Il macchinista che riconta i morti ogni notte
«Li rivedo, non ho responsabilità
ma a volte provo un senso di colpa»
FERRUCCIO SANSA
INVIATO A LA SPEZIA
Roberto è innocente. Roberto non ha provocato nessun disastro, ha fatto soltanto il suo dovere. Ma dalle 23,48 del 29 giugno la sua vita è cambiata, lui lo sa, sarà sempre ricordato come il macchinista del treno 50325 deragliato a Viareggio. In scalinata Cortopassi alla Spezia questa notte c’è una finestra illuminata. Un’ora di buio, poi di nuovo la luce, e dietro la luce un tormento. Oltre il vetro c’è un uomo che da dieci giorni passa le ore a guardare la televisione, ad aspettare i tg. A sperare che il giornalista non aggiunga un altro nome alla lista dei morti. Ma Roberto Fochesato - 56 anni, più di venti sulle locomotive - dopo cinque giorni di tregua ieri si è sentito di nuovo gelare il sangue: dallo schermo il giornalista si è affacciato in casa sua per annunciare che il fuoco di Viareggio si era portato via un’altra vita, la ventitreesima: morta Sara Orsi, una ragazza di 24 anni.
«Non è colpa mia, me lo dicono tutti, lo so. Se fossi io il colpevole, adesso sarei andato fuori di testa. Ma provate un po’ a mettervi nei miei panni», si sfoga. Impossibile immaginare il tormento che lo consuma. E non importa che gli inquirenti un’ora dopo la tragedia avessero escluso la sua responsabilità. Alla fine a fare i conti con gli incubi che gli popolano il cervello c’è solo lui: «Continuo a rivedere i feriti e i morti. Sono dieci giorni che vado avanti con le gocce, me le hanno date per calmarmi». Abita in un quartiere semplice, cresciuto disordinatamente nel dopoguerra, che ti ricorda però una Liguria operaia piena di dignità, di orgoglio per il lavoro. Proprio come Roberto che prima di ogni turno attraversava la strada e prendeva un caffè al bar davanti a casa. Poi in bicicletta andava alla stazione Migliarina per salire sulle locomotive, bestioni da cento tonnellate che si tirano dietro anche merci pericolose, come quei 14 vagoni di gas.
Vita da ferroviere, tra odore d’olio e di metallo. Roberto parla con voce bassa, non spenta. Ha un dolore immenso, ma resiste. Ci tiene a spiegare, a raccontare di quella notte, ma anche del lavoro di macchinista cui ha dedicato la vita. «E’ una sensazione difficile da esprimere», dice abbassando le palpebre come se cercasse di guardarsi dentro, «a volte provo un senso quasi di colpa». Subito si corregge, non sarebbe giusto condannarsi. Ma i pensieri sono difficili da scacciare: «Rivedo continuamente la scena dell’incidente», racconta e le parole si fanno lente come se cercasse di scorgere nella memoria tutti i dettagli. «Stavamo andando lisci come l’olio, a novanta all’ora… in quel punto il limite è di cento». Tutto vero, gli investigatori hanno stabilito che Fochesato non ha commesso errori. «Eravamo appena entrati nella stazione, ho sentito uno strattone fortissimo, ho visto nello specchietto che il primo vagone era deragliato. Ho fermato il treno e sono sceso. Ho capito subito che la situazione era gravissima, c’era quel maledetto gas che usciva dalla cisterna e ci veniva tutto intorno. Allora con Andrea siamo andati a chiedere aiuto, abbiamo chiamato il centro smistamento di Pisa e i vigili del fuoco».
Fochesato, senza neanche accorgersene, parla più veloce, come se gli mancasse ancora il fiato per quella corsa. Come se fosse sempre lì, sui binari di Viareggio. «Stavamo con il gas intorno, come su una bomba, il cuore mi batteva a mille». All’improvviso si ferma, quasi che aspettasse di nuovo l’esplosione. Fochesato previene la domanda: «No, non mi sento un eroe. Abbiamo fatto solo il nostro dovere. Il vero eroe è il capostazione, Carmine Magliacano che ha tolto la corrente e si è messo a correre sui binari per fermare i treni», ci tiene a chiarire. Di nuovo si fa silenzioso, la mente lo porta altrove: «Rivedo un uomo, un volontario della Croce Verde che correva a soccorrere la gente ed è stato travolto dall’esplosione».
I giorni e le notti di Roberto adesso sono segnati dal ritmo dei passi nel corridoio di casa, dall’appuntamento con i notiziari. Dalla luce che si accende e si spegne. Ogni tanto un passaggio in stazione, per parlare con i colleghi e sentirsi ancora dei loro. Accanto ha la moglie, la prima persona cui ha pensato mentre le fiamme erano alte cento metri: «Le ho telefonato, non ti preoccupare, le ho detto, sto bene, credimi, anche se in tv vedrai cose tremende». Moglie e figlia ora non lo lasciano solo un momento, dopo che le fiamme lo hanno risparmiato cercano di proteggerlo da un altro nemico insidioso: «Sono fortunato a essere ancora al mondo». È vivo, ma gli incubi sono sempre pronti a raggiungerlo. Ma poi che cosa verrà? «Mi hanno dato trenta giorni di riposo. Ci aiuterà uno psicologo. Poi chissà, mi piacerebbe tornare a lavorare, il nostro è un lavoro duro, ma bellissimo. Portiamo centinaia di persone, treni grandi come palazzi. La gente non immagina nemmeno che grande difficoltà. E che responsabilità…».
Fonte
la stampaDisapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.
(Voltaire)
ma difendiamo anche la grammatica Italiana
Sai cosa scrivere? Allora posta!
Non sai cosa scrivere? Allora spamma!
<-- IO -->
I videogiochi non influenzano i bambini. Voglio dire, se Pac Man avesse influenzato la nostra generazione ora staremmo tutti saltando in sale scure, masticando pillole magiche e ascoltando musica elettronica ripetitiva."
(Kristian Wilson, Nintendo Inc., 1989)
Pochi anni dopo nacquero le feste rave, la musica techno e l'ecstasy...