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04/06/2017 18:39 | |
Toni Capuozzo · 23 maggio ·
SIAMO INADEGUATI
Adesso avrebbe un nome: Salman Abedi, britannico di origini libiche.
Era una cintura esplosiva. Che richiede esperienza e luoghi in cui essere assemblata. Chi l’ha indossata era noto alla polizia, e si sa già che era nato in Gran Bretagna. Sappiamo quasi tutto, o possiamo immaginarlo: la rivendicazione dello Stato Islamico, la storia personale del terrorista, i profili delle vittime. Sappiamo la vacuità dei messaggi dei leader, da Macron ai nostri. Possiamo già immaginare le candele, gli orsacchiotti, le orecchie di coniglio, le veglie. E vediamo tutti i riflessi standard: la rabbia o il timore dell’islamofobia, i muri o i ponti, il Papa dell’accoglienza o Trump che vende le armi ai sauditi. E siamo al punto di prima, a ripeterci che non ci faranno vivere nella paura, e a tremare per i nostri figli. Perché non abbiamo il coraggio – come a lungo non lo ebbe l’Europa davanti al nazismo - di guardare in faccia l’orrore. Siamo diventati pacifisti davanti alle nuove guardie brune, abbarbicati alle nostre bandiere, ai nostri schieramenti, ai nostri principi inossidabili e arrugginiti dai chiodi e dai bulloni delle cinture esplosive. Non sta a noi combattere in Siria – lo fanno i curdi, nonostante Erdogan – o in Iraq (dalla nostra alleata Baghdad è dovuta fuggire una cantante tredicenne, che avrebbe ben potuto essere sul palco della Manchester Arena, perché la musica, e specie delle donne, è un insulto a Dio). Ma a noi di tracciare linee invalicabili: le leggi secolari più importanti di ogni sharia, i diritti delle donne e dei minori, la libertà di fede o di ateismo, il rispetto di ogni nostra tradizione – fosse pure un crocefisso in aula – la difficile lealtà verso le poche regole di un paese dove l’immigrazione è senza regole. A Milano si è manifestato contro muri che non ci sono, se non a Ventimiglia o al Brennero. Va bene, ma sullo zerbino del welcome, sul ponte aperto ci sia come un pedaggio una piccola regola: ognuno può pregare chi vuole, ma importare valori che negano diritti e libertà (di pensiero, di espressione, di dissenso, di orientamento sessuale) vuol dire importare da noi le culture dei paesi da cui i migranti se ne vanno o devono andarsene. Tanto valeva restassero dall’altra parte del ponte."
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