Lo ha detto ogni volta che ne ha avuto l’occasione. L’ultima volta il 5 gennaio: “Il 2015 mette al centro la scuola, anzi #labuonascuola. Siamo al lavoro sulla riforma più importante per il futuro dei nostri figli e del Paese”, twittava dopo la riunione a Palazzo Chigi con il ministro Stefania Giannini e i tecnici del ministero. Questa volta, finalmente, Matteo Renzi sembrava avercela fatta: il Consiglio dei ministri di martedì pomeriggio avrebbe dovuto discutere e approvare un decreto legge e un disegno di legge per procedere alla riforma. Nulla di fatto, anche questa volta: sul loro tavolo i membri del governo non hanno trovato testi di legge ma solo, come spesso accaduto in passato, delle linee guida. Nonostante la lunga serie di annunci inanellati dal premier.

L’ultimo porta la data del 22 febbraio: “Nella prossima settimana ci sarà un doppio atto normativo“, sentenziava Renzi all’iniziativa Pd intitolata “La scuola che cambia, cambia l’Italia”. Solo il 23 gennaio, poi, il premier sottolineava ancora una volta quanto fosse urgente mettere mano alla riforma: “Non si può bloccare il percorso riformatore, anzi questo percorso va accelerato“, spiegava il capo del governo parlando a Firenze con Angela Merkel. “In 11 mesi abbiamo portato avanti una fase di riforme straordinaria”, aggiungeva annunciando nuove misure su “scuola e innovazione” da oggi a un mese (Ansa, 23 gennaio).

Il 5 gennaio Renzi era stato ancora più preciso: “Da qui al 28 febbraio scriveremo i testi” della riforma della scuola, “il decreto e il disegno di legge. Se riparte la scuola, riparte l’Italia. Ci stiamo credendo e investendo – aggiungeva – sarà entusiasmante che diventi la più grande riforma dal basso mai fatta in un Paese europeo” (Ansa, 5 gennaio). Perché, argomentava Renzi il 1° dicembre 2014 – sulla scuola “è tempo di passare dalle parole ai fatti“, spiegava il premier alla direzione Pd affermando che la sentenza della Corte di giustizia Ue (che il 26 novembre aveva condannato l’Italia dicendo no al rinnovo sistematico di contratti a tempo determinato) dimostra che “dobbiamo recuperare problemi aperti da anni, ma lo facciamo” (Ansa, 1° dicembre 2014).

I problemi restano aperti, perché finora sono arrivate soltanto le linee guida. Le prime erano state diramate 6 mesi fa. “Il 29 linee guida sulla scuola- twittava il premier il 19 agosto da Forte dei Marmi, dove era in vacanza con la famiglia, elencando le riforme su cui il governo era al lavoro – perché tra 10 anni l’Italia sarà come la fanno oggi gli insegnanti. Noi lavoriamo su questo in#agosto” (Ansa, 19 agosto 2014). Ma la scadenza veniva ancora una volta rimandata: le linee guida non arrivavano sul tavolo del Cdm neanche il 29 ed era lo stesso Renzi a darne notizia: la riforma della scuola sarà “la settimana prossima. Le proposte sulla scuola saranno discusse da famiglie, studenti, insegnanti per molti mesi”, si leggeva nell’ennesimo tweet del premier, lanciato in rete in risposta a un follower che gli chiedeva quando fosse previsto il pacchetto sulla scuola inizialmente programmato per il CdM di quel giorno (Ansa, 29 agosto 2014). Poi, il 3 settembre, il governo pubblicava “La buona scuola”.

Ancora più antiche le promesse in tema di edilizia scolastica. Le prime risalgono addirittura alle prime settimane di mandato. “Un piano per le scuole – 3,5 miliardi – unità di missione – per rendere la scuole più sicure e rilanciare l’edilizia”, si leggeva nella slide numero 20 mostrata durante la conferenza stampa del 12 marzo. Il 27 marzo, poi, parlando ai parlamentari del Pd, il premier ribadiva: “I 3,5 miliardi ci sono”. Un mese dopo tornava sull’argomento: “Abbiamo tolto dal patto di stabilità” questi interventi, “saranno 3,5 miliardi di euro” (Radiocor, 23 aprile 2014). Nel Def deliberato dal Consiglio dei ministri l’8 aprile, tuttavia, i fondi scendevano a quota 2 miliardi, come si legge a pagina 28. Ma Renzi era talmente sicuro che durante un’intervista con Il Fatto Quotidiano ribadiva la cifra di 3 miliardi e mezzo, promettendo un comunicato per chiarire la vicenda. Comunicato che non è mai arrivato. E, alla fine, lo stanziamento è stato molto inferiore anche ai 2 miliardi. Era lo stesso governo, il 4 luglio, a ufficializzare la cifra: un miliardo e 94 milioni.