità per salvare un gran numero di ebrei durante la seconda guerra mondiale"». Nella Sala del Concistoro, essi eseguirono il secondo tempo della VII Sinfonia di Beethoven, sotto la direzione di P. Kletzki di Montreux18.

    E il rabbino D. G. Dalin aggiunge che si potrebbero citare centinala di altri esempi. E protesta contro un libro che definisce «persone dalla testa sfasata (wrong-headed), male informate e anzi sviate» i sopravvissuti dell'olocausto che danno queste testimonianze in favore del Papa, senza rendersi conto - egli sottolinea - che questo significa negare nello stesso tempo la credibilità della loro testimonianza sull'Olocausto stesso. E conclude: «Nessun Papa è stato così ampiamente lodato dagli ebrei, ed essi non si sbagliano»19. Inutile dire che la nostra stampa e le nostre radio hanno trattato con la massima discrezione l'articolo di D. G. Dalin.

    Queste testimonianze formano una convergenza impressionante con i documenti che dimostrano l'attività di Pio XII per salvare quelli che potevano essere salvati. Di fronte a tali documenti e testimonianze, l'idea del «silenzio» di Pio XII è un mito che riceve credito nell'assordante ripetizione dei mass media, iquali in molti casi soffocano riflessione e spirito critico.

    In una Nota del 24 maggio 1937 inviata all'ambasciatore D. von Bergen, il card. Pacelli denunciava le ingiurie infamanti e le calunnie disgustose che apparivano un giorno dopo l'altro sui quotidiani tedeschi, sui periodici e nei discorsi di personalità contro la Chiesa e le istituzioni ecclesiastiche, contro il Papa e i cardinali [Pacelli, in primo luogo] e i vescovi20. Il regime nazista, che gestiva questa propaganda, è crollato. Mala lezione di Goebbels e dei suoi servizi di propaganda non è andata perduta: rovesciando l'accusa che faceva di Pacelli un nemico della Germania, certa propaganda ha fatto di Pio XII un amico del Terzo Reich, complice, con il suo silenzio, dei crimini perpetrati dai nazisti. Oggi, sotto una maschera liberale, forze anonime ripetono ininterrottamente gli stessi attacchi contro Pio XII, e attraverso il suo personaggio storico lavorano per minare il Papato e la Chiesa cattolica.



    Note

    (1) D. ALBRECHT, Der Notenwechsel zwischen dem hl. Stuhl und der deutschen Reichsregierung, Bd. I, Mainz, M. Grünewald, 1965, 265.

    (2) Cfr A. MARTINI, «Il cardinale Faulhaber e l'enciclica "Mit brennender Sorge"», in Archivum Historiae Pontaficiae 2 (1962) 303-320.

    (3) Cfr PIO XI, Lettera enciclica Mit hrennender Sorge (14 marzo 1937), in AAS 29 (1937) 145-167 e in Civ. Catt. 1937 II 193-216.

    (4) Ivi, 195.

    (5) Ivi, 197.

    (6) Ivi, 199 s.

    (7) Cfr D. ALBRECHT, Der Notenwechsel..., t. II, cit., 1-5.

    (8) Cfr Foreign Office, 800.318, 12 gennaio 1940.

    (9) Archives de l'Ambassade de France auprès du Saint-Siège. Diplomatic. Paris n. 332.

    (10) Ivi, n. 337.

    (11) London. Archives of Foreign Office. 371/2438 (4995) fº 406, 6 maggio 1940: «The Vatican expects a German Offensive in the West to begin this week. But they have had si­milar expectation befor, so I do not attach particular faith to their prediction. They say that it may include not only the Maginot line and Holland and Belgium but even Switzerland».

    (12) Cfr Actes et Documenta de Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, vol. 5, Città del Vaticano, Tip. Poliglotta Vaticana, 1969, 5.9-11.184. Per brevità, nel riferirci a questa raccolta di documenti in 11 volumi e 12 tomi, indicheremo semplicemente Ac­tes, volume e numero di pagina.

    (13) PIO XII, Discorsi e Raìiomessaggi, Città del Vaticano, Tip. Poliglotta Vaticana, vol. 5, 1955, 76; e in Civ. Catt. 1943 II 330.

    (14) ID., «Al Sacro Collegio nel giorno onomastico di Sua Santità» (2 giugno 1943), in ID., Discorsi..., cit., 77; e in Civ. Catt. 1943 II 331.

    (15) Cfr H. H. TITTMANN, «Speech at Saint Louis University, at the University Gymnasium, on Monday, November 23, 1959», in News from St. Louis University.

    (16) R. M. W KEMPNER, «Formely U. S. Deputy Chief of Council to the Nuremberg War Crimes Trial», in R. A. GRAHAM, Pius XII'S Defense of Jews and others: 1944-1945, Milwaukee, Catholic League for religious & civil rights, s.d.

    (17) Cfr J. CABAUD, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli, rabbino capo a Roma durante la seconìa guerra mondiale, Milano, San Paolo, 2002.

    (18) Cfr Oss. Rom., 27 maggio 1955, 1.

    (19) D. G. DALILA, «Pius XII and the Jews», in The weekly Standard Magazine, February 2001.

    (20) Cfr D. ALBRECHT, Der Notenwechsel..., cit., Bd. II, 1969, 22.

    Fonte: La Civiltà Cattolica, 2002 III, 117-131, quaderno 3650


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    Avvenire 11 Giugno 2009
    STORIA
    Pio XII, operazione verità

    Che ci sia stata cattiva co­scienza storica su Pio XII, più va avanti il dibattito più ap­pare evidente; proprio per questo In difesa di Pio XII, l’agile saggio cura­to da Giovanni Maria Vian sposta la questione: per lo storico è impor­tante adesso spiegare non tanto e non più l’infondatezza del giudizio riservato a questo Pontefice, quanto perché sia nata la leggenda nera che vuole Papa Pacelli nientemeno che il «Papa di Hitler».

    Il libro, edito da Marsilio, è stato presentato a Roma alla presenza degli autori che hanno offerto il loro contributo e del Segretario di Stato Vati­cano, il cardinale Tarcisio Bertone, per il quale è in­giusto « per una cattiva co­scienza storica ridurre un Papa della statura di Pio XII, per gli atti che ha compiuto e per la visione complessiva che aveva della Chiesa, in un angolo così ristretto per i suoi presunti silenzi».

    Per Giovanni Maria Vian, storico e direttore dell’Os­servatore Romano, il rovesciamento d’immagine di Papa Pacelli si spiega in due modi: per la sua scelta anti­comunista e per la contrapposizio­ne che si crea con il suo successore, Giovanni XXIII, che non fu il Papa di transizione che tutti avevano credu­to. «La questione del silenzio del Pa­pa – afferma Vian – è diventata pre­ponderante, spesso tramutandosi in polemica accanita. Così l’intermi­nabile guerra sul suo silenzio ha fi­nito per oscurare l’obiettiva rilevan- za di un pontificato importante, an­zi decisivo nel passaggio dall’ultima tragedia bellica mondiale a un’epo­ca nuova».

    La cattiva coscienza ha perfino (fat­to insolito trattandosi di un elemen­to così complesso) una data di na­scita che corrisponde con la messa in scena di quell’indigesto dramma di Rolf Hochhuth, Der Stellvertre­ter( «Il Vicario»), che, dopo Berlino, fu messo in scena in mezza Europa. Ne­gli anni Sessanta, però, nasce anche un moda culturale che – dice Ro­berto Pertici – «tra mille virgolette può chiamarsi progressista.

    La po­sta in gioco non era Pio XII – spiega – ma il ruolo della Chiesa nella sto­ria contemporanea, per cui gli equi­voci creati dalla cattiva coscienza ser­vivano a mettere in una lista tutto quanto avrebbe favorito il progresso e in un’altra, invece, quello e quelli che l’avrebbero ostacolato». Il gioco è fatto, e i sussurri diventano grida. «Nessuno nota – continua Pertici – che Stalin una sola volta cita gli ebrei e lo sterminio, ma del resto la sto­riografia occidentale del dopoguer­ra aveva già preferito dedicarsi ai si­lenzi del Papa e agli atteggiamenti acquiescenti delle democrazie occi­dentali ».

    Paolo Mieli ( coautore con Saul Israel, Andrea Riccardi, Rino Fisichella, Gianfranco Ravasi e Tarcisio Bertone del libro che registra anche giudizi di Benedetto XVI) riprende questo tema nel suo breve saggio: «Prende­re per buone le accuse a Pacelli – di­ce – equivale a trascinare sul banco dei presunti rei, con gli stessi capi di imputazione, Roosevelt e Churchill, accusandoli di non aver pronuncia­to parole più chiare nei confronti del­le persecuzioni antisemite». Mieli vanta sangue ebraico nelle sue vene e si dice colpito direttamente dalla Shoah per i familiari che ha per­so nella persecuzione e nello ster­minio nazista, ma aggiunge con for­te convincimento: «Io non ci sto a mettere i miei morti sul conto di u­na persona che non ne ha responsa­bilità ».

    Lo storico, superata l’emo­zione, aggiunge: «La Chiesa mise a disposizione degli israeliti tutta se stessa: quasi ogni basilica, ogni chie­sa, ogni seminario, ogni convento o­spitò e aiuto gli ebrei. Tant’è che a Roma, a fronte dei duemila ebrei de­portati, diecimila loro correligionari riuscirono a salvarsi». Come appunto Saul Israel, nato a Sa­lonicco, biologo, medico e scrittore che ottenne la cittadinanza italiana nel 1919 e della quale fu poi privato con le leggi razziali. Israel è morto nel 1981; suo figlio Giorgio ha offer­to nel libro un suo inedito: è una let­tera scritta nel 1941 quando, con al­tri ebrei, aveva trovato rifugio nel convento di Sant’Antonio di via Me­rulana. E così si salvò la vita. È una pagina struggente. «Non fu qualche convento o il gesto di pietà di pochi – dice Giorgio Israel – e nessuno può pensare che tutta questa so­lidarietà che offrirono le chiese e i conventi avvenis­se all’insaputa del Papa o ad­dirittura senza il suo con­senso. Quella su Pio XII resta la leggenda più assurda che si sia fatta circolare».

    Come suo padre, tanti si salvarono proprio per la scelta di Pio XII che – spiega Tarcisio Ber­tone – «scelse quell’atteggia­mento non per paura né per connivenza, ma per un cal­colo preciso, finalizzato a salvare la vita del numero maggiore possibile di ebrei». Bertone ha invitato gli sto­rici a studiare tutti i documenti vati­cani di quando Eugenio Pacelli fu Se­gretario di Stato con Pio XI. Aiute­rebbero – in attesa di rendere pub­blici anche quelli che vanno dal 1939 al 1945 – a capire come e perché può nascere una cattiva coscienza stori­ca. E bene farebbero ad aprire i loro archivi anche tutti gli altri che li pos­seggono.

    Giovanni Ruggiero

    [Modificato da LiviaGloria 17/06/2009 12:28]
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    ZI09061405 - 14/06/2009
    Permalink: www.zenit.org/article-18610?l=italian
    Comunismo e fratture ideologiche nel mondo cattolico spiegano la leggenda nera su Pio XII

    Intervista al direttore de "L'Osservatore Romano"

    di Jesús Colina

    CITTA' DEL VATICANO, domenica, 14 giugno 2009 (ZENIT.org). - La leggenda nera su Papa Pio XII (Eugenio Pacelli), che lo accusa di vicinanza al nazismo, ha due cause, secondo il direttore de "L'Osservatore Romano": la propaganda comunista e le ricorrenti divisioni all'interno della Chiesa.

    Giovanni Maria Vian le ha esposte in un'intervista concessa a ZENIT in occasione della pubblicazione del libro che ha coordinato dal titolo "In difesa di Pio XII. Le ragioni della storia" (Venezia, Marsilio, 2009, pagine 168, euro 13), presentato questo mercoledì dal cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, dal presidente di Marsilio Editori, Cesare De Michelis (università di Padova), e dagli storici Giorgio Israel (università di Roma La Sapienza), Paolo Mieli (università di Milano, per due volte direttore del "Corriere della sera") e Roberto Pertici (università di Bergamo).

    Il direttore del quotidiano vaticano e storico non esita a riprendere l'espressione "leggenda nera", perché di fatto Papa Pacelli, che alla sua morte nel 1958 ricevette elogi unanimi per l'opera svolta durante la seconda guerra mondiale, è stato poi davvero demonizzato.

    Come è stato allora possibile un simile rovesciamento d'immagine, verificatosi per di più nel giro di pochi anni, più o meno a partire dal 1963?

    Propaganda comunista

    Vian attribuisce in primo luogo questa campagna contro il Papa alla propaganda comunista intensificatasi al tempo della Guerra Fredda. "La linea assunta negli anni del conflitto dal Papa e dalla Santa Sede, avversa ai totalitarismi ma tradizionalmente neutrale, nei fatti fu invece favorevole all'alleanza antihitleriana e si caratterizzò per uno sforzo umanitario senza precedenti, che salvò moltissime vite umane", osserva.

    "Questa linea fu comunque anticomunista, e per questo, già durante la guerra, il Papa cominciò a essere additato dalla propaganda sovietica come complice del nazismo e dei suoi orrori".

    Lo storico ritiene che "anche se Eugenio Pacelli è sempre stato anticomunista, non ha mai pensato che il nazismo potesse essere utile per arrestare il comunismo, al contrario", e lo prova con dati storici.

    In primo luogo, "appoggiò tra l'autunno del 1939 e la primavera del 1940, nei primi mesi del conflitto, il tentativo di rovesciare il regime hitleriano da parte di alcuni circoli militari tedeschi in contatto con i britannici".

    In seconda istanza, Vian afferma che dopo l'attacco della Germania all'Unione Sovietica a metà del 1941 Pio XII dapprima si rifiutò di schierare la Santa Sede con quella che veniva presentata come una crociata contro il comunismo e poi si adoperò per smussare l'opposizione di moltissimi cattolici statunitensi all'alleanza degli Stati Uniti con l'Unione Sovietica staliniana.

    La propaganda sovietica, ricorda lo studioso, è stata ripresa con efficacia nell'opera teatrale "Der Stellvertreter" ("Il vicario") di Rolf Hochhuth, rappresentata per la prima volta a Berlino il 20 febbraio 1963, che presentava il silenzio del Papa come indifferenza di fronte allo sterminio degli ebrei.

    Già allora, constata Vian, fu notato che questo dramma rilancia molte argomentazioni sostenute da Mikhail Markovich Scheinmann nel libro Der Vatican im Zweiten Weltkrieg ("Il Vaticano nella seconda guerra mondiale"), pubblicato in precedenza in russo dall'Istituto Storico dell'Accademia Sovietica delle Scienze, organo di propaganda dell'ideologia comunista.

    E una nuova prova dell'opposizione di Pio XII al nazismo è il fatto che i capi del Terzo Reich considerassero il Papa un autentico nemico, come dimostrano i documenti degli archivi tedeschi non per caso mantenuti inaccessibili dalla Germania comunista e solo di recente aperti e studiati, come ha sottolineato un articolo di Marco Ansaldo su "la Repubblica" del 29 marzo 2007.

    Il libro curato da Vian raccoglie un testo del giornalista e storico Paolo Mieli, uno scritto postumo di Saul Israel, biologo, medico e scrittore ebreo, contributi di Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, degli Arcivescovi Rino Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura, del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, e infine l'omelia e i due discorsi tenuti da Benedetto XVI in memoria del suo precedecessore.

    Divisione ecclesiale

    Il discredito di Pio XII ha avuto promotori anche all'interno della Chiesa a causa della divisione tra progressisti e conservatori che si accentuò durante e dopo il Concilio Vaticano II, annunciato nel 1959 e conclusosi nel 1965, afferma il direttore.

    "Il suo successore, Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli, prestissimo venne salutato come 'il Papa buono', e senza sfumature sempre più contrapposto al predecessore: per il carattere e lo stile radicalmente diversi, ma anche per la decisione inattesa e clamorosa di convocare un concilio".

    Le avversioni cattoliche su Papa Pacelli erano state precedute già nel 1939 dagli interrogativi del filosofo cattolico francese Emmanuel Mounier, che criticò il "silenzio" del Papa di fronte all'aggressione italiana dell'Albania.

    Pio XII venne criticato anche da "ambienti dei polacchi in esilio", che gli rimproveravano il silenzio di fronte all'occupazione tedesca.

    In questo modo, in seguito, quando la Chiesa si polarizzò a partire dagli anni Sessanta, quanti si opponevano ai conservatori attaccavano Pio XII visto come un simbolo di questi ultimi, alimentando o utilizzando argomentazioni della "leggenda nera".

    Giustizia storica

    Il direttore de "L'Osservatore Romano" sottolinea che questo libro non nasce da un intento di difesa aprioristica del Papa, "perché Pio XII non ha bisogno di apologeti che non aiutano a chiarire la questione storica".

    Per quanto riguarda i silenzi di Pio XII, non solo sulla persecuzione ebraica (denunciata senza clamore ma inequivocabilmente nel messaggio natalizio del 1942 e nel discorso ai Cardinali del 2 giugno 1943), ma anche di fronte ad altri crimini nazisti, lo storico sottolinea che questa linea di comportamento era finalizzata a non aggravare la situazione delle vittime, mentre il Pontefice si mobilitava per aiutarle sul campo.

    "Lo stesso Pacelli più volte s'interrogò sul suo atteggiamento, che fu dunque una scelta consapevole e sofferta di tentare la salvezza del maggior numero possibile di vite umane piuttosto che denunciare continuamente il male con il rischio reale di orrori ancora più grandi", spiega Vian.

    Nel libro Paolo Mieli, di origine ebraica, afferma in questo senso: "Prendere per buone le accuse a Pacelli equivale a trascinare sul banco dei presunti rei, con gli stessi capi di imputazione, Roosevelt e Churchill, accusandoli di non aver pronunciato parole più chiare nei confronti delle persecuzioni antisemite".

    Ricordando che alcuni membri della sua famiglia morirono nell'Olocausto, Mieli ha detto testualmente: "Io non ci sto a mettere i miei morti sul conto di una persona che non ne ha responsabilità".

    Il testo pubblica anche uno scritto inedito di Saul Israel scritto nel 1944, quando, con altri ebrei, aveva trovato rifugio nel convento di Sant'Antonio in via Merulana, a Roma.

    Il figlio, Giorgio Israel, che ha partecipato alla presentazione del libro, ha aggiunto: "Non fu qualche convento o il gesto di pietà di pochi e nessuno può pensare che tutta questa solidarietà che offrirono le chiese e i conventi avvenisse all'insaputa del Papa o addirittura senza il suo consenso. Quella su Pio XII resta la leggenda più assurda che si sia fatta circolare".

    Al di là della leggenda nera

    Vian spiega poi che il libro da lui curato non ha inteso soffermarsi sulla questione della leggenda nera. Anzi, "a mezzo secolo dalla morte di Pio XII (9 ottobre 1958) e a settant'anni dalla sua elezione (2 marzo 1939) sembra formarsi un nuovo consenso storiografico sulla rilevanza storica della figura e del pontificato di Eugenio Pacelli".

    L'intento del libro è soprattutto quello di contribuire a restituire alla storia e alla memoria dei cattolici un Papa e un pontificato di importanza capitale per moltissimi aspetti che nell'opinione pubblica restano offuscati dalla polemica suscitata dalla leggenda nera.

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    [Modificato da LiviaGloria 23/06/2009 22:02]
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    VERSO LA BEATIFICAZIONE DI PIO XII - Papa Pacelli e l'Olocausto: Pastor Angelicus o Vicario dei silenzi?
    Dopo che Benedetto XVI ha firmto il decreto che ne riconosce le "eroiche virtù" Pio XII, il pontefice più discusso del secolo scorso, potrà più facilmente assurgere alla gloria degli altari. Ma chi era Pacelli? Il Papa del silenzio o il Papa degli ebrei?
    Andrea Sartori (Insegnante)

    Non solo Giovanni Paolo II. Anche Eugenio Pacelli, Pio XII, potrà assurgere agli onori degli altari. Papa Ratzinger ha firmato il decreto che ne riconosce le "eroiche virtù". Pacelli è al centro da decenni di un acceso dibattito storiografico: per alcuni fu il Papa dei silenzi, quando non "il Papa di Hitler. Per altri fu il "Papa degli ebrei" al quale moltissimi perseguitati devono la vita. Chi fu, in realtà, Eugenio Pacelli? La domanda è urgente, perché si tratta di ristabilire la verità e di mondare la Storia da incrostazioni ideologiche.


    UN DIBATTITO COMINCIATO DA UN TESTO TEATRALE

    In realtà la "leggenda nera" di Pio XII come Papa di Hitler comincia da un testo teatrale: Il Vicario di Rolf Hochhuth, il quale portò per primo in scena la tesi di un Pacelli silente verso il mostro nazista. Questo a dimostrazione di quanto le opere di fiction siano delle fabbriche di miti estremamente potenti, anche quando facilmente demolibili. Ultimo arriva Dan Brown con il suo Codice da Vinci (che contiene un errore persino nel titolo "da Vinci" non è un cognome, ma indica il luogo di provenienza di Leonardo) per smontare il quale basta una semplice osservazione: se davvero quella a fianco di Gesù nell' Ultima Cena leonardesca è la Maddalena, dov'è San Giovanni? Le figure sono dodici più Gesù Cristo. Quindi se la Maddalena era davvero il "tredicesimo apostolo" manca comunque San Giovanni (che poi le fattezze di San Giovanni siano quelle del garzone di Leonardo Salaì, e che in ogni dipinto rinascimentale Giovanni sia dipinto come un bel giovane, sembra non tangere),

    Ma torniamo a Hocchuth. La sua piéce, dalla quale recentemente il regista greco-francese Costa Gavras ha tratto il film Amen, ha dato origine a tutta la corrente storiografica antipacelliana. Ultimo viene il libro del giornalista inglese John Cornwell Il Papa di Hitler. Cornwell, che aveva demolito le tesi di David Yallop sul complotto che avrebbe ucciso Giovanni Paolo I, si scagliò violentemente contro Pacelli (bisogna dire che Cornwell ha recentemente preso le distanze dal suo libro, come d'altronde ha fatto anche Yallop col suo).

    LA RICONOSCENZA DI NOTEVOLI RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITA' EBRAICA

    Eppure uomini e donne di religione ebraica hanno espresso la loro gratitudine verso il "Vicario" per ciò che aveva concretamente fatto. E sono voci di non poca rilevanza, che vanno attentamnte ascoltate. Una su tutti è quella di Golda Meir, la quale, commemorando la scomparsa del Pontefice in qualità di ministro degli Esteri di Israele, disse: "Durante il decennio del terrore nazista, il nostro popolo ha subito un martirio terribile. La voce del Papa si è levata per condannare i persecutori e per invocare pietà per le vittime". Un'altra grande voce ebraica che alzò a Pio XII un inno di gratitudine fu quella di Albert Einstein, il quale, già nel dicembre 1940, scrisse sul Time Magazine: "Solo la Chiesa si è schierata apertamente contro la campagna di Hitler per la soppressione della verità. Non ho mai avuto un particolare amore per la Chiesa, prima d'ora, ma sono costretto a confessare che ora apprezzo senza riserve ciò che un tempo disprezzavo". Elio Toaff, ex rabbino capo di Roma, scrisse: "La Comunità israelitica di Roma, dove è sempre vivissimo il senso di gratitudine per quello che la Santa Sede ha fatto in favore degli Ebrei romani, ci ha autorizzato a riferire in maniera più esplicita la convinzione che quanto è stato fatto dal clero, dagli istituti religiosi e dalle associazioni cattoliche per proteggere i perseguitati non può essere avvenuto che con la espressa approvazione di Pio XII" (L'Osservatore Romano 28 giugno 1964). Joseph L. Lichten, membro dell' "Anti Defamation League of B'nai B'rith" ha scritto "E' risaputo che nel 1940 Pio XII inviò un'istruzione segreta ai vescovi cattolici d'Europa dal titolo Opere et caritate ("Con le opere e la carità"). La lettera iniziava con una citazione tratta dall'enciclica di Pio XI Mit Brennender Sorge la quale criticava duramente le dottrine naziste. La lettera di Pio XII ordinava di prestare aiuti adeguati a tutti coloro che subivano discriminazioni razziali ad opera dei nazisti" (JOSEPH L. LICHTEN, Pio XII e gli ebrei, Edizioni Dehoniane, Bologna 1988, p. 34).

    L'ex rabbino capo di Roma Israel Italo Zolli, che si convertì al cattolicesimo, prese il nome di battesimo di Eugenio, proprio in onore di Pio XII. Altri notevoli difensori ebrei del pontificato pacelliano furono Pinchas Lapide, che fu console israeliano a Milano, il rabbino statunitense David Gil Dalin e lo storico inglese nonché biografo ufficiale di Churchill Sir Martin Gilbert. Questi ultimi hanno anche chiesto la nomina di Pio XII a "Giusto tra le nazioni".

    STIME SUGLI EBREI SALVATI DA PIO XII

    Secondo Pinchas Lapide "la Chiesa cattolica, sotto il papato di Pio XII, fu lo strumento di salvezza di almeno 700.000, ma forse anche di 860.000 ebrei che dovevano morire per mano nazista" (PINCHAS LAPIDE, Roma e gli ebrei. L'azione del Vaticano a favore delle vittime del nazismo. Mondadori, Milano 1967, p.287).

    Il rabbino David Gil Dalin, nel suo libro La leggenda nera del Papa di Hitler stima che dei 5.715 ebrei di Roma che dovevano essere deportati, 4.715 furono sistemati in 150 istituzioni cattoliche e 477 in santuari del Vaticano. Pacelli attuò una strategia simile in Ungheria mediante il nunzio apostolico Angelo Rotta, che salvò la vita a 5.000 ebrei. In Turchia il delegato apostolico Angelo Giuseppe Roncalli, futuro Giovanni XXIII, salvò la vita a migliaia di ebrei slovacchi bloccati in Bulgaria in collaborazione con l'ambasciatore tedesco Franz von Papen. Scrive sempre Pinchas Lapide in un articolo pubblicato da Le Monde il 13 dicembre 1963: "Quando a Venezia fui ricevuto da monsignor Roncalli, che doveva poi divenire Giovanni XXIII, e gli espressi la riconoscenza del mio Paese per la sua azione a favore degli Ebrei al momento in cui era nunzio in Turchia, egli mi interruppe ripetutamente per ricordarmi che ogni volta aveva agito per ordine di Pio XII". Altri fatti storici di non minore importanza riportate da Dalin sono le assunzioni in Vaticano di ebrei licenziati per ordine di Benito Mussolini, o il disprezzo con cui i nazisti qualificavano Pacelli, quando era ancora segretario di Stato, come il "cardinale che ama gli ebrei". Il biografo ufficiale di Churchill Sir Martin Gilbert, parlando del suo libro The Righteous, scrive: "il Papa giocò un ruolo, che io descrivo nel dettaglio, nella salvezza di tre quarti degli ebrei di Roma". Inoltre, sempre secondo Gilbert, "Il Papa stesso fu attaccato dal dottor Goebbels - il ministro della propaganda nazista - 'per aver preso le parti degli ebrei in un messaggio cristiano, nel dicembre 1942, quando criticò il razzismo".

    CIO' CHE GLI ALTRI NON HANNO FATTO

    Nel libro del vaticanista Andrea Tornielli Pio XII. Il Papa degli Ebrei c'è un capitolo dedicato a ciò che non hanno fatto i capi delle grandi democrazie. Il capitolo si apre con una sarcastica affermazione di Joseph Goebbels: "Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche Paese del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i Paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E' un caso unico nella Storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni".

    La Gran Bretagna chiuse ripetutamente le frontiere agli ebrei. Nel 1939 il Regno Unito fa internare come "stranieri nemici" ben 30mila ebrei fuggiti dalla Germania. Il Parlamento di Londra respinge la proposta umanitaria dell'Arcivescovo di Canterbury, che aveva chiesto di aprire le frontiere agli ebrei, in deroga alle quote sull'immigrazione. Già nel 1933 Londra si era opposta all'ingresso degli ebrei in Palestina, non volendosi inimicare le popolazioni musulmane. Il progetto pubblicato il 17 marzo 1939 sul Libro Bianco limita a 75.000 il numero di ebrei immigrati in Palestina per i successivi cinque anni. Venivano concessi 1.500 visti al mese per la categoria "lavoratori" mentre non vi era limite per quella "capitalisti".

    Lo stesso Winston Churchill, secondo un'inchiesta pubblicata l'8 maggio 1994 dal Sunday Times, inchiesta basata su documenti provenienti dall'Archivio nazionale inglese, non solo bloccò l'immigrazione ebraica in Palestina per non irritare i musulmani, ma promulgò addirittura una direttiva che vietava agli ebrei di rifugiarsi in Medio Oriente. Per questo agli inizi del 1943 fu impedito l'espatrio di 70mila ebrei romeni, in gran parte bambini, che morirono nei campi di sterminio. Churchill, pur sapendo dello sterminio degi ebrei, fece di tutto, in accordo con il Dipartimnto di Stato americano, per non salvarli (T. RAYMENT, Britain barred rescue plan for Jews, in Sunday Times, 8 maggio 1994, cfr. ALESSANDRA FARKAS,Churchill non volle evitare l'Olocausto, in Corriere della Sera, 9 maggio 1994)

    Altrettanto grave, come anticipato, fu l'atteggiamento americano. Nel maggio 1939 gli Stati Uniti respingono il transatlantico Saint Louis con a bordo 930 passeggeri ebrei. Nel 1940 il Congresso respinge la proposta di aprire l'Alaska ai profughi ebrei tedeschi. Nel 1941 il Congresso arriva a bloccare la mediazione della Svezia che si era detta disposta ad accogliere 20mila bambini ebrei europei. Scrive ancora Lapide: "Tutti gli sforzi fatti dal Congresso americano nel 1944 per aiutare gli ebrei sfuggiti allo sterminio nazista a trovar rifugio in Palestina furono bloccati dal Dipartimento di Stato, con la conivenza del presidente Roosevelt che, secondo una notizia confidenziale dello stesso Dipartimento e nella migliore interpretazione di questi documenti ufficiali, in pubblico adottava una posizione filoebraica mentre, in privato, appoggiava le manovre del Dipartimento di Stato" (Lapide, op. cit., p. 292).

    Chi è senza peccato scagli la prima pietra contro Eugenio Pacelli. Perché queste grandi potenze, che avevano quelle armi, quegli eserciti e anche quegli spazi che mancavano al Papa, sono stati meno coraggiosi?

    SILENZI?

    Perché per valutare meglio l'azione del Papa bisogna anche riflettere "quante divisioni ha il Papa" come ironizzava Stalin. Una condanna netta di Pio XII avrebbe portato alla distruzione di Roma e dei suoi abitanti, una persecuzione anticristiana ancora più feroce. Dino Buzzati scriveva che se Pio XII e i cardinali si fossero immolati davanti ai carri armati di Hitler, tutto il mondo avrebbe creduto. In realtà sarebbe stato solo un eroismo sciocco. Pacelli dimostrò coraggio fisico (scese personalmente in strada in mezzo ai fedeli durante i bombardamenti su Roma, offrendo la sua persona per farli cessare. Sono notissime le fotografie che lo testimoniano). Il Papa salvò vite, mise a rischio la sua vita anche in questo, ma non volle (giustamente) coinvolgere il resto di Roma e dei cattolici, affidando quelle missioni di salvataggio a uomini di fiducia quali Roncalli. I tanto venerati eroi antinazisti Churchill e Roosevelt, che possedevano armi, flotte, eserciti, possibilità di applicare sanzioni economiche, salvarono molte meno vite.

    Ma è poi vero che la Chiesa è stata così zitta? Certo, ci furono parti della Chiesa che si schierarono con le Leggi razziali. Tra i firmatari del documento sulle Leggi razziali troviamo padre Agostino Gemelli. Vi erano giornali cattolici antisemiti, e tra i più feroci antisemiti d'Italia vi era un ex sacerdote, Giovanni Preziosi. Ma qui dobbiamo esaminare la posizione ufficiale della Santa Sede. Che è ben chiara già nell'enciclica del predecessore di Pacelli sul trono di Pietro Pio XI Mit Brennender Sorge, scritta in tedesco e non in latino per essere ancora più chiari nella condanna del razzismo nazista. Pio XI aveva già espresso la sua avversione verso il nazismo, affermando che "spiritualmente siamo semiti". Si sa che, in occasione della visita di Hitler a Roma, Pio XI chiuse il Vaticano deplorando il fatto che era stata innalzata una "croce che non è la Croce di Cristo".

    Eugenio Pacelli era segretario di Stato di Pio XI e c'era anche la sua mano nell'enciclica antinazista. Ma si espose anche in prima persona. Nel marzo 1935 Pacelli scriveva al vescovo di Colonia additando i nazisti come "falsi profeti con l'orgoglio di Lucifero". Nello stesso anno attaccava le ideologie "possedute dalla superstizione della razza e del sangue". Due anni dopo, nella cattedrale di Notre Dame a Parigi, definì la Germania come quella "nobile e potente nazione che cattivi pastori vorebbero portare fuori strada verso l'ideologia della razza".

    Pio XII fece ancora di più. Appoggiò una congiura volta ad eliminare Hitler. Questo non va a discapito della santità. Secondo il profeta della non-violenza sarà considerato "uomo caritatevole" chiunque uccida uno uomo che "venga preso da follia omicida e cominci a girare con la spada in mano uccidendo chiunque gli si pari davanti, e nessuno abbia il coraggio di catturarlo vivo" (M. K. GANDHI, Young India, 4 novembre 1926). E se l'uomo è un capo di Stato, e ha quindi il potere legale di annientare milioni di vite, la sua uccisione si presenta come qualcosa si meritorio. Qualora Hitler fosse stato ucciso, milioni di innocenti non avrebbero perso la vita.

    Nel novembre 1939 il Papa viene messo a conoscenza di un tentativo di complotto, organizzato da Hans Oster, impiegato nei servizi segreti militari di Berlino, per rovesciare Hitler. Il Papa chiede garanzie agli inglesi, tramite il diplomatico Osborne. Pio XII conferma a Osborne che ambienti militari tedeschi sono coinvolti nella congiura. Il diplomatico britannico risponde: "Se anche si cambia il governo non vedo come potremmo riappacificarci finché la macchina bellica tedesca rimane intatta". Sembra la stessa cecità con cui oggi Obama abbandona gli studenti iraniani che vorrebbero rovesciare il regime dei mullah. Il complotto non si fece, ma questo non fu a causa del Papa, tramite tra i cospiratori e gli inglesi. Furono gli inglesi a non dare garanzie.

    LA SANTITA'

    La santità è vestita d'umiltà. Quando fu fatto il Concordato con la Germania, essenzialmente per la protezione della vita dei cattolici tedeschi, il segretario di Stato vaticano Eugenio Pacelli, motore di tale Concordato, sostenne che a causa di questo egli sarebbe stato "calpestato dalla Storia". Evidentemente, più che la sua fama, gli interessava salvare vite umane con gli strumenti a sua disposizione. Anche a discapito del suo nome. E' questo è evidentemente qualcosa di grande: a tutti piacciono i facili applausi. Pacelli vi rinunciò. Anche Oskar Schindler salvò vite umane parlando col Diavolo, sapendo che un attacco diretto al Diavolo non avrebbe portato altro che la morte di coloro che voleva salvare.

    Questo Papa non fece gesti eclatanti, o ne fece pochi. Ma salvò migliaia di vitre umane, vite di ebrei che non furono salvate da quei democratici Churchill e Roosevelt che pure avevano ben più mezzi per farlo. La storiografia ideologica condanna Pacelli. Infatti scrive il rabbino Dalin: "Le polemiche antipapali di ex seminaristi come Gary Willis e John Cornwell (autore de Il Papa di Hitler), di ex sacerdoti come James Carroll e di altri apostati o cattolici liberali risentiti sfruttano la tragedia del popolo ebraico durante l'Olocausto per sostenere oggigiorno la propria agenda di cambiamenti forzati della Chiesa cattolica". E mentre poco si parla dell'alleanza tra Hitler e il Gran Muftì di Gerusalemme e delle sue SS islamiche, la croce viene gettata su Pio XII. Per ragioni ideologiche, che inquinano la storiografia in maniera pericolosa. Ricordiamo i moniti di Orwell sul controllo e la manipolazione della Storia

    Il Papa, "profeta disarmato" come direbbe Machiavelli, fece ciò che era in suo potere. E non fu poco.
    [Modificato da LiviaGloria 10/07/2010 23:18]
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    antiuaar.wordpress.com/2010/07/05/scoperta-lettera-di-pio-xii-in-cui-chiede-200mila-visti-per-gl...

    Scoperta lettera di Pio XII in cui chiede 200mila visti per gli ebrei.
    In Benefici cristianesimo e cattolicesimo nella storia, Chiesa e Nazismo on 5 luglio 2010 at 12:20

    La Pave the Way Foundation (PTWF) ha intrapreso un progetto di recupero di documenti del periodo di guerra per diffondere quanti più documenti e testimonianze oculari possibili per portare alla luce la verità. Gary Krupp, presidente della Fondazione, ha affermato a Zenit.it che “finora abbiamo oltre 40.000 pagine di documenti, video di testimoni oculari e articoli sul nostro sito www.ptwf.org per aiutare gli storici a studiare questo periodo”. Molti di essi riguardano documenti vaticani di grande importanza e sopratutto l’operato di Pio XII. Lo storico e rappresentante della PTWF della Germania, Michael Hesemann, ha visitato regolarmente l’Archivio Segreto vaticano aperto di recente. Il suo ultimo studio dei documenti originali pubblicati in precedenza rivela azioni segrete per salvare migliaia di ebrei fin dal 1938, tre settimane dopo la Notte dei Cristalli. Il Cardinale Eugenio Pacelli (Papa Pio XII) inviò infatti un telex alle Nunziature e alle Delegazioni Apostoliche e una lettera a 61 Arcivescovi nel mondo cattolico richiedendo 200.000 visti per “cattolici non ariani” tre settimane dopo la Notte dei Cristalli. Inviò anche un’altra lettera datata 9 gennaio 1939. Evidentemente il termine “cattolici non ariani” è una copertura poiché occorreva essere sicuri che non ne venisse fato un uso sbagliato. Il Concordato del 1933 firmato con la Germania infatti, garantiva che gli ebrei convertiti sarebbero stati trattati come cristiani, e usare questa posizione legale permise a Pacelli di aiutare i “cattolici non ariani”. Una prova di questo è che Pacelli chiede che gli Arcivescovi si preoccupino di “salvaguardare il loro benessere spirituale e di difendere il loro culto religioso, i loro costumi e le loro tradizioni”. Per il professor Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia delle Relazioni Internazionali, le istruzioni di Eugenio Pacelli nella lettera del 9 gennaio 1939 non lasciano spazio a dubbi sulle intenzioni della Santa Sede e del futuro Pontefice.

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    [Modificato da LiviaGloria 10/07/2010 23:27]
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    00 10/07/2010 23:22
    www.kattoliko.it/leggendanera/modules.php?name=News&file=article&...

    Pio XII e il regime nazista. Note dagli archivi tedeschi
    di Robert A. Graham S.I.

    La vera natura della politica vaticana nei confronti del regime nazista. La Santa Sede non ebbe mai una simpatia latente per il nazismo, ideologicamente orientato in senso anticattolico, né lo considerò come alleato o «baluardo» di una crociata contro il bolscevismo.

    [Relazione inedita tenuta il 30 dicembre 1965 all’Hilton Hotel di San Francisco (California) in occasione del diciottesimo incontro annuale della American Historical Association dedicato al tema «Pio XII e l’Asse nella Seconda guerra mondiale», ora in R. A. Graham, «Il Vaticano e il nazismo», Cinque Lune, Roma 1975, pp. 89-110]

    A differenza dei miei due colleghi di oggi, ho la fortuna, o forse meglio la sfortuna, di avere a disposizione documenti ufficiali abbastanza abbondanti relativi ad una delle due parti del rapporto che devo illustrare. La tentazione di procedere citando un documento dopo l’altro a sostegno di una tesi particolare è forte, ma questo procedimento è esposto al rischio di perdersi nei particolari. Un’altra tentazione, in mezzo a tanta ricchezza, è quella di dimenticare che, se il materiale è abbondante, esso riguarda tuttavia una parte soltanto. Mi consola il fatto che questo problema non riguarda soltanto me e la mia materia. È un rischio di fronte al quale tutti gli storici della seconda guerra mondiale devono stare costantemente in guardia, sotto pena di essere indotti a tirare conclusioni seriamente distorte o false. Il recente annuncio che i documenti di guerra, sino ad oggi segreti, di Papa Pio XII, sono stati catalogati con criteri scientifici e sistematici, è certamente motivo di soddisfazione per tutti i ricercatori sen. È auspicabile che gli altri paesi neutrali e belligeranti che sono ancora indietro mettano presto a disposizione il materiale in loro possesso. Altrimenti possiamo trovarci a constatare che la disponibilità unilaterale del documenti nazionalsocialisti ci porta a vedere la seconda guerra mondiale, a meno che stiamo doppiamente attenti, soltanto con gli occhi dei nazisti. Fino a che entrambe le parti non saranno adeguatamente rappresentate, lo storico deve volare con un’ala sola, impresa non impossibile, ma certamente scomoda e difficoltosa.

    Gli archivi nazisti, e in particolare quelli dell’Auswärtiges Amt, sono la fonte principale di quanto segue. Si tratta, tuttavia, di documenti di secondo piano, quelli meno ufficiali della Segreteria di Stato. I documenti veramente fondamentali del Ministro degli Esteri von Ribbentrop non sono mai stati ricuperati. I documenti degli archivi del ministero degli esteri possono nondimeno essere integrati dalle testimonianze e dagli interrogatori di Norimberga. Nell’esaminane questi documenti, ci si rende rapidamente conto che si tratta di testi molto umani e soggettivi. E tuttavia essi costituiscono, giorno per giorno, crisi su crisi, pur con tutta la loro parzialità, meschinità, incompletezza e tendenziosità la documentazione di fatto disponibile. Più ufficiali sono, più hanno bisogno di un’intelligente interpretazione. Eppure la verità è lì, da qualche parte, sotto una forma o l’altra, tra i rovi e le erbacce. Ed è già un bene che si siano salvati dalla distruzione. Gli storici di questo tragico periodo non hanno pagato il dovuto tributo — mi pare — al custode di questi documenti, a colui che li ha salvati dagli uomini e dagli elementi, per preservarli al servizio della storia.

    Le relazioni vaticane con i nazisti del periodo bellico hanno suscitato un interesse inconsueto nell’opinione pubblica mondiale di questi ultimi anni. Questo interesse non è forse senza rapporto con la revisione generale operata dalla Chiesa nel Concilio Vaticano secondo. Gli storici dovrebbero salutare con favore questo interesse senza precedenti poiché il Vaticano è stato uno dei testimoni più importanti del dramma della guerra; le sue reazioni, se messe in luce con una ricerca e una critica storica coscienziosa, possono illustrare certi problemi, non ultimo dei quali il ruolo e il destino dei paesi neutrali in una guerra ideologica e a dimensione mondiale.

    In riferimento ai rapporti tra il Vaticano e il nazismo, si e parlato negli ultimi anni del «silenzio» che il Papa avrebbe mantenuto nei confronti delle atrocità naziste. Connessa con questa è la questione più ampia dell’atteggiamento generale della Santa Sede verso il regime nazionalsocialista durante la guerra. Alcuni aspetti della neutralità del Papa sono stati interpretati come esprimenti simpatia, o almeno tolleranza passiva, nei confronti del nazismo.

    Questa interpretazione, a sua volta, si fonda sulla teoria secondo la quale il Vaticano vide nel nazismo una difesa necessaria contro il pericolo comunista. In rapporto alla persona stessa di Papa Pio XII, si attribuiscono alla politica del Vaticano inclinazioni eccessivamente filo-tedesche determinate dal fatto che il Papa aveva passato molti anni in Germania e che i suoi consiglieri più stretti erano tedeschi. Più fondamentalmente ancora, si ritiene da parte di molti che il Vaticano avesse assunto una posizione pregiudizialmente favorevole a governi autoritari, tanto più se anticomunisti. Un segno particolarmente indicativo dell’inclinazione della politica vaticana per le dittature viene individuato nel concordato che la Santa Sede concluse con il Reich nel 1933, quando mons. Pacelli, il futuro Pio XII, era Segretario di Stato del Papa. Per diversi anni, il concordato simboleggiò per molti una specie di alleanza con il nazismo. Questa interpretazione della politica pontificia (particolarmente diffusa tra gli esuli politici dal nazismo e dal fascismo), non fu contraddetta, durante la guerra, da nessuna franca dichiarazione del Vaticano che ponesse la Santa Sede direttamente e apertamente in guerra con il nazismo. Il concordato del 1933, per esempio, non fu ritrattato, né ci fu alcuna interruzione nei rapporti diplomatici con i nazisti.

    Dal punto di vista dell’approfondimento storico, siamo ancora agli inizi della nostra conoscenza della politica vaticana nei confronti del nazismo durante gli anni della guerra. La materia è straordinariamente complessa e sottile; cosa prevedibile, trattandosi di un’istituzione internazionale avente un’antica missione religiosa trascendente confini e nazioni, e dotata di tradizioni, prospettive e pratiche spesso di difficile interpretazione per osservatori esterni. Che il verdetto definitivo della storia possa essere molto diverso da quello che caratterizzò l’opinione pubblica mondiale nel duro periodo dell’immediato dopoguerra? Contrariamente alle previsioni di alcuni commentatori del tempo di guerra, il Vaticano uscì dalia guerra con accresciuto prestigio. Se il giudizio favorevole che il Vaticano ebbe nel periodo immediatamente successivo alla guerra fosse pienamente meritato come sembrò nel 1945, potrà essere appunto accertato da quegli storici che scelgono di dedicarsi a questo aspetto della storia della guerra.

    I leaders responsabili delle forze alleate del tempo di guerra erano convinti che Pio XII «in cuor suo» non fosse dalla parte dell’Asse (per citare un diplomatico del Reich) (1), bensì dalla parte degli alleati. Il peso delle testimonianze rinvenute nei documenti non lascia il minimo dubbio circa la parte dalla quale stavano le simpatie del Papa. Certamente non c’è alcuno spazio per il dubbio circa il fatto che sul piano ideologico il Vaticano fosse chiaramente antinazista: d’altra parte, perché non avrebbe dovuto opporsi ad un persecutore che proclamava apertamente l’incompatibilità del cristianesimo con il nazionalsocialismo? Ma questo atteggiamento comportava una solidarietà con le democrazie occidentali in tutti i particolari? Allo storico non compete legittimare posizioni del Vaticano che neppure il Vaticano stesso si preoccupò di difendere. In una circostanza Roma smentì piuttosto seccamente una stona apparsa in Occidente secondo la quale gli obiettivi bellici degli Alleati e del Vaticano erano identici. Una base più sicura per comprendere la politica globale del Vaticano consiste nell’esaminarla in base alla sua dichiarata neutralità per verificare se, in alcuni atteggiamenti incoerenti, essa non riveli i suoi limiti.

    La guerra imprime un’accelerazione alla storia. I drastici cambiamenti di potere che derivano da eventi militari decisivi mettono alla prova tutte le istituzioni e le tradizioni di un paese in una misura che in tempi normali richiede anni e decenni per prodursi. La seconda guerra mondiale nei suoi sei brevi anni registrò violenti e repentini mutamenti politici connessi con le oscillazioni delle fortune belliche. Come si comportò la neutralità del Vaticano di fronte a queste prove? Vorrei distinguere, dal punto di vista del Vaticano, cinque fasi che dovrebbero aiutare lo storico a valutare la politica vaticana nei confronti dei nazisti, specialmente quale essa appare nei documenti sequestrati dal Reich.

    La prima fase si estende dall’invasione della Polonia alla caduta della Francia. Questo periodo comprende la guerra-lampo in Polonia e il periodo della cosiddetta «guerra finta» culminato a sua volta in un’altra campagna-lampo in Occidente.

    Il secondo periodo abbraccia quella che può essere descritta come l’egemonia nazista sul continente europeo: i dodici mesi dall’armistizio francese del giugno 1940 all’attacco all’Unione Sovietica della metà di giugno del 1941. In questi mesi, nei quali gli inglesi erano soli e gli Stati Uniti stavano ancora discutendo l’opportunità di intervenire, il trionfo dell’«Ordine Nuovo» sembrò assicurato.

    Il terzo periodo fu improvvisamente inaugurato dall’assalto nazista all’Unione Sovietica, il quale nei primissimi mesi sembrò seguire lo stesso schema delle campagne precedenti. Dal punto di vista politico, l’iniziativa sembrò un intelligente tentativo da parte dei nazisti di guadagnarsi quell’appoggio che avevano cosi ampiamente mancato di conquistare nei paesi occidentali occupati. Fu questo il periodo della «crociata» contro il bolscevismo.

    Un altro punto di svolta si ebbe con la capitolazione tedesca a Stalingrado nel febbraio 1943, con la quale la potenza nazista cominciò a ridursi visibilmente. L’idea della Germania come «baluardo» dell’Europa contro il bolscevismo succedette allo slogan della «Crociata».

    Il quinto periodo ebbe inizio con lo sbarco degli Alleati sul continente la prima settimana di giugno 1944, in coincidenza con l’ingresso degli Alleati in Roma. Nei mesi conclusivi, il vacillante regime nazista cercò di spaccare gli Alleati e di volgere il fronte contro i sovietici.

    La persecuzione nazista e il Vaticano

    Della radicale ostilità dei nazisti nei confronti della Chiesa cattolica, sia sotto il profilo ideologico che sotto quello pratico, non è proprio il caso di fornire delle prove. Ma può forse essere necessario sottolineare ciò che non ha bisogno di prove, dal momento che quello aspetto delle relazioni nazi-vaticane viene spesso minimizzato. Il linguaggio contenuto e ricco di circonlocuzioni usato in pubblico da Pio XII durante gli anni di guerra contribuì a incoraggiare l’impressione che, forse, Pio XII nutrisse una segreta simpatia per il nazismo. Se fosse vero, ciò significherebbe che Pio XII non sapeva ciò che chiunque altro sapeva e che, anziché prendersi cura delle sue dirette responsabilità di protettore della Chiesa universale, egli diede priorità ad aspetti estranei, quali il pericolo comunista e il futuro del popolo tedesco, trascurando inoltre il destino che i nazisti avrebbero riservato alla Chiesa in caso di vittoria.

    Il Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, tra i capi d’accusa imputati ai leaders nazisti, include crimini contro l’umanità, tra i quali era annoverata la persecuzione religiosa. Nel primo caso d’accusa, la cospirazione comune, l’accusa dichiarava:

    I cospiratori nazisti, promuovendo credenze e pratiche incompatibili con l’insegnamento cristiano, cercarono di sovvertire l’influenza delle Chiese sul popolo e in particolare sulla gioventù della Germania. Essi hanno dichiarato il loro obiettivo di eliminare le Chiese cristiane in Germania ed hanno perciò cercato di sostituire le istituzioni e le credenze naziste; in ordine a ciò hanno perseguito un programma di persecuzione di sacerdoti, chierici e membri di ordini monastici che essi ritenevano opporsi ai loro intenti, ed hanno confiscato le proprietà della Chiesa.

    Più tardi, nel processo Wilhelmstrasse diretto dagli U.S.A., il tribunale militare affermò nella sentenza: «Che il regime nazista abbia intrapreso una campagna di persecuzione della Chiesa cattolica, del suoi dignitari, sacerdoti, delle suore e dei praticanti è accertato al di là di ogni possibile dubbio. Tale persecuzione non consistette in atti isolati di singoli cittadini, ma fu un atto definito dal governo. Il suo scopo, per quanto riguardava i cattolici tedeschi, era di separare i fedeli dalla Chiesa e dai suoi preti, di distruggere la sua leadership, affinché i praticanti diventassero. ossequienti ai principi nazisti e obbedissero soltanto ai comandi di Hitler, come si può evincere dal decreto di Bormann del giugno del 1941.
    «Nei territori occupati il piano aveva una caratteristica aggiuntiva, cioè quella di eliminare i preti e di privarli così di ogni possibilità di dare qualsiasi conforto religioso e di insegnare ai popoli di quei paesi».
    Il tribunale dichiarava più avanti: Anche se non ci fosse la Convenzione dell’Aja, non avremmo esitazione nel dichiarare che la persecuzione delle chiese e del clero costituisce un crimine contro l’umanità... Riteniamo che crimini contro l’umanità furono commessi su vasta scala, che furono pianificati e che facevano parte del programma politico adottato dal Terzo Reich» (2).
    I documenti del partito, quali la già citata circolare di Martin Bormann del 6 giugno 1941 sull’incompatibilità tra nazionalsocialismo e cristianesimo, sono importanti testimonianze della mentalità dei nazisti oltre che una chiave interpretativa delle loro intenzioni. Secondo la testimonianza di quanti li ascoltarono, spesso Hitler, nel corso di alcune sue conversazioni non ufficiali, dichiarò il suo disprezzo per la religione e lasciò chiaramente capire che quando avesse avuto le mani libere avrebbe eliminato òa Chiesa, naturalmente con i sistemi radicali già allora adottati da parte dei nazisti. Una dichiarazione indicativa delle opinioni di Hitler merita di essere qui citata poiché non si tratta di un’osservazione occasionale intorno ad un tavolo da pranzo ma di una dichiarazione fatta in occasione di un importante incontro politico e documentata ufficialmente. La troviamo nel memorandum di un incontro dell’8 maggio 1942 per discutere la politica da adottare nel territori orientali. Erano presenti Rosenberg, Lammers e Bormann. Le note sono di Lammers.

    «Il Führer precisò che dopo la guerra avrebbe preso le debite misure contro la Chiesa; egli credeva di poter fare allora con la sua autorità ciò che altri avrebbe potuto fare più tardi soltanto con difficoltà. Egli non avrebbe dimenticato l’atteggiamento della Chiesa durante la guerra. Io dissi al Führer che nella mia scuola a Dahlem stavo conducendo un corso di politica ecclesiastica con un piccolo gruppo, e che in questo corso era stato sviscerato l’intero problema, al fine di poter condurre in futuro la necessaria lotta ideologica con un’adeguata conoscenza» (3).

    Queste parole riflettono l’atteggiamento costante dei leaders nazisti. Pio XII aveva sin troppe ragioni per conoscere assai bene le intenzioni naziste. Se le sue dichiarazioni pubbliche non denotano questa consapevolezza nel linguaggio veemente che forse il suo predecessore Pio XI avrebbe impiegato, ciò non si può ragionevolmente attribuire a simpatia per il persecutore, le cui vittorie militari lasciavano presagire disastri per la Chiesa.

    La prima fase: settembre 1939 – giugno 1940

    In un periodo di rottura di trattati, anche il concordato tedesco-vaticano del 1933 ne fece le spese, allo scoppiare della seconda guerra mondiale. Ora, oltre a dover far fronte alla politica antireligiosa in Germania, la Santa Sede fu chiamata ad esercitare la sua tradizionale missione umanitaria e pacificatrice, compito che esigeva una rigida neutralità formale, senza la quale non si sarebbero potute realizzare iniziative di soccorso e solidarietà umana. I primi mesi videro il potere nazista estendersi su una Polonia sconfitta, per i cui milioni di cattolici il Papa aveva uno speciale debito di compassione e di interessamento paterno.

    Dal 1° settembre, le relazioni nazi-vaticane erano ad un punto morto. Da lungo tempo, e specialmente a partire dall’enciclica Mit Brennender Sorge del 1937, i nazisti trattavano la Chiesa e la Santa Sede con aperto disprezzo, violando diversi articoli del Concordato quando piaceva loro e aderendo ad altri per la stessa ragione. Le proteste ripetutamente fatte dalla Santa Sede furono ignorate o educatamente e cinicamente respinte o eluse con delle contro-proteste di una sfrontatezza senza pari. Quando scoppiò la guerra, il governo nazionalsocialista considerò il concordato antiquato e inoperante. Se Hitler non lo ripudiò formalmente, era solo perché attendeva un momento più propizio per farlo. Quando furono fatte delle concessioni, esse non si effettuarono ma termini di reciprocità, ma per decisioni unilaterali.

    Fu in tali circostanze che il Papa si trovò costretto a battere strade quasi impossibili. Qualcuno potrebbe essere tentato di dire che, viste le circostanze e tenuto conto sia della prassi politica ecclesiale che dei principi di civiltà, egli sarebbe stato giustificato nel prendere aperta posizione contro i nazisti, simpatizzando con gli Alleati e con la Polonia cattolica, la cui invasione rappresentava la prova culminante di una sistematica malafede. Certamente la sua autorità morale avrebbe contato molto, tanto più che, in quel momento, i nazisti e i comunisti erano alleati e si stavano spartendo il bottino.

    Ma per il Vaticano non c’era nessun’altra opzione possibile che non fosse la neutralità, una neutralità coerente con il suo carattere unico. Il che non significa, nel caso del Vaticano ancor più che per gli altri paesi neutrali del periodo bellico, che restasse indifferente, e ancor meno inattivo. Neanche l’impulsivo Pio XI, che precedette Pio XII e a differenza di Pacelli era solito esprimere il suo pensiero in modo motto schietto, avrebbe scelto una strada diversa dalla via mediana di neutralità ufficiale. A prescindere dal Trattato Laterano che stabiliva la neutralità permanente del Vaticano, il coinvolgimento della Santa Sede con uno degli schieramenti contrapposti avrebbe immischiato sempre più e senza via d’uscita la Chiesa in questioni politiche estranee alla sua natura. Ciò avrebbe inevitabilmente compromesso la sua missione religiosa. Ciò avrebbe anche significato — non è quasi neanche il caso di dirlo — la fine del ruolo del Vaticano quale forza di pace, e della sua tradizionale opera di assistenza materiale e morale in favore di tutte le regioni e i popoli straziati dalla guerra. Gli Alleati, va detto a loro merito, rispettarono il diritto alla neutralità del Vaticano, anche se a volte non condivisero le interpretazioni date dal Vaticano della sua missione spirituale e morale.

    Fu in questo contesto di rapporti che apparvero la prima enciclica del Papa, la Summi Pontificatus del 20 ottobre 1939, e il suo primo messaggio natalizio. Come tutte le sue dichiarazioni pubbliche, anche queste furono espresse in termini accuratamente studiati, compatibili con il ruolo di pace neutrale del Vaticano. Il Papa stesso disse all’ambasciatore tedesco, Diego von Bergen, che le sue affermazioni erano da intendersi in termini generali e tali sarebbero restate anche per il futuro (4). Ma Berlino si riservò il diritto, in queste occasioni, di dare delle sue interpretazioni alle affermazioni del Papa. Il 25 gennaio 1940, il Segretario di Stato von Weizsaecker, analizzando in generale i rapporti vaticano-nazisti, affermò che «di recente il Papa ha fatto dei pungenti riferimenti a noi in varie occasioni, in particolare nell’enciclica Summi Pontificatus e nel suo indirizzo natalizio». Il Vaticano, egli ammise, ha usato termini generali, ma, aggiunse, «è del tutto chiaro a chi ci si riferisce in ciascuna occasione» (5). Questo commento, aggiungeva Weizsaecker, si applicava anche all’Osservatore Romano e alla Radio Vaticana, in particolare alle sue emissioni sulle questioni polacche.

    La situazione polacca impegnò gran parte dell’attenzione del Vaticano in questi primi mesi dell’anno. Berlino, comunque, rifiutò a qualsiasi rappresentante del Papa il permesso di andare in Polonia anche per motivi umanitari. Rifiutò altresì il permesso di inviare aiuti materiali; e i ripetuti interventi di Mons. Cesare Orsenigo, nunzio papale a Berlino, in favore di singoli polacchi, restarono senza risposta.

    Nel marzo del 1940, il Ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop venne a Roma dove, dopo una conversazione con il Governo fascista, visitò il Vaticano incontrando il Papa e il Segretario di Stato Maglione. Un documento avente la pretesa di essere una testimonianza di questo incontro si trova negli archivi del Ministero degli Esteri tedesco. C’é da credere che esso fu steso da qualcuno che non era neppure stato presente. Notevoli dubbi circa la sua attendibilità sono stati sollevati anche soltanto dal fatto che il linguaggio stesso non traduce la veemenza della reazione del Papa, quale è stata successivamente testimoniata da Mons. Alberto Giovannetti, il quale ha lavorato sui documenti originali del Vaticano. Il Segretario del Papa, Fr. Robert Leiber, è ancora più deciso nel negare l’accuratezza del documento. I curatori definiscono il documento un «memorandum non firmato» (6). Secondo il defunto Cardinale Domenico Tardini, la missione di Ribbentrop aveva come obiettivi la verifica delle intenzioni del Papa e forse il tentativo di spaventare il Vaticano (7). Dal canto suo, comunque, il Papa aveva preparato un dossier dettagliato dei motivi di lagnanza che la Santa Sede aveva nei confronti della politica religiosa del Reich. Di questo dossier, nel cosiddetto «resumé» di Ribbentrop non si trova nessuna traccia.

    Il 10 maggio 1940, quando giunsero le prime notizie che le truppe tedesche avevano violato la neutralità Belgio, dell’Olanda e del Lussemburgo, il Papa mandò telegrammi di simpatia ai governanti di questi paesi, telegrammi diversamente formulati ma tutti quanti esprimenti la speranza che questi paesi avrebbero ottenuto la restaurazione dei loro diritti e della loro libertà. L’Ambasciatore von Bergen riferì a Berlino che l’invio dei telegrammi papali, che il Vaticano rese immediatamente pubblici, non era un intervento politico, e osservò che non c’era «nessuna parola di protesta» (8). L’ambasciatore italiano a Berlino, Dino Alfieri, disse all’Ambasciatore tedesco in Italia, Georg von Mackensen, che il Papa avrebbe spedito i suoi telegrammi solo in qualità di «alto sacerdote», evitando termini politici quali «invasione». Ma per parte sua Alfieri rifiutava questa distinzione tra sacerdozio e politica, sostenendone l’impossibilità in circostanze come quelle presenti. «Il fatto del telegramma è un atto politico » disse l’italiano (9). Entrambi avevano ragione, naturalmente. Questi contrasti tra spirito e lettera fanno parte del dramma della neutralità.

    Seconda fase: l’egemonia nazista sul continente, giugno 1940 – giugno 1941

    Il tracollo della Francia provocò uno choc profondo in Vaticano, in quanto il trionfo della Wehrmacht preannunciava un’Europa dominata a tempo indeterminato da un’ideologia ostile in modo militante alla Chiesa e alla religione in generale. In Vaticano non si condivideva la opinione di alcuni miopi patrioti italiani che vedevano nella caduta della Francia la possibilità di ingrandimenti territoriali con una guerra di breve durata.

    Gli inglesi erano soli contro l’Asse, l’intervento americano appariva problematico: la seconda guerra sembrava virtualmente decisa. Tutto dipendeva, naturalmente, dalla volontà inglese di combattere. Il Vaticano, proseguendo la sua politica di pacificazione, fece sondaggi tanto a Londra che a Berlino per verificare le possibilità di una pace negoziata. Gli inglesi non esitarono a rendere nota la loro risoluta determinazione, per cui il Vaticano desistette da ulteriori iniziative in questo senso.

    I sondaggi di pace del Papa di giugno e di luglio ebbero un carattere puramente esplorativo e furono condotti per sua iniziativa personale. Lo storico inglese H. B. Trevor-Roper, fidandosi evidentemente di un’affermazione fuorviante contenuta nelle memorie di Churchill, ha scritto che l’iniziativa di pace del Vaticano era stata ispirata da Hitler. Un’affermazione di questo genere manifesta una completa incomprensione della concezione che il Führer aveva del ruolo del Vaticano negli affari europei. I nazisti nutrivano solo disprezzo per il Vaticano, soprattutto nei momenti di trionfo. Gli archivi del ministero degli esteri del Reich indicano chiaramente che il Vaticano agì di sua iniziativa e non su suggerimento di Hitler (10).

    I dodici mesi dell’egemonia nazista costituirono probabilmente per Pio XII il periodo di maggiore solitudine, difficoltà e angoscia dell’intera guerra. La sua posizione era pericolosa al massimo grado. Vivendo nel cuore dell’Italia, non poteva facilmente evitare le pressioni dell’ambiente circostante, o eludere le insidie compromettenti tesegli dal regime fascista. Anche uomini di Chiesa dei circoli vaticani a predominio italiano, almeno così sembrò, tendevano a considerare la vittoria nazista soltanto come una vittoria italiana. D’altro canto, nei circoli polacchi — sia in Polonia che a Londra — la disperazione crescente portava a domande insistenti perché il Papa condannasse apertamente i nazisti. Al tempo stesso, nel Reich, la persecuzione religiosa si era accentuata, determinando una pietosa protesta dei vescovi tedeschi, nel giugno del 1941.

    Questi dodici mesi registrarono altresì una lunga lotta da parte del Vaticano per evitare di essere «catturato» e strumentalizzato dalla propaganda dell’Asse, in un’Europa nella quale la stampa era controllata e sfruttata dai conquistatori. Le smentite del Vaticano si moltiplicarono nello sforzo di far fronte alle notizie false, tendenziose e unilaterali messe in circolazione dalle fonti dell’Asse in questo periodo. Già il 14 settembre 1940, il Papa, in un’udienza settimanale, aveva annunciato il diffondersi della falsità che genera odio. Il tema fondamentale della propaganda nazista, assecondata da quella fascista — il tutto prontamente ripreso in Spagna e nella Francia di Vichy, e, naturalmente, «esportato» nella stampa di occupazione del Belgio, del Lussemburgo, dell’Olanda e particolarmente della Polonia — era che la situazione religiosa in Germania era buona. Si pretese addirittura che la Chiesa in Polonia prosperasse. Il Papa e i suoi consiglieri, si mormorava, riconoscevano i’ineluttabilità del trionfo dell’Asse e la fine dell’era democratica; stavano pertanto sollecitando i paesi occupati ad accettare il destino manifesto del sistema totalitario.

    Una correzione tipica, che dà la chiave per cogliere l’essenza della propaganda dell’Asse, fu pubblicata dall’Osservatore Romano il 17 febbraio 1941, con il titolo «Per la verità». In essa si negava:

    1. Che il Santo Padre avesse dichiarato obbligatorio per tutti adeguarsi alla nuova situazione europea.
    2. Che la Santa Sede si opponesse alle forme democratiche di governo.
    3. Che la Chiesa Cattolica in Germania stesse ora vivendo in condizioni del tutto soddisfacenti.
    4. Che in occasione del tempo natalizio il Santo Padre fosse riuscito ad ottenere il permesso per certi popoli delle aree occupate di avere speciali celebrazioni religiose.
    5. Che il Santo Padre avesse dato una benedizione speciale alle armi di una particolare nazione.
    6. Che il Santo Padre avesse detto che la Francia avrebbe fatto molto meglio a sostituire l’armistizio con un trattato di pace, senza attendere ha fine delle ostilità.

    Alla fine del 1940, la furia dell’occupazione nazista nell’Europa orientale aveva già raggiunto il suo apice. La politica nazista in Polonia era semplice: ridurre il popolo in condizioni sub-umane, privandolo della sua intellighentsia e del suo clero. Raphael Lemkin inventò presto la parola genocidio per descrivere quanto stava avvenendo, e a questo punto essa si poteva applicare ugualmente bene ai cattolici polacchi come agli ebrei. I tentativi di rendere di pubblico dominio le atrocità commesse davano luogo soltanto a altre atrocità; e a Berlino si prestava poca attenzione agli appelli vaticani. Gli archivi del ministero degli esteri del Reich sono pieni di inutili istanze diplomatiche del nunzio papale Orsenigo. In occasione del Natale 1940, Papa Pio XII diede sfogo pubblico alla sua angoscia, in una lettera aperta indirizzata al Cardinale Maglione. «Da ogni parte — affermava — ci giungono gli echi lamentosi di una guerra devastatrice. Sono le voci dei nostri figli che lottano tra grandi sofferenze, implorando aiuto. Un male ed una sofferenza così grandi, e che si fanno ogni giorno più gravi ed estesi, non possono che trovare la più dolorosa eco nel nostro cuore di Padre, che avverte le pene e le lacrime di tutti i Suoi Figli, senza distinzione. Non abbiamo lasciato nulla di intentato affinché, in questo immenso cumulo di miserie, la compassione di Gesù, il cui posto indegnamente occupiamo, si potesse rivelare manifestando la sua bontà e dando i suoi frutti. Purtroppo, molti dei nostri sforzi hanno incontrato difficoltà di ogni genere, ancora più gravi di quelle dell’ultima guerra, alcune derivanti dalla natura stessa del flagello che infuria, altre (possiamo anche dirlo) causate dalla volontà degli uomini. Non volendo restare testimoni inerti di un tale deplorevole state di cose, e armati soltanto delle armi della verità, della giustizia e della carità cristiana, ciò che possiamo fare è invitare ancora una volta tutti alla preghiera di propiziazione e a una generosa attività di soccorso».

    Il Natale del 1940 fu altrettanto buio per Pio XII che per gli inglesi, e per ragioni analoghe. L’opinione pubblica mondiale, in quel periodo bellico in cui la vera natura del piano di conquista nazista non era stata ancora completamente compresa, non capì la profondità del disastro e la tragedia che si nascondevano dietro queste parole del Papa il quale non poteva permettersi il lusso di parlare apertamente come Churchill. Questo ritardo nella conoscenza dei veri termini della situazione — certamente non chiara in questo periodo negli Stati Uniti — può spiegare perché, nel giro di pochi mesi, alcuni abbiano potuto semplicisticamente credere che il Vaticano avrebbe immediatamente perdonato e dimenticato quanto stava accadendo in Germania e in Polonia per il solo fatto che Hitler aveva deciso di attaccare l’Unione Sovietica.

    La guerra nazi-sovietica: terza fase

    L’attacco di Hitler all’Unione Sovietica della metà di giugno del 1941 costituì una prova per il Vaticano, così come accese il dibattito tra gli Alleati Occidentali. Per anni (almeno dal 1930) la Santa Sede era stata apertamente in conflitto con il regime sovietico che, sia in teoria che in pratica, sotto Lenin e sotto Stalin, era state spietato nel sopprimere la credenza e la pratica religiosa. Ora che lo stesso Cremlino si trovava impegnato in una lotta mortale contro le invitte forze naziste, Roma avrebbe appoggiato i nazisti e dato il suo sostegno morale alla guerra? Avrebbe rotto la sua neutralità, ora che gli obiettivi della guerra sembravano coincidere con i suoi interessi? Non era venuta l’ora di dichiarare che la guerra era una «crociata» contro il bolscevismo?

    Voci di questo genere si sentirono più insistentemente in Spagna che altrove. Si sentirono in Italia, dove pressioni in questo senso vennero esercitate sul Vaticano. Si sentirono a Vichy. E si sentirono sulla stampa controllata dai nazisti in Francia, Belgio e Olanda. Ma non si sentirono dal Vaticano. No, tranne un’eccezione, ad opera di un eminente prelato cattolico nei paesi occupati il cardinale Baudrillart (cfr. p. 291).

    Dope la guerra, Pio XII fece allusione ai tentativi fatti per indurlo a gettare il peso delle sue parole in favore dell’Asse nella guerra russa. Il 25 febbraio 1946, per esempio, indirizzandosi al corpo diplomatico alla presenza dei cardinali, egli disse: «Avemmo speciale cura, nonostante certe pressioni tendenziose, a non lasciare uscire dalle nostre labbra o dalla nostra penna una sola parola, un solo segno di approvazione o di incoraggiamento della guerra contro la Russia del 1941». Ciò riaffermò ancora più formalmente nella sua enciclica Sacro Vergente Anno del 2 luglio 1952 ai popoli della Russia. Nel corso della propaganda non si diede rilievo al fatto che la Germania nazista in quante tale non fece alcun passo per sollecitare il sostegno del Vaticano.

    Il regime disdegnava di cercare l’appoggio morale della religione nella lotta nazista per sterminare il bolscevismo. Il tema di una «crociata per il cristianesimo» non apparve mal nei giornali di propaganda nazista in patria.

    Quanti pensavano che la guerra avesse degli scopi in qualche medo religiosi furono presto disingannati dalle misure prese dai nazisti nelle aree di nuova occupazione. Nei primissimi mesi, è vero, i comandanti militari dei térritori occupati riaprirono in molti casi di loro autorità le chiese precedentemente chiuse in territorio russo, e presero anche parte alle celebrazioni religiose nei villaggi ucraini, a vantaggio delle popolazioni che salutavano i tedeschi come liberatori. Ma le vere intenzioni di Berlino non tardavano a farsi conoscere e sentire. È assolutamente chiaro che i nazisti non intesero trarre profitto dalia religione né in buona né In cattiva fede. Per quanto riguarda la cosiddetta crociata per il cristianesimo, Rosenberg affermò candidamente la posizione nazista quando dichiarò: «La lotta contro l’Unione Sovietica non è una lotta per salvare il cristianesimo bensì è in funzione dell’autopreservazione biologica dei popoli europei» (11). Pio XII non aveva davvero frainteso nell’interpretare il vero significato della spedizione nazista all’est.

    In una famosa conferenza del Führer del 16 luglio ai capi militari e politici convenuti per essere istruiti sulle linee di fondo della politica orientale, leggiamo: «Incidentalmente, il Führer sottolineò che le attività da parte delle chiese sono fuori discussione. Papen gli ha mandate tramite ii Ministero degli Esteri un lungo memorandum in cui si afferma che ora è il momento giusto per ristabilire le chiese, ma questo era completamente (in italiano nel testo originale) fuori discussione» (12).

    Ci sono molti resoconti di questo incontro e sono tra loro concordi non solo sulla sostanza ma anche sul tono con il quale il Führer esprimeva le sue opinioni. In una nota datata il giorno seguente, un ufficiale dell’Ufficio degli Esteri riporta il seguente dialogo: «Papen aveva proposto al Führer di riportare la Russia al cristianesimo in modo da rafforzarne il morale. Il Führer rispose: L’idea di un’attività missionaria del genere non era da prendersi nemmeno in considerazione. Se si fosse fatta una cosa del genere, si sarebbe permesso a tutte le confessioni cristiane di entrare in Russia per colpirsi l’un l’altra a mazzate con i loro crocefissi» (13). Un terzo documento su questa posizione di Hitler si trova in un memorandum delle stesso incontro steso dal dott. Otto Bräutigam, il quale faceva parte dello staff di Alfred Rosenberg, ministro per i territori orientali. Egli ricorda che in queste incentro del 16 luglio Hitler attaccò violentemente l’Ambasciatore von Papen, il quale aveva sottopesto uno schema per condurre un’azione missionaria — evidentemente attraverso Roma — nei territori dell’est. Il suggerimento dispiacque grandemente al Führer il quale proibì esplicitamente qualsiasi tentativo di esercitare un’influenza religiosa sul paese (14).

    Che cosa risponde l’Ambasciatore, e già Cancelliere del Reich, Franz von Papen, al rapporto Bräutigam? In una lettera inviatami il 21 aprile 1964, il controverso diplomatico affermò: «Certamente io non proposi mai ad Hitler uno schema per condurre un’azione missionaria “evidentemente attraverso Roma” nelle province sovietiche occupate. Probabilmente Hitler lo confuse con il suggerimento, da me avanzatogli nel 1941, “di riaprire tutte le chiese nelle città e nei villaggi dei dieci territori occupati, per le molte persone che desideravano ardentemente la libertà religiosa”. Mi fu riferito più tardi che questa proposta aveva incontrato Ia veemente opposizione di Rosenberg».

    La concordanza di questi rapporti sull’incontro del 17 luglio chiarisce quali erano le intenzioni di Hitler a proposito dell’attività religiosa nei territori di recente occupazione. Non c’è alcun accenno né alcun desiderio di assistenza morale, men che meno da parte di Roma. Le azioni intraprese ai livelli inferiori lo confermano. Il 23 luglio, l’uomo addetto a tenere i collegamenti da parte di Ribbentrop con l’ufficio di Rosenberg, riferì su un incontro avute con George Leibbrandt, principale consigliere politico di Rosenberg. Rosenberg, la cui nomina sarebbe stata resa nota entro breve tempo, si sarebbe preso cura di tutte le questioni ecclesiastiche. In generale, l’orientamento era di non procedere con mano pesante, ma tutti i contatti all’estere con organizzazioni ecclesiastiche nei territori occupati allo scopo di guadagnare influenza non dovevano essere permessi. Aggiungeva, in particolare che da parte del Vaticano ci si doveva attendere le seguenti mosse:

    «Vorrei osservare in proposito che dobbiamo attenderci dei tentativi da porte della Sede papale di prendere contatti con la Chiesa Greco Ortodossa (sic) dell’Ucraina Occidentale (Lwow. Mons. Sheiptytskj) e di avvicinare anche la popolazione cattolica (polacca) nella Russia Occidentale e nella Lettonia orientale, nonché la popolazione lituana» (15).

    Gli ordini impartiti ai comandanti militari fecero ben presto eco alla proibizione dell’attività religiosa. Un Führer-Befehl del 6 agosto all’OKW dava disposizioni ai comandanti di astenersi dal prendere parte alle cerimonie religiose locali. Ai cappellani doveva essere proibita qualsiasi propaganda religiosa tra la popolazione civile. Neppure dovevano essere ammessi ecclesiastici civili, né dal Reich né dall’estero (16).

    In breve tempo, la questione della Russia e della religione era diventata una questione internazionale. Il 11 settembre, Myron C. Taylor incontrò Pio XII, con l’obiettivo di disarmare l’opposizione cattolica americana al Lend-lease (16 bis) in favore della Russia di garantire l’impegno americano a persuadere Stalin ad attenuare la sua politica antireligiosa. Al suo ritorno a New York, il 6 ottobre, Taylor annunciò una mossa verso una «definizione autoritativa delle questioni religiose connesse con la guerra», cioè — disse il giornalista del New York Times, «dev’essere rafforzato un fronte religioso contro i nazisti». La visita di Taylor fu sufficiente a sollevare nuove voci nella battaglia propagandistica volta ad allineare il Papa in un «fronte religioso» da entrambe le parti contemporaneamente. Il 17 settembre, l’Ambasciatore von Bergen, rappresentante tedesco in Vaticano indagò presso l’Ufficio degli Esteri circa voci circolanti a Roma di un accordo con il Reich secondo cui preti formati al Russicum di Roma sarebbero entrati nelle zone russe occupate. Il 15 ottobre, Berlino rispose che «non si sa nulla di nessuna negoziazione» per l’ingresso di tali preti in Unione Sovietica per compiervi un lavoro missionario (17). Ma ciò non fece desistere la stampa in Italia e nella Francia di Vichy dal riportare allo stesso tempo che tale accordo era già un fatto compiuto e che i missionari erano già in viaggio o nelle loro nuove sedi. La verità era esattamente il contrario.

    In realtà, c’é un solo documento negli archivi diplomatici di Bonn che mostra che il Vaticano si sia occupato della questione. Si tratta di una tarda richiesta del Nunzio Orsenigo all’Ufficio degli Esteri dell’11 novembre 1941. Il rappresentante del Papa afferma che alcuni preti ortodossi, circa 20, erano stati recentemente ammessi nei territori russi e viceversa ad un numero inero quasi uguale di preti in Lituania e in Lettonia, già residenti in Russia, era stato ripetutamente rifiutato il permesso di andarvi. Egli pensava — così argomentava — che sarebbe stato un semplice atto di giustizia permettere ai cattolici la stessa cosa che era stata permessa agli ortodossi. La risposta ci mise diverse settimane ad arrivare all’ufficio agli esteri dal Ministero per i Territori Orientali L’ammissione degli ortodossi, diceva il portavoce dell’Ostministerium il 4 dicémbre, costituiva un’eccezione e non un precedente. Un’istruzione generale proibisce l’ingresso nel territorio già russo. Egli aggiunse che in passato effettivamente era stato concesso a preti ortodossi e cattolici di entrare nel territorio russo occupato con l’approvazione delle autorità militari. La Wehrmacht, tuttavia; egli disse, non aveva alcuna competenza per fare una cosa del genere. E, su insistenza dell’Ostministerium, essi erano stati rimandati nel luogo di provenienza.

    «La ragione reale per negare ai preti cattolici il permesso di entrare nell’area gia russa è data dal fatto che i cattolici in essa abilitati a operare non la considererebbero un nuovo territorio» (18).

    Se ci fu una qualche evangelizzazione religiosa nei territori della Russia occupati dai tedeschi, ciò avvenne malgrado, e non per merito della politica nazista. Un certo numero di preti che erano stati appositamente formati al Russicum per il lavoro di evangelizzazione in Russia cercarono di entrare clandestinamente in Russia e di rimanervi. Altri andarono con le forze militari italiane, alcuni come cappellani militari e altri come interpreti civili dell’esercito italiano. Ufficialmente, fu loro proibito dalle autorità militari di prestare qualsiasi opera religiosa tra gli ucraini. Quest’opera religiosa, potremmo aggiungere, non ebbe inizio con la guerra nazi-sovietica della metà giugno del 1941, ma va retrodatata al patto nazi-sovietico del 1939 e alla susseguente incorporazione dell’Ucraina occidentale nell’URSS, se non prima ancora (19).

    Rifiuto di riconoscere le annessioni del Reich

    In questa medesima terza fase. all’apice dell’offensiva nazista in oriente, il Vaticano ricevette un’altra sfida, ancora più frontale, alla sua neutralità. Questa volta il prezzo che pagò fu molto alto, dal punto di vista del Vaticano, poiché il risultato fu quello di fornire ai nazisti una giustificazione formale nel negare ai rappresentanti del Papa il diritto di intervenire in questioni concernenti i territori occupati, particolarmente nell’Europa orientale. Dico formale poiché sin dall’inizio della guerra era stato di fatto negato ai rappresentanti del Vaticano l’accesso a queste regioni.

    Seguendo una prassi consolidata e perfettamente legittima, adottata sin dai tempi della prima guerra mondiale, se non ancor prima, la Santa Sede non volle riconoscere i mutamenti territoriali conseguenti ad azioni militari, fino a che i risultati non fossero stati sanzionati da un trattato di pace. Un riconoscimento prematuro avrebbe soltanto esposto il Vaticano all’accusa di cercare di anticipare l’esito del negoziati politici, se non di pregiudicare l’esito della guerra stessa. Di conseguenza, non solo Pio XII continuò a ricevere in Vaticano l’ambasciatore dell’«estinta» Polonia, ma stabilì un incaricato d’affari presso il governo polacco in esilio, quando questo si trovava ancora in Francia. Dopo la prima guerra mondiale, la Santa Sede si era procurata delle critiche in Francia per aver ritardato la nomina di incaricati ecclesiastici in Alsazia, nell’attesa che il territorio venisse definitivamente assegnato alla Francia. Questa volta toccava ai tedeschi di arrabbiarsi. Il Papa si rifiutò di nominare rappresentanti della Chiesa nel Warthegau e nel Governo Federale. E si rifiutò anche di riconoscere al governo nazista il diritto di dire chi dovesse essere fatto vescovo in tali aree.

    La crisi stava già covando prima della campagna di Russia, ma esplose e si sviluppo rapidamente dopo di essa. Il 29 agosto 1941 l’ambasciata tedesca presentò una nota verbale nella quale rivendicava a Berlino iò diritto di fare commenti e obiezioni alla nomina dei vescovi o di ecclesiastici di pari rango nei nuovi territori (20). Nella nota, Bergen non lasciava adito a dubbi circa i territori a cui si riferiva. Si trattava delle regioni annesse al territorio tedesco sin ‘dal 1939: i territori già polacchi (Warthegau, Governo Generale), Alsazia e Lorena, Lussemburgo e la parte della Slovenia distaccata dalla Jugoslavia (Bassa Stiria, Carinzia e Carniola). E non era tutto. Secondo Weizsaecker (21) andavano inclusi anche l’Ostmark, il distretto di Memel, Eupen-Malmedy, i Sudeti tedeschi e il Protettorato di Boemia e Moravia, Sebbene il concordato del 1933 non facesse riferimento a queste aree, secondo Berlino era nondimeno necessario che la Santa Sede si consultasse con il Reich prima di procedere alle nomine non solo dei vescovi residenziali, ma anche di qualsiasi altro prelato in questi territori.

    Ciò equivaleva a domandare che la Santa Sede riconoscesse politicamente e giuridicamente la sovranità tedesca sui territori annessi e ciò mentre la guerra era ancora in corso. La reazione di Roma fu un cortese ma netto rifiuto. Nel professare il sentito desiderio che le relazioni tra la Chiesa e lo stato tedesco avessero a migliorare, il Cardinale Segretario di Stato in data 18 gennaio 1942 replicava che

    «Le relazioni tra chiesa e stato in Germania sono ancora ben lontane dall’essere ciò che dovrebbero essere, come, purtroppo, è reso manifesto dalle misure e dagli atti che continuano a verificarsi sia nel territorio del Reich che nei paesi annessi, misure ed atti che violano gravemente i diritti della Chiesa, essendo contrari non solo ai concordati esistenti e ai principi di diritto internazionale ratificati dalla Seconda Conferenza dell’Aia, ma spesso — e questo è molto più grave — agli stessi principi fondamentali della legge divina, sia naturale che positiva».

    Colta in questo modo l’occasione per elevare la sua protesta relativa al deprecabile stato generale dei rapporti stato-chiesa, la nota vaticana passava al punto principale della nota verbale tedesca. Essa negava al governo, salve espresse concessioni in proposito, il diritto di essere consultato, soltanto in nome della sovranità, sulle nomine ecclesiastiche. Proseguiva poi ribadendo la sua prassi consacrata dal tempo in materia di conquiste territoriali in tempo di guerra:

    «Inoltre, la Santa Sede ha una norma ed una prassi costante di diritto, di prudenza e di rispetto, determinata dai più alti principi morali e giuridici, secondo cui, quali che siano gli accordi o i privilegi richiesti dagli stati, non procede a innovazioni nella vita religiosa di un paese, in qualsiasi modo occupato o annesso in seguito ad operazioni militari, se non quando, concluse le ostilità, le nuove condizioni siano formalmente riconosciute nei trattati di pace o dagli organi internazionali competenti in materia (22).

    Il rifiuto del Papa di prestarsi ad un implicito riconoscimento delle conquiste naziste fu seguito dalle previste contromisure. In un rapporto del 27 giugno 1942, il nunzio affermò che sino al giorno prima non aveva colto nessun accenno da cui dedurre che la replica del Vaticano avesse avuto corso o fosse stata ricevuta. Aveva solo notato che le pratiche relative in qualche modo al nuovi territori registravano inconsueti ritardi o erano quasi perdute nel mare della burocrazia. Ma il giorno precedente, andando a chiedere notizie dei professori polacchi arrestati all’università di Lublin, si sentì rispondere da Weizsaecker che «la decisione era che nessuna proposta o richiesta riguardante i territori che non erano appartenuti al Vecchio Reich sarebbe stata ulteriormente presa in considerazione» (23). (I 17 professori circa i quali «non era disponibile nessuna informazione» erano già stati assassinati) (24).

    La decisione era di Hitler. Il 10 giugno 1942 egli aveva decretato che, dato che non aveva voluto riconoscere il diritto del Reich di controllare le nomine ecclesiastiche nei territori di nuova occupazione, il Vaticano sarebbe stato privato, come logica conseguenza, di ogni possibilità di intervenire su questi stessi territori. II Vaticano — diceva il Führerbefehl — con la sua dichiarazione secondo la quale per tutta la durata della guerra è incapace di riconoscere qualsiasi mutamento territoriale, si è automaticamente privato di qualsiasi rapporto ufficiale con i territori che sono stati incorporati o occupati dopo il settembre 1939» (25). Per stare al sicuro, Hitler applicò la norma anche alle aree annesse prima del 1939.

    L’effetto pratico e immediato di questa decisione fu che le autorità locali tedesche furono autorizzate a trattare soltanto con le autorità ecclesiastiche locali, ma non con qualsiasi rappresentante papale. In base allo stesso provvedimento fu negata la giurisdizione in materia al Ministero per gli Affari Ecclesiastici (il cui capo, Hanns Kerrl, morì nel dicembre del 1941).

    Dovevano ancora passare tre angosciosi anni di guerra. Per quanto riguarda il Vaticano, si verificarono in Europa orientale molti eventi nei quali erano in gioco interessi vitali, ma nei quali era impossibilitato ad interferire. Una delle conseguenze fu quella di dover lasciare i cittadini polacchi nella convinzione che il loro Papa non stesse facendo niente per loro. Pochi di loro seppero che la ragione era che il Papa si era rifiutato di riconoscere l’annessione tedesca del territorio polacco. Durante la guerra, infatti poco si seppe dell’impasse esistente tra Roma e Berlino in questo periodo del 1942.
    [Modificato da LiviaGloria 10/07/2010 23:25]
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    00 10/07/2010 23:26
    I nazisti «baluardo contro l’invasione bolscevica»

    La battaglia di Stalingrado, terminata con la resa dell’intera Sesta Armata agli ordini del Feldmáresciallo Friedrich von Paulus ai primi di febbraio del 1943, segnò l’inizio della posizione difensiva dei nazisti. Rappresentò anche un’improvvisa svolta della propaganda nazista che da questo momento in poi concentrò i suoi sforzi sugli orrori che sarebbero derivati all’umanità se le orde Rosse si fossero riversate sull’Europa occidentale in Seguito alla sconfitta delle forze tedesche. Goebbels ricorda riel suo diario, in data 4 marzo: «La nostra propaganda sta ottenendo un successo enorme».

    In contrasto con gli sforzi propagandistici al di fuori della Germania in questi ultimi anni di guerra, con i suoi appelli agli europei perché contribuissero a salvare il continente dal bolscevismo, Berlino non prese mai in seria considerazione l’ipotesi di sollecitare l’appoggio della Santa Sede. La suprema leadership nazista non manifesto mai l’intenzione di rivedere la sua politica antireligiosa. Si rimane colpiti dall’immobilismo della politica nazista, anche in quest’ora di pericolo. Il tema della difesa dell’Europa si limitava a perseguine intenti propagandistici all’estero ed una funzione di sostegno morale in patria. Quando Hitler e Mussolini si incontrarono in aprile, lo staff di Mussolini propose di fare un qualche proclama per sostenere il consenso. Propose di proclamare l’indipendenza della Polonia, degli stati baltici e dell’Ucraina e la fine della persecuzione razziale (cioè degli ebrei). Ma gli italiani ebbero modo di conoscere la dura intransigenza nazista, quando Ribbentrop disse loro che queste proposte erano inammissibili (26).

    Nella Polonia cattolica che si opponeva al sovietici tanto per motivi politici che per motivi religiosi, le parole caddero nel vuoto. Il Governatore Generale, Hans Frank scrisse a Hitler il 19 giugno 1943 sollecitando una drastica revisione della politica polacca, che comprendesse un nuovo atteggiamento nei confronti della Chiesa. «Per ottenere l’appoggio polacco, egli scriveva, è necessario, se non proprio la cooperazione della Chiesa, almeno un atteggiamento legale» (27). Il suo appello non ottenne alcun riscontro pratico. Una lunga istruzione fatta uscire dal ministero per la Propaganda nel febbraio 1944 sul come organizzare una colossale campagna in Polonia per lanciare un «movimento popolare europeo contro il bolscevismo», non conteneva alcuna indicazione volta a sollecitare il sostegno della Chiesa e in generale non faceva alcuna menzione agli asseriti elementi religiosi della propaganda nazista. La campagna (dal nome di codice Aktion Bertha) non fu mai realizzata (28).

    Insomma, durante la ritirata orientale del 1943-44, il regime nazista o non volle o non poté cambiare la sua politica. Non fece aperture o concessioni in nessuna direzione, né politica, né religiosa o umanitaria. Tra le altre cose, non era assolutamente disposto a fare concessioni al Vaticano. E qui, pertanto, su quali basi si poteva attribuire valore alla propaganda nazista? Nell’alta burocrazia tedesca c’erano poche persone che pensavano necessaria una politica di conciliazione. Il processo di Norimberga ci ha aiutato a identificarne alcune. Una era il generale delle SS Walter Schellenberg il quale era capo del servizio di informazione segreto nazista all’estero; un’altra era Wilhelm Hoettl, incaricato del servizi segreti del Partito in Italia; c’era poi il Lt. delle SS generale Karl Wolff; in genere quei tedeschi per la maggior parte nazisti, che lavoravano in Italia. Essi volevano una rapida conclusione della guerra e speravano di poter trovare una base per un appoggio da parte del Vaticano. Hoettl testimoniò a Norimberga a favore del suo ex capo, Ernst Kaltenbrunner, che, su sua (di Hoettl) pressione, nella primavera del 1943 aveva raccomandato ad Hitler di «addivenire ad un mutamento nella politica ecclesiastica, così da poter contare sul Vaticano come negoziatore di pace». Egli disse che Himmler si oppose violentemente a questo suggerimento. Un passo analogo di Weizsaecker, aggiunse, incontrò lo stesso destino (29).

    Il barone Ernst von Weizsaecker si dimise da Segretario di Stato per divenire, nell’aprile del 1943, il nuovo ambasciatore del Reich in Vaticano, in sostituzione del malaticcio Diego von Bergen, il quale morì poco dopo. Egli ha scritto di aver cercato il posto in Vaticano poiché esso offriva la possibilità di lavorare per una rapida pace, attraverso i contatti internazionali che vi si potevano tenere (30). Molti di coloro che lo conobbero sono convinti che egli non avesse assolutamente nessuna simpatia per il sistema nazista. Tuttavia i suoi sentimenti antinazisti non assunsero mai una forma aperta ed egli rimase sino alla fine il rappresentante ufficiale del Reich. Tra i suoi obiettivi, forse condannato all’insuccesso sin dall’inizio, c’era quello di convincere Berlino della possibilità di conseguire la pace con Ia mediazione del Vaticano. Una base su cui fondare l’accordo, secondo Weizsaecker, era costituita dal pericolo comunista. I suoi dispacci riflettono questa strategia sin dal giorno in cui presentò le sue credenziali.

    Secondo quanto Weizsaecker riferì a Benlino circa la sua prima udienza papale, il Papa lo stette ad ascoltare per mezz’ora, senza tradire alcuna emozione. «Solo nel discutere sulla lotta contro il bolscevismo, le sue reazioni si tradussero nel riconoscimento di un interesse comune con il Reich» (31). Weizsaecker non cita alcuna parola del Papa. In verità, si trovano nei rapporti della missione vaticana una mezza dozzina di riferimenti in cui si fa cenno a una preoccupazione del Vaticano, cioè del Papa o di Maglione, per il pericolo bolscevico e a una fiducia del Vaticano nel baluardo che la Germania era ritenuta rappresentare contro questo pericolo. Ma nessuna di queste affermazioni dei pretesi sentimenti vaticani si avvale di una citazione diretta e di prima mano; alcune di queste affermazioni sono di terza mano o di natura generica, le rimanenti sono chiaramente interpretazioni a proprio uso e consumo che accentuano il preteso Alpdruck (incubo) del comunismo del Papa. Se il Papa disse tali cose ad altri, perché non le avrebbe dette all’unica persona alla quale sarebbero risuonate come una musica, vale a dire all’ambasciatore tedesco, colui che non avrebbe perso tempo nel riferirlo a Berlino? Ma Weizsaecker non attribuisce mai alcun sentimento del genere alle fonti ufficiali del Vaticano. Per di più, Weizsaecker neppure una volta fa menzione di una qualche mossa del Papa rivolta contro i nazisti, ma al contrario tenta di illustrare con quanta benevolenza il Papa trattasse i tedeschi.

    Le storie infondate dell’interesse del Vaticano a mantenere la Germania unico baluardo contro il bolscevismo devono pertanto essere interpretate essenzialmente in funzione della propaganda anticomunista dri nazisti e in particolare della strategia personale dell’ambasciatore del Reich.

    In una lettera personale indirizzata a me il 16 luglio 1964, Sigismund von Braun, già collaboratore di Weizsaecker in Vaticano e oggi osservatore della Repubblica Federale presso le Nazioni Unite, contesta questa interpretazione dei dispacci di Weizsaecker.

    «I telegrammi di Weizsaecker, naturalmente, si riferiscono solo a ciò che il Vaticano pensava del comunismo. Non c’era alcun motivo di telegrafare a Berlino ciò che la Curia pensava del nazismo. Weizsaecker e i suoi interlocutori della Segreteria di Stato vaticana erano completamente d’accordo nel condannare il nazionalsocialismo. Del fatto che nulla di ciò traspaia dai telegrammi di Weizsaecker in patria, non si deve dedurre che non si dicesse nulla o che le opinioni drl Vaticano sul comunismo e sul nazismo fossero sbilanciate in favore del nazismo. Comunque Ia Curia, nel 1943, aveva riconosciuto benissimo i pericoli che minacciavano il mondo da parte dell’Unione Sovietica, e anche su questo punto il Papa e Weizsaecker erano d’accordo, sebbene si trovassero in un certo senso in campi apposti».

    In altri termini, i rapporti di Weizsaecker erano calcolatamente unilaterali e incompleti. Ma, se è vero che Il vero giudizio del Papa sul regime nazista fu censurato e non poté venire alla luce, non potrebbe essere stato distorto e riferito fuori del suo contesto anche il giudizio sul comunismo? Weizsaecker, ad esempio, stese i suoi rapporti con li deliberato intento di destare a Berlino la speranza di una pace mediata dal Vaticano. In vera, lo zelo e l’ingenuità quasi patetici con cui raccoglieva e utilizzava le citazioni rende ancor più significativo il fatto che non abbia citato neanche una volta su questo punto un portavoce ufficiale del Vaticano (32).

    Ci sono chiaramente molte cose da apprendere dagli ancora non disponibili documenti degli archivi vaticani relativamente al fatto se la mentalità di Pio XII e dei suoi collaboratori ufficiali sia adeguatamente rappresentata in questi insoddisfacenti dispacci di Weizsaecker, che in fondo sono rapporti studiati di un ambasciatore dalla posizione ambigua. Pio XII, come Winston Churchill, era pienamente consapevole dei pericoli di un’egemonia sovietica in Europa. Resta la questione di come egli concepisse il ruolo postbellico della Germania a questo proposito.

    Nello stesso periodo, gli organi vaticani, la radio vaticana e l’Osservatore Romano non dissero nulla che potesse in qualche modo lasciar credere che la Germania, e implicitamente il sistema nazista, fossero considerati in quegli ambienti come il «baluardo» contro i bolscevichi.

    Anzi, fu proprio quando i nazisti accampavano la pretesa di essere Ia sola speranza dell’Europa contro la invasione bolscevica, che le relazioni del Vaticano con Berlino registrarono la loro più profonda decadenza. In data 2 marzo 1943, il Cardinale Segretario di Stato Luigi Maglione mandò al ministro degli Esteri von Ribbentrop la più dura lettera di protesta che arrivò da Roma nel corso della guerra (33). Parlò delle disastrose condizioni dei cattolici tedeschi e polacchi nel Warthegau (popolazione di 10 milioni) e in altre regioni annesse o occupate dal Reich. Qui Martin Bormann e la Cancelleria del Partito avevano mano libera nel portare avanti la loro concezione di ciò che Ia religione avrebbe dovuto essere nel perfetto Stato nazionalsocialista. Precedentemente, in data 8 ottobre 1942, Maglione aveva scritto una protesta analoga, che si concludeva con la affermazione che se la situazione non fosse migliorata, la Santa Sede si sarebbe trovata costretta, seppure controvoglia, «ad abbandonare l’atteggiamento di riserbo sin qui tenuto» (34). Ma questa lettera non fu indirizzata a Ribbentrop bensì all’ambasciatore tedesco. Berlino rimbrottò il suo inviato a Roma per aver accettato la lettera papale, dato che essa trattava dell’argomento proibito dei territori orientali (35).

    Proprio per questo motivo l’Ufficio degli Esteri respinse dopo pochi giorni la lettera del 2 marzo a Maglione, dichiarando che essa era irricevibile. Il 17 aprile Maglione scrisse al nunzio: «Il governo del Reich, pertanto, persiste nel cercare di rendere impossibile alla Santa Sede la cura degli interessi religiosi di paesi occupati, cerca cioè di impedirle il mandato divino che essa ha di salvaguardare i diritti di tutti i cattolici. Sua Eccellenza comprende quanto ciò offende l’Augusto Capo della Chiesa, e quanto profonda è la pena che gli procura. Io, pertanto, incarico Sua Eccellenza di informare il governo del Reich per iscritto: 1) che il gesto compiuto dal Ministero degli Esteri non è un gesto amichevole nei confronti della Santa Sede; 2) che la Santa Sede da parte sua, in considerazione del modo in cui la lettera sunnominata è stata consegnata e del tempo per il quale e stata trattenuta, ritiene tale documento regolarmente giunto a destinazione» (36).

    Il Vaticano era a quel tempo preparato a veder Hitler interrompere i rapporti diplomatici, espellere il nunzio e ripudiare il concordato? Era .preparato, da parte sua, a prendere una simile iniziativa? Nel suo rapporto giornaliero del 17 marzo, col quale restituiva la lettera di Maglione, Weizsaecker affermava che «il nunzio ha finalmente accettato la lettera. Ha poi cambiato argomento e ha lasciato il mio ufficio con una considerazione malinconica, la quale potrebbe essere interpretata come espressiva della sua convinzione che i giorni della sua permanenza a Berlino sono contati» (37).

    Il tipo di linguaggio usato nella corrispondenza può apparire del tutto sottomesso a chi non abbia consuetudine con lo stile vaticano. Ma nel 1904 una lettera diplomatica stesa in termini ancora più discreti aveva provocato la rottura dei rapporti diplomatici con la Francia e la denuncia di un concordato secolare. Molti si chiedono tuttavia perché di fatto, dopo questo genere di trattamento, non sia stato Pio XII stesso ad assumersi la responsabilità di una rottura aperta con Hitler e di una denuncia del concordato. In primo luogo, le aree a cui le lettere si riferivano erano precisamente quelle aree a cui non si applicava il concordato del 1933. Per quanto riguarda la Germania di prima del 1939, dove il concordato era ancora formalmente in vigore, Pio XII stesso diede una risposta a tale quesito. Nella sua allocuzione del 2 giugno 1945, immediatamente successiva alla capitolazione tedesca, egli dichiarò:
    «Di fatto, malgrado tutte le violazioni subite, il concordato del 1933 dava ai cattolici un fondamento giuridico alla loro difesa, costituiva una roccaforte dietro la quale proteggersi nella loro opposizione — per quanto era possibile — alla crescente campagna di persecuzione». Per disprezzato che fosse dai nazisti, l’accordo rimaneva tecnicamente e formalmente in vigore e costituiva un elemento relativamente frenante nei confronti delle prevaricazioni naziste, soprattutto se si fa il confronto con le misure draconiane adottate contro la Chiesa nel Warthegau, dove l’accordo non veniva applicato.

    L’opinione pubblica mondiale restò completamente all’oscuro di questa controversia sino alla fine della guerra, quando il Vaticano consegnò la corrispondenza ad esso relativa al Tribunale di Norimberga. È interessante fare delle considerazioni di ciò che avrebbe potuto accadere se ci fosse stata una fuga di notizie nel 1943. Il fatto che il Vaticano abbia deciso di tenere la bocca chiusa in quei frangenti, può far propendere alcuni ad interpretare la disputa come un battibecco familiare tra spiriti fondamentalmente compatibili. Altri potrebbero interpretare il silenzio del Vaticano come giustificato dal timore che, parlando apertamente, la difesa nazista contro il comunismo sarebbe risultata indebolita e l’Europa avrebbe corso maggiori pericoli. Io ritengo piuttosto che un’istituzione di antica data, con una lunga esperienza di rapporti con governi persecutori, abbia il diritto di aspettarsi spiegazioni più intelligenti e più penetranti della sua condotta. In ogni caso, la corrispondenza pubblicata aiuta a spiegare perché, nel 1943, con le spalle al muro, il regime nazista non abbia fatto un passo per sollecitare l’appoggio del Vaticano contro i Rossi.

    Dall’occupazione di Roma alla capitolazione (quinta fase)

    Il 4 giugno 1944 le truppe alleate entrarono in Roma e sottrassero il Papa al controllo dei nazisti. Nella stessa prima settimana di giugno si ebbe lo sbarco degli alleati in Normandia. La storia della liberazione di Roma e dei negoziati che portarono alla sua smilitarizzazione da parte del comando militare tedesco in Italia, e tutta quanta la storia dell’occupazione tedesca di Roma, è trattata più approfonditamente altrove. Una parte notevole di questa storia e gia stata scritta da mons. Alberto Giovannetti in Roma città aperta, Milano, 1962. Perché Hitler non abbia riservato a Roma lo stesso destino che aveva pensato di riservare a Parigi, e perché il Papa non sia stato rapito, come suggerivano alcuni nell’entourage del Führer, sono altri aspetti di questa fase della guerra che meritano un’attenzione separata, quale non si può qui riservare.

    Con la presenza a Roma di nuove forze, la neutralità della Città del Vaticano e della Santa Sede doveva essere riaffermata. II 7 giugno, una dichiarazione autorevole dichiarava che dall’inizio della Guerra Mondiale la Santa Sede aveva mantenuto un atteggiamento di «stretta imparzialità» in ordine alla guerra. La dichiarazione continuava: «La chiara politica della Santa Sede è sempre stata quella di mantenere immutato questo atteggiamento di neutralità nei confronti di qualsiasi autorità militare abbia avuto il controllo effettivo della città di Roma. La Santa Sede confida di poter continuare questa attività spirituale nel mondo mediante regolari e liberi contatti con i suoi rappresentanti nelle varie nazioni e con l’episcopato della Chiesa cattolica di ogni paese» (38).

    Nel chiedere la possibilità di mantenere i suoi collegamenti con tutti i paesi — come i tedeschi avevano permesso quando erano padroni a Roma — il Vaticano aveva particolarmente in mente la probabilità di un prossimo armistizio. Da questo momento, comunque, fu chiaro al Vaticano che il regime di Hitler era condannato e che i negoziati con Berlino, qualora ci fossero stati, avrebbero dovuto necessariamente prendere in considerazione il decesso del regime nazista. Pochi giorni prima della liberazione, nella sua allocuzione annuale del 2 giugno ai Cardinali in occasione del suo onomastico, Pio XII sollevò moltissime critiche nei paesi alleati poiché le sue parole furono interpretate come una mossa in favore di una «pace morbida» con la Germania. Infatti, dopo aver sottolineato le difficoltà materiali e la situazione di indigenza di Roma e dintorni, e prevedendo chiaramente una disfatta tedesca, egli deprecò lo spirito di vendetta e scoraggiò l’idea di una «completa vittoria» o di una «completa distruzione». Ciò, egli riteneva, avrebbe solo prolungato la guerra, sarebbe costato inutilmente altre vite umane da entrambe le parti e avrebbe creato le premesse di un altro conflitto mondiale.

    Pio XII dubitava della saggezza della formula di Resa Incondizionata di Casablanca (gennaio 1943), tanto più che essa non era stata ben definita. Egli era assai più favorevole ad una pace politica o negoziata che ad una stabilita esclusivamente dalla decisione delle armi. in questa conclusione egli non era naturalmente solo. Molti leaders alleati non approvavano questa formula e molti credevano, a ragione o a torto, che essa costituisse un approccio errato al problema della pace. Gli sforzi del Papa per utilizzare i suoi contatti ora quasi quotidiani con i leaders alleati che passavano da Roma (compreso Winston Churchill che ebbe un’udienza di 35 minuti il 23 agosto) si scontrarono con l’inflessibile determinazione alleata di portare avanti la guerra sino alla resa completa, senza altri negoziati che non fossero quelli finalizzati alla capitolazione militare.

    Fu in questi intensi mesi compresi tra il giugno 1944 e il giugno 1945 – un lungo anno pieno di eventi drammatici – che la minaccia di una spaccatura tra gli Alleati interessava in modo costante americani ed inglesi. Una pace separata sia con gli angloamericani che con i sovietici rientrava naturalmente nei desideri del nazisti. Nell’aprile del 1944, Goebbels aveva già inviato a Hitler un memorandum di 41 pagine nel quale sosteneva che sé una pace con Churchill era impossibile, un accordo con Stalin era invece possibile (39). Sembra che questa sua «soluzione orientale» fosse condivisa da Martin Bormann. Altri tedeschi vedevano la via d’uscita in un accordo con l’occidente. In tale accordo era implicita l’esclusione dei sovietici dall’Europa, se non una conversione di fatto del fronte contro i sovietici.

    Per quanti aderiscono alla teoria dell’«ossessione» anticomunista, considerandola la chiave interpretativa delle relazioni del Vaticano con il Reich tedesco, i piani per rivolgere il fronte contro 1’URSS avrebbero dovuto avere una speciale attrattiva, la quale avrebbe dovuto tradursi in un’azione concreta. Altri leaders politici come Franco in Spagna e alcuni politici balcanici filooccidentali caldeggiavano questa soluzione. Il generale Lt. delle SS Karl Wolff, che propose la capitolazione delle forze tedesche nel nord Italia, riteneva che gli Alleati avrebbero potuto fare la pace con Hitler, assegnando come contropartita al Führer il compito di condurre la lotta contro i bolscevichi. Tuttavia non esiste alcuna indicazione che Wolff sia stato mai incoraggiato in questa direzione o in altra analoga da Pio XII. Inoltre, in questo momento dell’ultimo anno di guerra, si diffuse la voce di un possibile accordo tra il Vaticano e il Cremlino, senza alcuna recisa smentita da parte del Vaticano.

    Nel febbraio del 1945 Ribbentrop mandò all’ambasciata presso il Vaticano quella che Weizsaecker definì la sua ultima istruzione politica. In un lungo telegramma, il ministrò degli esteri del Reich chiese a Weizsaecker di far passare l’idea di una pace separata con l’Occidente, da far seguire da un’azione contro i sovietici. Egli propose che gli Alleati permettessero alla guerra di esaurirsi in Occidente, per terra e per aria; se non avessero accettato, Hitler avrebbe rovesciato la sua politica e avrebbe portato la Germania ad una deliberata bolscevizzazione. «L’intera proposta, che io ero incaricato di portare avanti — scrive Weizsaecker nelle sue memorie — era completamente irrealistica» (40). Weizsaecker non ci dice se ventilò questa proposta al Vaticano. Se lo fece, la reazione non poté che essere completamente negativa, dato che nella risposta dell’ambasciatore a Ribbentrop egli asseriva che nessuna pace del genere era realistica senza «un ricambio di persone» nel Reich.

    Assistenza umanitaria nella zone occupare dai nazisti

    In tempo di guerra, chi è in posizione di neutralità ha l’opportunità di assistere le vittime della guerra in un modo che e impossibile ai belligeranti all’interno de sui mezzi limitati, e secondo le sue lunghe tradizioni, la Santa Sede cercò sin dai primi giorni di alleviare le sofferenze del feriti e dei prigionieri; programmò anche interventi in favore delle popolazioni civili delle aree devastate dalla guerra. Cercò in particolare di dare un segno visibile del suo interessamento e della sua compassione attraverso le visite del rappresentanti del Papa ai campi dei prigionieri di guerra. Nella maggior parte dei casi, gli Alleati collaborarono permettendo la trasmissione di cibo, indumenti e messaggi. Notevole fu la loro prontezza nell’accogliere i rappresentanti pontifici e nel fornire garanzie che gli aiuti avrebbero raggiunto i loro destinatari.
    br> L’esperienza del Vaticano con i nazionalsocialisti fu invece quasi dappertutto negativa. Nel gennaio del 1941, il nunzio pontificio Mons. Orsenigo visitò un campo vicino a Monaco dove diverse centinaia di preti e di studenti di teologia francesi erano raccolti in qualità di prigionieri di guerra. Ma anche questo tipo di prigionieri era sotto il controllo dell’autorità militare e così questa visita fu definita un’eccezione alla regola che proibiva ai membri del corpo diplomatico accreditato a Berlino di visitare i campi. Richieste di visitare Sachsenhausen e Dachau, dov’erano incarcerati preti tedeschi e polacchi, furono respinte. Il punto di vista nazista era che i campi di concentramento erano un affare interno e non interessavano le poténze straniere o le organizzazioni internazionali. Solo negli ultimi mesi della guerra, agli inizi del 1945, la Croce Rossa Internazionale poté prendere contatti con i capi dei vari campi di concentramento. Tra questi c’era il famigerato capo di Auschwitz, Rudolf Hoess, il quale naturalmente non lasciò trapelare alcun sospetto circa la vera natura del suo campo.

    Un analogo disprezzo dell’interessamento benefico del Papa ebbe modo di manifestarsi quando il Vaticano cercò di aiutare i tedeschi e di placare il dolore e ’incertezza delle famiglie tedesche coinvolte nella tragedia della guerra. Sia la Gestapo che il Ministero per la Propaganda rifiutarono al Vaticano il permesso di far giungere messaggi alle famiglie dei prigionieri internati nei campi alleati. Persino gli elenchi dei prigionieri di guerra trasmessi per radio, che avrebbero portato ai parenti Ila notizia che i loro cari erano per lo meno vivi, non erano graditi alle autorità naziste. Queste affermarono che il popolo tedesco non aveva bisogno di ricevere benevolenza da mani straniere e che le madri e le mogli tedesche erano abbastanza eroiche da sopportare l’incertezza del destino toccato ai loro figli e ai loro mariti. Al Papa non fu permesso di mandare in Germania le migliaia di cartoline e di biglietti che gli erano giunti attraverso le nunziature e le delegazioni in Inghilterra, Nord America, Nord Africa, Medio Oriente, India e Australia. Anche durante l’occupazione tedesca di Roma, non fu concessa alcuna facilitazione per la trasmissione di questi messaggi mediante trasporto militare. Gli elenchi, pertanto, si accumularono inevasi nei magazzini vaticani. Solo all’inizio del 1945 fu permesso alla Radio vaticana di trasmettere tali messaggi in Germania.

    Questo è un esempio di durezza di cuore che a suo tempo non poté essere pubblicizzato, per timore di pregiudicare un possibile futuro ammorbidimento della linea politica. Ancor oggi l’arbitrario rifiuto da parte nazista dei tentativi di recare sollievo compiuti dal Papa, è poco conosciuto. Fino agli ultimi mesi della guerra, la politica dei nazisti fu deliberatamente ispirata alla ruvidezza che, si pensava, garantiva la condiscendenza al governo nazista, mentre la compassione era solo un invito all’indisciplina e alla rivolta. Un rapporto della Croce Rossa Internazionale relativo all’ultimo periodo (marzo 1945) afferma che i negoziati a Berlino confermavano l’esistenza di due correnti che si scontravano costantemente. Il primo gruppo sosteneva una politica di trattamento umano e corretto come prescritto dagli accordi internazionali, e in particolare era favorevole alla collaborazione con la Croce Rossa. L’altro gruppo credeva che fosse necessario avere cuori e nervi di acciaio per combattere sino all’ultimo senza alcuna considerazione per i sentimenti umani e senza fare alcuna concessione alla propaganda straniera o a qualsiasi ideologia umanitaria. Al primo gruppo, afferma la Croce Rossa, apparteneva il generale delle SS Walter Schellenberg, il quale esercitava influenza su Himmler; ma a capo dei «duri» c’erano Hitler e Bormann (41). E fu la linea di Hitler e Bormann a caratterizzare la politica nazista per la maggior parte della guerra.

    Le note diplomatiche ora requisite a Bonn sono mute testimonianze dei vari tentativi da parte vaticana tramite il nunzio Orsenigo di ottenere grazia per i condannati a morte, libertà per i prigionieri, o altre concessioni umanitarie. Gli appelli per le vittime della guerra, come le proteste per la persecuzione e per le violazioni del concordato, rimasero senza risposta. Weizsaecker ci disse di aver deliberatamente régistrato ogni appello a titolo di testimonianza, anche se sapeva che non ne sarebbe venuto fuori niente e che l’informazione richiesta, da cui tanto dipendeva, non avrebbe avuto seguito.

    Alle udienze del processo di Norimberga vari testimoni sottolinearono l’atteggiamento inflessibile che regnava a Berlino e nella Cancelleria del Reich di Hitler a proposito di queste proteste. Le candide affermazioni del Ministro degli esteri von Ribbentrop fatte nel corso del suo interrogatorio preprocessuale del 5 ottobre 1945, appaiono del tutto credibili alla luce degli altri documenti trovati negli archivi, con la loro descrizione dell’intransigenza di Hitler, spinta sino al fanatismo, nei confronti di tutte le lamentele provenienti dal Vaticano. Alcuni estratti possono fare il punto meglio di un riassunto (42).



    D. Ricevette dal Vaticano una comunicazione in data 2 marzo 1943 che richiamava la sua attenzione su un lungo elenco di persecuzioni di vescovi e di preti, quali imprigionamenti ed esecuzioni, e altri impedimenti del diritto di libertà religiosa?
    Ribbentrop: In questo momento non lo ricordo con precisione, ma so che avevamo un intero cassetto pieno di proteste del Vaticano.
    D. Fece un’indagine per accertare se erano vere?
    Ribbentrop: Francamente, mi era impossibile affrontare il Führer sull’argomento del Vaticano.
    Esso andò così lontano che io posso dire questo: quando nel 1941 fu creato il Ministero per l’est, il Führer dispose che tutte le questioni vaticane relative ai territori dell’est non fossero più esaminate da noi; per cui avvicinare il Führer con una di queste proteste era assolutamente inutile. Esse arrivarono continuamente al Führer e ai consigli del Partito, ma avvicinare il Führer su qualcuna di queste faccende era del tutto impossibile, ed egli mi disse una o due volte «Questa è una faccenda meramente interna che non è di vostro interesse». Ripetutamente.
    D. Lei rispose alle proteste papali?
    Ribbentrop: Penso che a molte non risposi. Un buon numero.
    D. Vuol dire che non poteva nemmeno discutere col Führer le relazioni con il Vaticano, nonostante l’importanza che queste avevano per gli affari esteri e per il resto del mondo?
    Ribbentrop: Devo dirlo, assolutamente, al cento per cento. No…

    Il barone Steengracht von Moyland, successore di Weizsaecker come Segretario di Stato, disse che un giorno in cui ad Hitler vennero presentate delle proteste papali, egli dichiarò semplicemente «Sono tutte una ottusa menzogna», e le mise da parte (43).

    Il punto morto esistente nelle relazioni nazi-vaticane registrò dei peggioramenti man mano che la guerra si sviluppò, sia che i nazisti avessero dei successi, sia che fossero sconfitti. La maggior parte delle proteste, degli appelli e degli interventi documentati negli archivi riguardano personalità e pubblicazioni cattoliche. Altri trattano di individui per i quali erano stati fatti al Papa degli appelli speciali. Ciò non deve sorprendere, dal momento che degli appelli in favore di altri possono essere facilmente ignorati, senza che il provvedimento sia passibile d’inchiesta, riguardando questioni interne e andando oltre la competenza del Vaticano. In quest’ultima fattispecie rientrerebbe la posizione degli ebrei.

    Le note relative alle proteste papali, conservate con tanta cura da Weizsaecker, alle quali facciamo riferimento, citano poche volte del casi di ebrei. Ciò sta a significare che non furono fatti appelli o, forse, che Weizsaecker preferì non lasciare alcuna testimonianza scritta di questi interventi? Questo è uno di quei casi che le testimonianze ancora inedite del Vaticano potrebbero contribuire a risolvere. In considerazione del documentato e riconosciuto sostegno dato dal Vaticano ai rifugiati degli altri paesi antisemiti europei, sembra strano che in questo caso non si abbiano segni di un qualche intervento papale.

    Tenendo conto della generale non-collaborazione dei nazisti di fronte agli appelli del Vaticano in favore dei suoi vescovi e dei suoi preti, non dovrebbe sorprendere che i nazisti abbiano ancor meno prestato orecchio all’intercessione vaticana in favore degli ebrei. Orsenigo fece l’esperienza di essere duramente ripreso per essersi intromesso in faccende che agli occhi dei nazisti non lo riguardavano. Ciò comunque non gli impedì completamente di presentare, dietro istruzioni del suo capo a Roma, istanze umanitarie nelle quali la posizione degli ebrei era citata, in termini diplomatici ma, non di meno, chiari. Ad esempio, un memorandum del barone Adolf Steengracht von Moyland, in data 19 luglio 1944, ci informa che gli Stati Uniti avevano scongiurato il Vaticano di chiedere ai nazisti di trattare gli internati nei campi di concentramento tedeschi e dei paesi occupati secondo le norme della convenzione di Ginevra, cioè di concedere loro di ricevere pacchi e comunicazioni, ecc. Steengracht ricorda che espresse la sua meraviglia per il fatto che il Vaticano si fosse permesso d’essere strumentalizzato dalla propaganda americana. Il nunzio, egli aggiunge, replicò che «l’intervento riguardava ovviamente quelle persone che erano state tratte in arresto a causa della loro razza, della loro religione o dei loro principi politici» (44).

    Nulla lascia credere che questa richiesta abbia sortito un esito più favorevole delle precedenti, fossero esse in favore di ebrei o di cattolici. In realtà, può destare meraviglia il fatto stesso che si sia compiuto questo tentativo dell’ultima ora, se non si tiene conto che questo era il momento in cui Pio XII stava usando la sua influenza — con successo, visti i risultati — con l’Ammiraglio Horthy a Budapest per bloccare la deportazione imminente degli ebrei ungheresi (45). In effetti, il Vaticano ebbe miglior fortuna intervenendo in favore degli ebrei con i regimi satelliti, attraverso i suoi rappresentanti diplomatici a Vichy, Budapest, Bratislava, Bucarest e altrove. Ma questa è una faccenda che va oltre i limiti del presente studio.

    Osservazioni conclusive

    In questo studio, ho cercato di tracciare le linee principali della politica vaticana nei confronti del regime nazista nei vari periodi della guerra, assumendo come punto di partenza la dichiarata neutralità ufficiale del Vaticano. Alcune conclusioni illuminanti — io credo — si possono tirare dal modello emergente dai drastici cambiamenti intervenuti in questi sei anni nella scena politica. Se per caso la Santa Sede ebbe una simpatia latente per il nazismo o lo considerò un alleato in qualche modo attendibile contro il bolscevismo, va quanto meno detto che riuscì mirabilmente a confondere lo storico. Quando le fortune naziste erano all’apogeo, la Santa Sede insisteva ne sottolineare la sua neutralità. Neanche nelle ore della massima prosperità nazista ci fu il minimo segno che il Vaticano accettasse, o ancor meno salutasse con favore, una vittoria di Hitler. Quando più tardi l’esca dell’anticomunismo fu fatta cinicamente ciondolare davanti a tutta l’Europa, Ia pretesa ossessione anticomunista del Vaticano rispose decisamente poco alle attese. Quando la Germania si pose, dopo Stalingrado, come l’unico baluardo della civiltà occidentale contro le avanzanti orde rosse, il Vaticano mantenne la sua linea. Sollecitato a dare una mano nel dividere gli Alleati così che il fronte potesse essere rivolto, con i nazisti, contro l’Unione Sovietica, ancora una volta il Vaticano restò sordo. Il rifiuto opposto dal Papa alla richiesta di Hitler che il Vaticano riconoscesse le annessioni tedesche è ancor più significativo in quanto comportava la rinuncia alla possibilità di intervenire nella vita della Chiesa di quelle regioni.

    Alcuni affermano che il Papa agì con questa cautela poiché ebbe l’intelligenza di nascondere i suoi veri sentimenti, o che era un realista e sapeva che Hitler non avrebbe vinto. Siffatte spiegazioni semplicistiche di problemi tanto complessi non soddisfano lo storico.

    La coerente neutralità del Vaticano non era dettata da opportunismo, ma era di principio. Né si trattava semplicemente di seguire la linea di minore resistenza, poiché ciò richiedeva un coraggio straordinario e una eccezionale fermezza da parte di Pio XII nel mantenere un atteggiamento coerente contro le tremende tempeste che in quegli anni si rovesciarono sulla Chiesa. Gli episodi riferiti nelle pagine precedenti danno un’idea del tipo di pressioni che venivano esercitate sul Papa da tutte le direzioni.

    Per il Vaticano, la neutralità ufficiale non significava indifferenza morale per le tragedie e i crimini che si accompagnavano alla guerra. Vi sono alcuni che sostengono che il Papa, in virtù della sua autoproclamata autorità religiosa e morale, avrebbe dovuto esprimersi più apertamente, decisamente e concretamente su alcune delle maggiori atrocità della guerra, avrebbe cioè dovuto uscire dal suo «silenzio». Essi lo condannano, di fatto, per non aver gettato il peso della sua autorità nel giudicare apertamente l’aggressore e lo sterminatore. In altre parole, nessuno, e particolarmente un leader morale, aveva il diritto di essere neutrale in quel tragici giorni. Questa è una posizione teoricamente legittima, anche se discutibile. Chi scrive ha pubblicato altrove Ia sua opinione in materia, per quanto riguarda Pio XII. Qui, in un testo a carattere eminentemente storico, credo mi sia lecito rinviare tali questioni etiche e di principio ad una altra sede. Vorrei solo osservare che la neutralità gode di uno status rispettabile e consolidato nel diritto internazionale. Nei duri e crudeli tempi di guerra, la comunità umana ha bisogno di alcuni centri di calma, di alcuni angeli di misericordia, in grado di servire gli afflitti di entrambe le parti senza essere imperiosamente costretti dall’una o dall’altra parte a costituirsi giudici morali delle nazioni. Nel restare, come fece, al di fuori del conflitto tra le parti contendenti, il Vaticano poteva legittimamente appellarsi non solo alla legislazione internazionale ma ancor più alle sue consolidate tradizioni.

    La neutralità era, di conseguenza, necessaria alla Santa Sede non come un mezzo per evitare responsabilità o per sottrarsi a decisioni difficili, quanto piuttosto come la condizione indispensabile per portare avanti la sua specifica missione religiosa e morale, almeno come essa la concepiva. Nella sua opera di valutazione del ruolo del Vaticano durante Ia guerra, lo storico deve porsi nella stessa ottica che il Vaticano aveva assunto durante la guerra. Ciò e indubbiamente difficile per lo storico medio non avvezzo a valutare la funzione della religione nelle questioni di carattere pubblico, ma lo sforzo va fatto, nell’intento di raggiungere un giudizio storicamente onesto ed equilibrato sugli uomini e sulle politiche.
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    LiviaGloria
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    00 03/11/2010 21:30
    antiuaar.wordpress.com/2010/11/03/la-fiction-su-pio-xii-riceve-il-plauso-dagli-...


    Dopo aver fatto fuori Distretto di Polizia 10 senza troppi complimenti, la fiction di Rai1, Sotto il cielo di Roma, vince anche contro Il Grande Fratello. Così la bellissima serie TV su Pio XII si aggiudica la serata con 5.726.000 spettatori, pari a uno share del 20,63% (vedi dati su CineTV e Auditel). Nonostante le già previste polemiche del Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni (tra l’altro successore del Rabbino capo di Roma Eugenio Zolli che si convertì al cattolicesimo proprio nel 1945 e si fece battezzare con il nome di “Eugenio Pio Israel Zolli“, in forma di gratitudine verso l’operato della Chiesa e del suo Pontefice nei confronti degli ebrei di Roma), la fiction è assolutamente attendibile dal punto di vista storico, anche perché una commissione di storici ha valutato i documenti sull’azione del papato in quel periodo. Anche secondo il direttore di Rai Fiction, Fabrizio Del Noce, «la fiction dà un contributo di equilibrio. Gli argomenti, grazie anche alla professionalita’ della Lux Vide, sono trattati in maniera non faziosa, e riproporre episodi importanti della nostra storia recente è un diritto-dovere del servizio pubblico» (da Ansa.it e Il Giornale).

    Un componente della commissione di storici, Giovanni Capetta, è stato intervistato da Il Sussidiario, e ha dichiarato: «E’ un Papa che, nonostante il grande dibattito sulla sua figura, è ancora in larga parte da scoprire. Anche per quanto riguarda la questione più controversa: i cosiddetti “silenzi” sulla deportazione degli ebrei, su cui ci sono diversi aspetti ignorati non solo dai suoi detrattori, ma anche nello stesso ambiente ecclesiale». Infatti, continua lo storico Capetta, «è assolutamente impossibile che quanto fatto in favore di ebrei e dissidenti antifascisti da parte di conventi e parrocchie romane fosse solo l’iniziativa di alcuni preti “di sinistra”. Pio XII e i suoi più stretti collaboratori erano perfettamente a conoscenza di quanto avveniva, e si batterono strenuamente per difendere l’extraterritorialità delle istituzioni religiose di Roma, per impedire ai nazisti di varcarne la soglia». C’è comunque chi insiste a ritenere il tutto una spinta di generosità e non l’obbedienza ad un ordine del Pontefice, come se 4.500 ebrei potessero venire accolti in accolti in 290 istituti religiosi e conventi di clausura sotto le sue finestre, senza la sua approva­zione o addirittura a sua insapu­ta… Non a caso – sempre secondo Capetta – nella zona di San Giovanni in Laterano si erano rifugiati tre quarti del Cln, mentre nella cittadella del Gianicolo, allora collegio di Propaganda Fide, si trovava una fattoria con mucche e altri animali, rifornita da camion provenienti da tutto il centro Italia, con lo scopo di accogliere e proteggere gli ebrei. «E gli input per queste operazioni provenivano direttamente da Pio XII e dai suoi stretti collaboratori – prosegue Capetta -, attraverso intermediari che portavano in gran segreto le direttive del Papa in parrocchie e conventi». Ma come sottolinea anche Francesco Arlanch, autore della sceneggiatura, «Pio XII ricorse anche a dei veri e propri messaggi cifrati».

    Lo storico ebreo Paolo Mieli, ex direttore de Il Corriere della Sera, dichiara invece: «La figura di Papa Pacelli mi ha sempre incuriosito e quindi sul suo pontificato mi sono documentato, con passione, come storico. Posso trarre tre conclusioni di fondo: la prima è che il Papa, nel momento della deportazione, diede un aiuto concreto agli ebrei romani: il calcolo approssimativo è che almeno 4.500 ebrei trovarono ospitalità e protezione in istituti religiosi e in conventi. Il Papa era sicuramente al corrente di quello che avveniva nei conventi romani, a parte il fatto che in quegli stessi conventi stava nascosto metà dell’antifascismo militante che operava a Roma, e che esistevano costanti colloqui tra Vaticano e gli esponenti di quell’antifascismo. Un ordine scritto, una presa di posizione pubblica sarebbe apparsa come una sfida intollerabile e avrebbe provocato dei danni incalcolabili, senz’altro maggiori di quelli che erano già accaduti. La seconda considerazione è che non esiste alcuna prova, qualsiasi tipo di prova, di una connivenza del Papa con il nazismo. La terza è che lo stesso mondo ebraico ha certificato, per almeno venti anni, gratitudine a Pio XII per il suo operato. Si possono ricordare le parole di Golda Meir, premier israeliano (che disse: “Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo, durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata a favore delle vittime. Piangiamo la perdita di un grande servitore della pace”), ma persino una “Settima” di Beethoven suonata per il Papa dall’Orchestra di Israele. Poi, ogni tanto arrivano altre opinioni e oggi c’è indubbiamente una divisione nel mondo ebraico sulla figura di Pio XII. Ma i documenti e i fatti storici sono quelli che ho ricordato». Mieli conclude: «Da un punto di vista storico si può affermare che non c’è nulla che, nei rapporti con il nazismo e nelle varie vicende degli ebrei, possa essere imputato al Papa. L’aiuto concreto agli ebrei c’è stato e, ripeto, un ordine scritto, una presa di posizione pubblica sarebbe stata controproducente» (da Il Sussidiario).

    Il giornalista e storico Andrea Tornielli, che ha partecipato nel 2009 ad un incontro tra storici ebrei e storici cattolici proprio sulla figura di Pio XII e ha potuto accedere a documenti del tutto inediti sulla figura del Pontefice, aggiunge: «Chi accusa di solito Pio XII di essere esponente di una Chiesa verticista, che aveva bisogno solo di esecutori, lo ritiene poi capace di non sapere quello che accadeva negli istituti religiosi romani. In realtà, il Papa e il suo Sostituto alla Segreteria di Stato sapevano benissimo tutto. Si pensi al ruolo che Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, svolgeva con Pio XII e ai rapporti che lo stesso Montini aveva con gli esponenti dell’antifascismo, che vivevano ospiti negli stessi conventi romani, a contatto con gli ebrei salvati. Diciamo piuttosto una verità che è scomoda per molti: se il Papa avesse fatto una dichiarazione pubblica oppure avesse firmato un ordine scritto, sarebbe certo stato apprezzato dai posteri, ma avrebbe potuto provocare reazioni disastrose soprattutto per i perseguitati. In realtà su Papa Pio XII ci sono una infinità di luoghi comuni. I primi ad attaccare il suo “silenzio” furono i giornali di Stato sovietici all’inizio degli anni ’40, quando dal patto Ribbetrop-Molotov si passò all’invasione tedesca dell’Urss. Poi periodicamente, a seconda dei momenti storici, c’è chi tira fuori dal cassetto questa polemica» (da Il Sussidiario).
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    Heleneadmin
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    00 06/12/2010 18:14
    Il silenzio pubblico di Pio XII fu in realtà una strategia molto intelligente.
    antiuaar.wordpress.com/2010/12/06/il-silenzio-pubblico-di-pio-xii-fu-in-realta-una-strategia-molto-intel...


    Per fortuna la leggenda nera nata attorno a Pio XII si sta sgretolando col passare degli anni. Sono sempre più le prese di posizione degli storici a favore della sua persona e di ciò che veramente fece. Anche perché negli archivi Vaticani e di mezza Europa si continuano a trovare documenti fondamentali. Ad esempio Avvenire annuncia che lo storico gesuita Giovanni Sale, in un articolo di prossima uscita su «La civiltà cattolica», ha rivelato nuovi elementi nel testo della lettera inviata da papa Pacelli il 3 gennaio 1943, tramite la nunziatura di Berlino, al cardinale Adolf Bertram, presidente della Conferenza episcopale tedesca di Fuldai. Scritta in tedesco personalmente dal Pontefice, è stata finora conservata negli archivi della Santa Sede. In essa si rileva con toni accorati che «l’ultimo decennio di vita, di sequela e di attività cattoliche sul suolo tedesco, è una “via crucis” della quale l’amarezza e l’opera distruttrice nella sua intera impressionante entità soltanto da Dio sono conosciute. Un calvario, ma su di esso la forza d’animo della fede e della fedeltà alla Chiesa dell’attuale generazione si è dimostrata degna del suo eroico passato». Hitler infatti non nascondeva in alcun modo la sua volontà di estirpare la Chiesa cattolica e ridurre al silenzio quei pastori e quei sacerdoti e laici, che avevano alzato la loro voce – e non erano pochi – contro le crudeltà del regime, a cominciare dall’eutanasia verso le persone più deboli. La lettera fu recapita, come si legge in un appunto del nunzio Cesare Orsenigo, «per mezzo di persona privata», dato che se fosse arrivata nelle parrocchie e fatta conoscere ai fedeli, avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche. Per questo, il cardinale segretario di Stato, per esplicita volontà del Papa, affidava «completamente» al presidente della Conferenza episcopale tedesca «per la sua nota prudenza» il compito di valutare «se, come e quando convenga diffondere questa sua lettera tra il clero e il popolo di Germania» perché bisognava evitare che il pontefice «mentre infuria la guerra, intenda fare qualche cosa che possa nuocere al popolo tedesco». Bertram decise perciò di non pubblicare la lettera perché, a suo giudizio, conteneva «certe parole che potrebbero suscitare una fortissima ira sia nel governo, sia nell’episcopato».

    Nonostante alcuni imbarazzi in Vaticano per questa scelta, il papa non volle in nulla modificare l’indirizzo da lui stesso dettato in tale materia: dovevano essere i vescovi a decidere ciò che doveva o non doveva essere fatto per il maggior bene della Chiesa. Il cosiddetto “silenzio” di Pio XII era perciò un silenzio esclusivamente pubblico e volontario, con l’unico scopo di non causare l’incrementarsi della violenza contro ebrei e cattolici da parte dei nazisti. Probaibilmente questa saggia scelta, mentre oggi è vista come un errore, fu la condizione per salvare la vita di numerosissime persone. Così la pensano anche intellettuali ebrei, come il rabbino e storico statunitense David Gil Dalin, che ha raccolto le sue analisi e documentazioni storiche nel consigliatissimo saggio “La leggenda nera del Papa di Hitler.“
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    Heleneadmin
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    00 10/12/2010 16:06
    Scoperti nuovi documenti e operazioni segrete su Pio XII, nazismo ed ebrei.
    antiuaar.wordpress.com/2010/12/10/nuovi-documenti-e-operazioni-segrete-su-pio-xii-nazismo-e...


    Le rivelazioni storiche più recenti confermano la posizione espressa nel suo ultimo libro da Papa Benedetto XVI su Pio XII e il suo sostegno agli ebrei perseguitati. Il 17 novembre, il Papa ha ricevuto il fondatore della “Pave the Way Foundation” (PTWF), Gary Krupp, ebreo, che gli ha consegnato nuove rivelazioni storiche a conferma di questa posizione. In alcune dichiarazioni a ZENIT, Krupp ha dichiarato che attraverso la sua fondazione e il suo sito web, «la controversia che dura da 46 anni sul pontificato di Papa Pio XII possa essere risolta. Finora la PTWF ha inserito oltre 40.000 pagine di documenti, articoli e interviste a testimoni oculari, materiale originale, relativo a questo periodo storico». Krupp ha anche presentato al Papa il libro della PTWF “Papa Pio XII e la II Guerra Mondiale. La Verità Documentata”, appena pubblicato in ebraico. Il testo, di agevole lettura, contiene numerosi documenti, articoli e interviste notevoli che permettono al lettore di giungere a una conclusione su quel periodo controverso. E’ il primo libro scritto da ebrei in ebraico su Papa Pio XII basato su documenti originali piuttosto che su teorie speculative e discutibili. Krupp ha anche presentato al Papa una serie di testimonianze autenticate degli sforzi personali di Papa Pacelli per salvare la vita agli ebrei. E’ stato inoltre presentato a Benedetto XVI il libro del professor Ronald Rychlak (editorialista del The Washington Post e The Wall Street Journal): “Hitler, la Guerra e il Papa”, insieme al testo inedito “The framing of Pope Pius XII”. E’ stato scritto da Rychlak e da Mihai Ion Pacepa, l’agente del KGB di più alto rango ad aver mai disertato. Quest’ultimo descrive le operazioni della rete di disinformazione del KGB e il piano denominato “Seat 12”, volto a infangare la reputazione di Papa Pio XII e a scavare un solco tra il mondo cattolico e quello ebraico. Il piano, ordinato dall’ateo Nikita Kruscev, mirava ad attaccare la Chiesa cattolica e la reputazione di Papa Pio XII. Lo abbiamo già fatto, ma per chi volesse approfondire suggeriamo anche il bellissimo testo “La leggenda nera del Papa di Hitler” (tradotto letteralmente dall’inglese sarebbe: Il mito del Papa di Hitler: come Papa Pio XII salvò gli Ebrei dai nazisti), scritto nel 2005 dal rabbino e storico statunitense David Gil Dalin (su Wikipedia una breve recensione).
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    00 15/01/2011 19:08
    Israele premia gesuita italiano: «salvò ebrei anche grazie al consenso delle massime autorità cattoliche»
    antiuaar.wordpress.com/2011/01/12/israele-premia-gesuita-italiano-%C2%ABsalvo-ebrei-anche-grazie-al-consenso-delle-massime-autorita-cattolich...
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    00 20/02/2011 12:53
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    Heleneadmin
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    00 01/07/2011 22:25
    Francesco Bertoglio, che da solo ha salvato dalla deportazione e dall’Olocausto, almeno 65 ebrei.
    www.uccronline.it/2011/06/29/65-ebrei-salvati-da-mons-bertoglio-grazie-alle-direttive-di-...
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    Heleneadmin
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    00 13/08/2011 20:34
    La leggenda sui presunti “silenzi” di Pio XII verso l’antisemitismo nazista resiste ancora oggi, nonostante si sia ampiamente dimostrato il contrario, come si può vedere accennato anche nel nostro “archivio di notizie“.

    La cosa che sorprende maggiormente è che i più grandi difensori di Pio XII siano gli ebrei stessi. Un esempio è la Fondazione Pave the Way (www.ptwf.org) , fondata dall’ebreo statunitense Gary Krupp, la quale ha raccolto tantissimo materiale inedito che ha contribuito a portare luce sulla verità dell’operato di Papa Eugenio Pacelli. Al ritrovamento degli ultimi documenti, presentati sinteticamente dall‘agenzia Zenit, ha partecipato anche Ronald Rychlak, docente di Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università del Mississippi e autore di alcuni libri su Pio XII. Visitando il sito della Fondazione si può avere accesso a circa 46.000 pagine di articoli informativi, documenti originali, materiale di ricerca e testimonianze oculari che confermano l’opera di aiuto di Pio XII agli ebrei.



    1) Un primo documento è la corrispondenza tra sir D’Arcy Osborne, rappresentante britannico presso la Santa Sede, e Myron Taylor, rappresentante del Presidente statunitense Roosevelt presso il Vaticano. Nel testo, firmato dall’assistente di Taylor il 7 novembre 1944 alle 12.45, si spiega che D’Arcy Osborne «chiamò e disse che aveva paura che il Santo Padre lanciasse un appello via radio a favore degli ebrei d’Ungheria e che nel suo appello criticasse ciò che i russi stavano facendo nei territori occupati». Aggiunge il diplomatico statunitense: «Sir D’Arcy disse che bisognava fare qualcosa per imporsi al Papa e far sì che non si esprimesse, perché ciò avrebbe avuto ripercussioni politiche molto gravi».

    2) L’ebreo Krupp ha poi trovato un altro documento: si tratta di una lettera di D’Arcy Osborne del 20 aprile 1944, inviata all’assistente di Myron Taylor, dove si chiede di distruggere i documenti inviati per aiutare organizzazioni statunitensi ebraiche, perché ciò avrebbe potuto mettere in pericolo la vita di quanti li avevano consegnati, e in concreto menziona il pericolo che corre un sacerdote di nome “Benedetto”. Krupp osserva che «questo gesto fu compiuto comunemente durante la guerra, e ci sono ancora dei critici che sembrano non comprendere che è il motivo per il quale tanti ordini scritti vennero distrutti».

    3) Altri documenti sono stati trovati negli archivi dell’agenzia internazionale JTA (Jewish Telegraph Agency). Un dispaccio d’agenzia del 28 giugno 1943 informava delle denunce di “Radio Vaticana” relative al trattamento che stavano ricevendo gli ebrei in Francia. Nel numero pubblicato il 19 maggio 1940 dalla rivista “Jewish Chronicle” di B’nai B’rith (un’associazione ebraica di azione sociale), Pio XII appare in copertina e l’articolo rivela come il Papa stesse contrattando professori ebrei già espulsi dalle istituzioni italiane a causa delle leggi razziali di Mussolini. Il 15 gennaio 1943, la JTA informava che le autorità naziste avevano proposto di lasciare in pace la Chiesa cattolica se fosse rimasta in silenzio di fronte al trattamento riservato agli ebrei. L’arcivescovo di Lione, Pierre-Marie Gerlier, rispose così: «Lei non sa che il Santo Padre (Papa Pio XII) ha condannato le leggi antisemite e tutte le misure antiebraiche».

    4) Un ennesimo documento è ritrovato nel numero del 5/2/43 della rivista ebraica “Advocate”, in cui un articolo titola: “Cardinale ungherese attacca le teorie razziali”, in riferimento al duro discorso pronunciato dal Cardinale Jusztinián Györg Serédi, Arcivescovo di Esztergom-Budapest. Il pronunciamento ricevette eco su Radio Vaticana, e condannava con forza le teorie razziali naziste e chiedeva che l’Ungheria proteggesse «tutti coloro che sono minacciati a causa delle loro convinzioni o della loro razza». Sulla stessa pagina si può leggere un breve articolo in cui si spiegava come l’ateo Mussolini stesse rendendo le leggi razziali meno dure per poter riprendere le relazioni con il Vaticano.

    5) L’ultimo documento è stato trovato sul “Jewish Chronicle” di Londra del 9 settembre 1942, dove si informa che Joseph Goebbels, ministro della Propaganda della Germania nazista, aveva stampato dieci milioni di opuscoli in varie lingue, che vennero distribuiti in Europa e in America Latina, condannando Pio XII per la sua posizione a favore degli ebrei.