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18/11/2010 12:23

North Dakota, il miracolo fatto in casa

Qual è lo Stato che può vantare una disoccupazione al 4,4%? E aumenti del Pil a due cifre con incrementi dei redditi delle persone fisiche pari al 23% tra il 2006 e il 2009? Uno pensa: non può essere che la Cina. Sbagliato. Anche nell’ansimante America c’è chi va alla grande. L’autore di questo miracolo è il North Dakota, ovvero uno dei piccoli e in apparenza marginali tra i 50 che compongono la federazione statunitense.
La sua fortuna? Aver dato retta, tra il 1915 e il 1920, alla Nonpartisan League, un movimento locale che l’establishment tentò di fermare bollandolo come populista, ma che in realtà era lungimirante. Quel movimento indipendente propose agli elettori del North Dakota di non aderire al Federal Reserve System ovvero al circuito finanziario imperniato sulla Fed, la Banca centrale americana. Pensavano, i contadini dello Stato, che non ci si potesse fidare dei banchieri di Wall Street e che fosse più saggio avvalersi di un Istituto indipendente. Il tempo ha dato loro ragione.
Il successo del North Dakota è tutto qui: pur usando il dollaro come valuta di scambio, oggi è l’unico Stato americano che non dipende dalla Federal Reserve. A garantire le sue riserve sono i cittadini, i quali, in caso di dissesti finanziari non potrebbero avvalersi dell’assicurazione federale sui depositi. Lo Stato corre un rischio, ma ipotetico: in oltre 90 anni di vita l’istituto non è mai stato in difficoltà ed è passato indenne attraverso ogni crisi.
Per legge lo Stato e tutti gli enti pubblici devono versare i fondi nelle casse della Banca centrale del North Dakota, che li usa non per ottenere utili mirabolanti, né per oliare indebitamente le banche private, ma per aiutare la crescita dello Stato. Di fatto agisce come un’agenzia di sviluppo economico e dunque sostiene progetti d’investimento, concede finanziamenti a tassi molto bassi, nonché un numero impressionante di prestiti agli studenti a condizioni eque.
Sarà per la mentalità contadina di quella gente o per le virtù civiche sia degli amministratori della banca che dei cittadini, ma il tasso di spreco e di inefficienza è bassissimo. Per dirla in altri termini: quegli investimenti non sono sprecati in progetti insensati o improduttivi, dunque non producono carrozzoni parapubblici con interessi e prospettive clientelari, ma producono ricchezza nel territorio e dunque nuovo gettito fiscale, nuovi fondi per la banca; insomma, generano un ciclo virtuoso.
Sembra l’uovo di Colombo, ma altro non è che il trionfo del buon senso. In ultima analisi lo scopo della banca centrale di un Paese dovrebbe essere quello di agevolare uno sviluppo economico armonioso e senza squilibri finanziari o inflazionistici. La Bank of North Dakota ci riesce a tal punto da chiudere ogni anno in utile (nel 2009 per 58 milioni di dollari), denaro che torna ai legittimi proprietari ovvero ai contribuenti. Il sistema funziona così bene che diversi Stati americani vogliono imitarlo. E mica solo staterelli, anche colossi come California, Ohio, Florida, stufi di un meccanismo che negli ultimi trent’anni ha creato una ricchezza illusoria.
La Federal Reserve, infatti, non appartiene ai cittadini americani, ma alle banche, che pertanto sono i suoi azionisti di riferimento, così come, peraltro, avviene per la Banca d’Italia. Il liberista Ron Paul da anni sostiene, inascoltato, che una Banca centrale non è nemmeno contemplata dalla Costituzione americana e che di fatto tradisce lo spirito dei fondatori degli Stati Uniti d’America. Furono gli ambienti di Wall Street, nel 1914, a indurre il presidente Wilson a creare la Fed, la quale, però, nel corso dei decenni ha assunto compiti e generato dinamiche devianti, sottraendo al popolo la sovranità finanziaria.
Contrariamente alla Fed, la North Dakota Bank non ha bisogno di considerare interventi straordinari a sostegno di un’economia asfittica, né di comprare i Buoni del Tesoro invenduti, per la semplice ragione che lo Stato non ha debiti ed è addirittura in surplus. La North Dakota Bank non ha seguito la moda dei subprime, né della cartolarizzazione dei debiti, né delle altre diavolerie finanziarie escogitate negli ultimi anni dai dissennati e avidissimi manager delle grandi banche d’affari. Ha continuato ad essere una banca centrale al servizio della comunità, capace di mettere a disposizione dei privati le risorse necessarie per avviare imprese che poi non vivono di sussidi, ma secondo le regole di mercato. È la rivincita di un’America semplice e vincente, ma di cui nessuno parla mai.

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26/11/2010 14:04

Persi nel Pacifico per 50 giorni

Tre ragazzi su una barca, sopravvissuti con carne di gabbiano e acqua piovana
MARINA VERNA

Da quarantasette giorni non li cercavano più. Erano partiti il 3 ottobre per un'impresa che doveva dimostrare a tutto il villaggio che non erano più ragazzi ma veri uomini - coprire a remi un centinaio di miglia tra due atolli delle Tokelau, un arcipelago neozelandese nel Pacifico del Sud -, ma dopo tre giorni non erano ancora arrivati. Per rintracciarli si erano mobilitate la Marina militare e la Guardia costiera, due aerei della Royal Air Force e due barche private di Samoa. Ma di Samuel, Edward e Filo - 44 anni in tre - non c'era traccia. Dopo qualche giorno li hanno dati per morti, inghiottiti da una tempesta o da un pescecane, oppure sfiniti dalla fame e dalla sete. Hanno celebrato un funerale senza bare e amen. Invece i tre erano vivi.

Inesperti e impreparati, erano finiti fuori rotta e andavano alla deriva sulla loro barchetta in alluminio a centinaia di miglia dal punto di partenza. Dopo cinquanta giorni in alto mare, li hanno trovati a mille miglia dal punto di partenza, in una zona raramente battuta dalle navi, tra le Figi e il possedimento francese di Wallis e Futuna. Famelici, smunti e bruciati dal sole tropicale, ma vivi. E passabilmente in buona salute. Per cinquanta giorni avevano stretto i denti e pregato, bevuto l'acqua piovana e mangiato pesce crudo. Non volevano morire, e la fortuna li ha premiati: un peschereccio per tonni ha avvistato il loro guscio in una zona dove non aveva nessun senso che fosse e si è avvicinato. «Abbiamo capito subito che c'era qualcosa di strano - ha raccontato il capitano Tai Fredricsen alla tv neozelandese -. Quella barchetta non poteva essere a pesca di tonni. Quando abbiamo urlato: “Avete bisogno di aiuto?”, quelli hanno ritrovato la voglia di scherzare e ci hanno risposto: “Beh, forse sì”. Erano pazzi di gioia. Ormai erano alla fine».

Da tre giorni bevevano l'acqua del mare. «La cosa peggiore che potessero fare», ha detto il capitano, che per loro fortuna è pure medico. E li ha salvati una seconda volta, tenendoli lontano dal cibo: sarebbero morti di indigestione. Invece ha dato loro solo un po' d'acqua da bere, si è fatto raccontare la storia e li ha sistemati in cabina a guardare cartoni. Il cibo arriverà un po' per volta, anche se i tre fremono per un vero pasto. «È un miracolo che li abbiamo trovati - ha raccontato uno dei marinai del peschereccio -. Erano in una zona dove normalmente le barche non vanno, perché lì è raro trovare tonni». Certi di arrivare a destinazione in poche ore, i tre avevano caricato sulla barca solo qualche noce di cocco e un po' di carburante per il motore fuori bordo. Senza strumentazione e senza carte, incapaci di orientarsi, senza rendersene conto avevano invertito rotta, il che ha complicato anche i soccorsi, perché li cercavano dalla parte sbagliata.

Per bere, avevano raccolto l'acqua delle piogge. Per mangiare, si erano arrangiati con il pesce che riuscivano a prendere con le mani e che trangugiavano crudo. Una volta avevano catturato un gabbiano che si era posato sul bordo della barca, e avevano divorato crudo pure quello. Ma si arrovellavano sul fatto che fosse stata una buona idea, magari era malato. E infatti è stata una delle prime cose che hanno chiesto al capitano: dottore, quella carne non ci avrà fatto male? Fredricsen li ha rassicurati: meglio il gabbiano del pesce, fa venire meno sete. Comunque, appena il peschereccio sarà arrivato a Suva, li spedirà in ospedale per controlli.

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03/12/2010 11:23

Eredità a sorpresa dalla "zia d'America" che viveva a Torino

Un milione e 600 mila euro a due ignari fratelli inglesi

RAPHAËL ZANOTTI
TORINO

Dopo quattro anni due fratelli inglesi della middle class stanno per diventare gli eredi della cospicua eredità lasciata da Elizabeth S., anziana signora deceduta a Torino nel 2003. In oltre settant’anni di vita, i due fratelli non l’hanno mai incontrata. Non sapevano nemmeno della sua esistenza. Hanno scoperto di essere suoi lontani parenti un giorno del 2006, quando alla loro porta ha bussato un «cacciatore di eredi» della Coutot-Roehrig, società specializzata nel settore delle ricerche genealogiche. «Le nostre ricerche sono durate tre anni - spiega Nadia Spatafora, responsabile per l’Italia della Coutot-Roehrig - La signora Elizabeth, di origine ebraica, prima di stabilirsi a Torino aveva girato mezza Europa per sfuggire ai campi di concentramento nazisti».

Una fatica, quella dei «cacciatori», che è valsa la pena. L’eredità consiste in un milione di euro depositati su un conto corrente di una banca tedesca e due case, una a Torino e una a Rapallo, del valore stimato di circa 600mila euro. Un patrimonio che faceva gola a molti. Cercò di metterci le mani sopra persino un’ex cancelliera del tribunale di Torino, Adele Proto. In combutta con un esecutore testamentario, il commercialista Vincenzo Franco, e con altri inventò un falso testamento. Franco fece finta di ritrovarlo miracolosamente durante le operazioni di sgombero della casa della signora Elizabeth. Un trucchetto che il gruppo di malfattori aveva già utilizzato in altre occasioni per impossessarsi delle eredità giacenti di persone decedute senza parenti stretti.

Proprio il caso della signora Elizabeth, però, ha permesso di smascherare la banda. Lei, ebrea, sembrava voler lasciare tutto a un’associazione cattolica. Un particolare che ha incuriosito la procura. Grazie alle indagini del pm Gianmaria Pellicano, sono spuntati fuori altri casi. Alla fine gli indagati hanno patteggiato pene tra i due anni e dieci mesi e i quattro anni, restituendo parte del maltolto.

Ma che fine ha fatto nel frattempo l’eredità della signora Elizabeth? Dopo aver letto un articolo sulla stampa che parlava del caso, la Coutot-Roehrig ha offerto i suoi servigi al tribunale di Torino e si è messa sulle tracce dei legittimi eredi delle eredità giacenti. «Trattiamo circa cento casi all’anno - spiega ancora Spatafora - Da quando siamo nati ne abbiamo presi in carico circa 480. Il caso della signora Elizabeth è stato piuttosto difficile per la sua particolarità». Nata a Vienna da genitori originari di un piccolo paesino della Germania, la signora Elizabeth è scampata all’orrore nazista ma ha visto la sua famiglia decimata nei lager. Per questo, al momento della sua morte, non aveva più nessuno. Per rintracciare gli eredi, i «cacciatori» hanno fatto ricerche in molti Paesi, finendo addirittura negli Usa.

«Quando abbiamo trovato i fratelli inglesi abbiamo spiegato loro che potevano far valere un diritto sulle eredità della signora Elizabeth - racconta Spatafora - Riveliamo il parente e il valore dell’eredità solo se ci viene firmato un contratto di rivelazione. Noi ci occupiamo di tutte le faccende burocratiche e in cambio chiediamo una parcella che varia tra il 10 e il 30% netto del patrimonio». I due fratelli attendono da quattro anni la loro eredità perché il patrimonio è diviso tra Italia e Germania. Per una volta la nostra burocrazia è stata più veloce di quella tedesca. Mentre il tribunale di Torino ha già dato il via libera per la sua parte riconoscendo l’affidabilità del lavoro della Coutot-Roehrig, gli uffici giudiziari tedeschi stanno concludendo solo ora gli accertamenti.

«Recuperare quell’eredità non è solo una questione economica - conclude la Spatafora - I due fratelli inglesi hanno intrapreso una ricerca personale per ricostruire la loro famiglia. Quando a settembre siamo stati da loro per aggiornarli, è stato un momento anche emozionante».

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IPERUTENTE 2009
03/12/2010 11:29

Re: Eredità a sorpresa dalla "zia d'America" che viveva a Torino
Arjuna, 03/12/2010 11.23:


Un milione e 600 mila euro a due ignari fratelli inglesi

RAPHAËL ZANOTTI
TORINO

Dopo quattro anni due fratelli inglesi della middle class stanno per diventare gli eredi della cospicua eredità lasciata da Elizabeth S., anziana signora deceduta a Torino nel 2003. In oltre settant’anni di vita, i due fratelli non l’hanno mai incontrata. Non sapevano nemmeno della sua esistenza. Hanno scoperto di essere suoi lontani parenti un giorno del 2006, quando alla loro porta ha bussato un «cacciatore di eredi» della Coutot-Roehrig, società specializzata nel settore delle ricerche genealogiche. «Le nostre ricerche sono durate tre anni - spiega Nadia Spatafora, responsabile per l’Italia della Coutot-Roehrig - La signora Elizabeth, di origine ebraica, prima di stabilirsi a Torino aveva girato mezza Europa per sfuggire ai campi di concentramento nazisti».

Una fatica, quella dei «cacciatori», che è valsa la pena. L’eredità consiste in un milione di euro depositati su un conto corrente di una banca tedesca e due case, una a Torino e una a Rapallo, del valore stimato di circa 600mila euro. Un patrimonio che faceva gola a molti. Cercò di metterci le mani sopra persino un’ex cancelliera del tribunale di Torino, Adele Proto. In combutta con un esecutore testamentario, il commercialista Vincenzo Franco, e con altri inventò un falso testamento. Franco fece finta di ritrovarlo miracolosamente durante le operazioni di sgombero della casa della signora Elizabeth. Un trucchetto che il gruppo di malfattori aveva già utilizzato in altre occasioni per impossessarsi delle eredità giacenti di persone decedute senza parenti stretti.

Proprio il caso della signora Elizabeth, però, ha permesso di smascherare la banda. Lei, ebrea, sembrava voler lasciare tutto a un’associazione cattolica. Un particolare che ha incuriosito la procura. Grazie alle indagini del pm Gianmaria Pellicano, sono spuntati fuori altri casi. Alla fine gli indagati hanno patteggiato pene tra i due anni e dieci mesi e i quattro anni, restituendo parte del maltolto.

Ma che fine ha fatto nel frattempo l’eredità della signora Elizabeth? Dopo aver letto un articolo sulla stampa che parlava del caso, la Coutot-Roehrig ha offerto i suoi servigi al tribunale di Torino e si è messa sulle tracce dei legittimi eredi delle eredità giacenti. «Trattiamo circa cento casi all’anno - spiega ancora Spatafora - Da quando siamo nati ne abbiamo presi in carico circa 480. Il caso della signora Elizabeth è stato piuttosto difficile per la sua particolarità». Nata a Vienna da genitori originari di un piccolo paesino della Germania, la signora Elizabeth è scampata all’orrore nazista ma ha visto la sua famiglia decimata nei lager. Per questo, al momento della sua morte, non aveva più nessuno. Per rintracciare gli eredi, i «cacciatori» hanno fatto ricerche in molti Paesi, finendo addirittura negli Usa.

«Quando abbiamo trovato i fratelli inglesi abbiamo spiegato loro che potevano far valere un diritto sulle eredità della signora Elizabeth - racconta Spatafora - Riveliamo il parente e il valore dell’eredità solo se ci viene firmato un contratto di rivelazione. Noi ci occupiamo di tutte le faccende burocratiche e in cambio chiediamo una parcella che varia tra il 10 e il 30% netto del patrimonio». I due fratelli attendono da quattro anni la loro eredità perché il patrimonio è diviso tra Italia e Germania. Per una volta la nostra burocrazia è stata più veloce di quella tedesca. Mentre il tribunale di Torino ha già dato il via libera per la sua parte riconoscendo l’affidabilità del lavoro della Coutot-Roehrig, gli uffici giudiziari tedeschi stanno concludendo solo ora gli accertamenti.

«Recuperare quell’eredità non è solo una questione economica - conclude la Spatafora - I due fratelli inglesi hanno intrapreso una ricerca personale per ricostruire la loro famiglia. Quando a settembre siamo stati da loro per aggiornarli, è stato un momento anche emozionante».

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mi sa che faccio una ricerca fra i miei parenti...chissà che non ce ne sia uno ultra milionario [SM=x44473]

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Ho capito che se una persona si ritiene superiore, bisogna lasciarla vivere nella sua inferiorità
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13/12/2010 10:55

Medio Oriente, ebrei e arabi a scuola insieme: i bambini insegnano la pace

Nel villaggio Nevé Shalom, a Gesulamemme Est, giovani allievi occupano gli stessi banchi.

Pace in Medio Oriente? Si potrebbe cominciare a costruirla dai bambini. E’ questo il messaggio lanciato da una scuola frequentata sia da giovanissimi allievi ebrei che arabi palestinesi e da un libro per bambini britannici che racconta della storia di piccoli amici, di religione diversa, che crescono insieme sui territori martoriati dal conflitto. Ne parla Hugh Sykes su Bbc News.

VILLAGGIO DI PACE - A Gerusalemme Est può accadere che ad una manifestazione contro gli sfratti di alcuni palestinesi ci siano soprattutto ebrei a cantare e alzare striscioni, e che ci siano scritte in ebraico e in inglese. Un cambiamento radicale. Che lascia ben sperare. Qualche anno fa era diverso, dice Sykes. Alle manifestazioni anti-occupazione gli slogan erano scritti in ebraico e c’era bisogno di chiedere aiuto per tradurle. Ci sono molti più contatti tra ebrei e arabi, ora. “Siamo una azienda di successo”, dice Raida, una insegnante palestinese di storia in una scuola in cui bambini arabi ed ebrei giocano insieme. E aggiunge: “E’ per questo che il governo non ci piace”. L’istituto si trova a Wahdat al Salaam/Neve Shalom (Oasi di pace), un villaggio dove arabi ed ebrei. vivono volentieri insieme. Dal 1970. Si divertono insieme, sono vicini di casa, vanno al cinema insieme. Preparano gli insieme gli aquiloni quando c’è da accogliere tra i banchi un ospite speciale come Michael Morpungo, autore di libri per ragazzi.

GLI AQUILONI – La sua ultima opera narra una storia di bambini nelle terre del conflitto arabo-israeliano. E’ la storia di un ragazzo palestinese che fa volare aquiloni con la scritta “salaam” al di là di un muro di cemento che circonda un insediamento israeliano. Quando cambia il vento gli aquiloni tornano indietro con su la scritta “shalom”. Morpungo è convinto che la pace può realizzarsi partendo dai giovani ebrei ed arabi che vivono insieme. Imparando da loro.

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14/01/2011 23:41

Volpe “spara" al cacciatore che l'ha ferita e riesce a fuggire

MINSK (14 gennaio) - Una volpe ferita ha “sparato” al cacciatore che aveva cercato di ucciderla spedendolo in ospedale con un proiettile nella gamba. È accaduto nella regione di Grodno, in Bielorussia, e la notizia viene pubblicata oggi dai principali media russi che ricostruiscono con abbondanza di particolari la dinamica di un incidente che ha dell'incredibile.

Dopo aver colpito la volpe, il cacciatore si è avvicinato cercando di finirla a mani nude. L'animale però ha reagito e ha involontariamente azionato il grilletto del fucile con una zampa facendo partire il colpo in canna. Il cacciatore è stato costretto a rivolgersi al pronto soccorso per farsi estrarre il proiettile da una gamba, mentre la volpe è riuscita a fuggire.


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18/01/2011 11:09

Cultura, un business per ventenni

Quattro idee per liberare la nuova creatività
GIUSEPPE BOTTERO

TORINO
Da un vecchio cinema può rinascere una sala hi-tech che proietta film di artisti emergenti e introvabili pellicole Anni Sessanta. In un vecchio borgo che si affaccia sul Monte Rosa può sorgere una città abitata solo da teatranti, con la gente che va a fare la spesa in maschera e in costume d’epoca. Una rivista può essere concepita in treno, un festival internazionale nella cucina di mamma.

Mentre il tasso di disoccupazione giovanile schizza a livelli record e le piazze si riempiono di ragazzi che protestano contro i tagli alla cultura, c’è qualcuno checon la forza delle idee, della Rete e del gruppo- riesce a cambiare le cose, a riprendersi gli spazi. Ecco quattro storie di under 30 che provano, nel loro piccolo, a costruire un’Italia diversa.

Il laboratorio di teatro nel paese fantasma
Campsirago era un paese fantasma, vuoto, abbandonato, patrimonio storico e culturale di un’talia che non c'è più. Un paese agricolo, un nucleo di case isolato geograficamente e storicamente». Quando alla fine degli Anni Ottanta se ne sono andati anche gli ultimi figli dei fiori, che avevano occupato le case dei contadini, sembrava che per il vecchio borgo che guarda il Monte Rosa non ci fossero più speranze.

Non è andata così, perché Campsirago, nel giro di pochi anni, è diventato il paese dei teatranti e adesso è la sede della compagnia «Scarlattine», che ha creato un laboratorio per far crescere i ragazzi che si affacciano sul palco per la prima volta. «Abbiamo una residenza in cui si trasferiscono per mesi i ragazzi di compagnie italiane e internazionali - spiega il direttore Michele Losi -. In cambio dell’ospitalità non chiediamo nulla, ma spesso il gruppo che ha provato da noi tutto l’inverno mette in scena lo spettacolo nel festival che organizziamo ogni estate».

Il borgo vive di nuovo, e negli uffici della «Scarlattine» piovono richieste: i prossimi ospiti saranno turchi. «Il nostro orgoglio - così Losi - è aver messo in piedi una città del teatro. Un laboratorio per le compagnie del futuro».

Seicento euro a testa per il cinema high tech
Al bar, al posto di Coca Cola e pop corn, ci sono barrette biologiche e bicchieri di vino rosso. Invece dei blockbuster sullo schermo scorrono le immagini in bianco e nero della Nouvelle Vague, i documentari indipendenti lanciati dai Festival, i b-movie che hanno fatto innamorare Tarantino.

E’ il mondo sottosopra, quello che dal 3 febbraio andrà in scena al vecchio Crauco, il cinema incassato nel quartiere popolare del Pigneto, Roma Est, a due passi dai bar in cui Pasolini girò «Accattone». E’ il mondo sottosopra, e il motore sono sessanta trentenni che hanno affittato la sala chiusa dal giugno scorso e dopo un autunno passato con la cazzuola in mano per rimetterla a nuovo adesso sono pronti all’inaugurazione. Il nome, «Kino», l’hanno rubato un locale di Berlino.

I soldi li hanno sborsati da soli: seicento euro a testa, con la prospettiva concreta, dice Cristiano Gerbino, «di non rivederli mai più. Sappiamo benissimo che la nave può affondare nel giro di sei mesi, ma per quei centottanta giorni noi saremo vivi e pulsanti». Molti dei soci del «Kino» si sono conosciuti in piazza, mentre protestavano contro i tagli. Poi Facebook ha fatto il resto. Riunioni, appelli, idee. Adesso è tutto pronto, si parte. Prima proiezione: «Altrimenti ci arrabbiamo». Praticamente una dichiarazione d’intenti.

La rivista che scopre i romanzieri
Si sono accorti che le cose stavano cambiando quando in libreria hanno trovato gli autori lanciati dalla loro rivista. Il primo è stato Marco Drago, che ha pubblicato con Feltrinelli. Poi è stato il turno di Giorgio Fontana, con Mondadori. Prima era tutto un gioco da studenti. «Abbiamo fondato “Inutile” perché le riviste letterarie che conoscevamo non ci piacevano», raccontano Matteo Scandolin e Alessandro Romeo.

L’idea è del 2005: avevano appena 23 anni. Un lustro dopo il magazine è ancora in piedi e nei mesi scorsi è sbarcato anche su Internet, senza abbandonare il formato cartaceo, un gigantesco foglio ripiegato in otto parti che si trova in libreria, nei circoli Arci e nelle stazioni. «Il Web? La nostra presenza è molto attiva e attenta. Grazie alla Rete siamo riusciti a conoscere autori stranieri con cui sarebbe stato difficile rapportarsi», spiega Matteo.

Ma come funziona una rivista auto-prodotta? «Facciamo quasi tutto via e-mail e al telefono- dice Alessandro-. Poi, quattro o cinque volte all’anno ci troviamo di persona, a Venezia o a Torino». Di soldi ne girano pochi, ma non è un motivo per mollare. «Spesso ai ragazzi manca la voglia di andare oltre le prime difficoltà - dice Matteo -. Magari si prova a organizzare qualcosa, ma ci si ferma quasi subito».

Nella masseria i writer diventano artisti
Se durante l’anno il centro di Grottaglie è invaso da signore di mezza età a caccia di ceramiche da collezione, a marzo il piccolo comune pugliese si riempie di punk e graffitari in arrivo da mezzo mondo, tutti ospiti di Angelo Milano, il ventottenne che organizza «Fame Festival», kermesse che - in tre edizioni - ha lanciato alcuni degli artisti più quotati a livello europeo. Da Grottaglie - 30 mila abitanti, a mezz’ora di macchina da Taranto - c’è passato il re dei writer Blu, una manciata di mesi prima di finire alla Tate Modern di Londra.

Gli sono bastati un paio di giorni per trasformare le case abbandonate in pezzi da museo post-moderno. Con lui, i gemelli brasiliani Os Gemeos, l’americano Momo e il fotografo francese Jr, che nel 2010 si è portato a casa il «Ted Prize», il premio che una super-giuria assegna alle persone «che cambieranno il mondo». Prima di lui l’avevano vinto anche Bill Clinton, Bono e il fondatore di Wikipedia Wales.

«Qui gli artisti vengono gratis, sulla fiducia - dice Milano - anche perché il festival non riceve nessun finanziamento. Dormono a casa di amici, mangiano da mia madre. A fine settembre organizziamo una mostra: la metà del ricavato va a pittori e illustratori. L’altra finisce nelle casse di “Fame”, che così riesce a sopravvivere».

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21/01/2011 10:19

Il miracolo di Carlina: rapita 23 anni fa ritrova la mamma grazie a Internet

Ragazza riabbraccia la famiglia "Insospettita da una foto in Rete quella neonata scomparsa ero io"

Lieto fine per una terribile saga, iniziata nel 1987 con il rapimento di una bimba di tre settimane appena, da un ospedale di Harlem: la protagonista, una ragazzina ormai 23enne, ha risolto l’enigma e potuto riabbracciare la sua famiglia biologica.

Carlina White fu portata via a 19 giorni di vita da un ospedale di Manhattan, dove era stata ricoverata insieme alla madre perchè febbricitante, il 4 agosto del 1987. Circa due ore dopo l’ammissione, Carlina scomparve dalla culla del reparto di pediatria dove riposava.

Gli inquirenti si concentrarono sulle tracce di una donna misteriosa che aveva consolato la madre, preoccupata per Carlina, e che era stata vista circolare nel reparto vestita da infermiera. Carlina fu portata in Connecticut e poi in Georgia, tirata su da una donna che le cambiò il nome in Nejdra Nance. Ma i sospetti di Carlina cominciarono subito, innescati dal fatto che non assomigliasse a nessuno della famiglia: «Aveva sempre avuto la sensazione di non appartenete a quella famiglia», ha spiegato martedì un portavoce della polizia, Paul J. Browne, raccontando alla stampa la vicenda. Finchè ad un certo punto la ragazzina non si mise a studiare il sito web del National Center for Missing and Exploited Children; e fu proprio lì che trovò la foto un neonato che le sembrava le assomigliasse particolarmente. Preso coraggio, la ragazza ha chiamato la madre biologica, Joy White, che non sapendo se la giovane donna fosse davvero la figlia, si è rivolta alla polizia. Gli inquirenti hanno prelevato i campioni del DNA di Joy White e Carl Tyson, che nel frattempo si erano separati. «E l’istinto naturale della figlia è stato confermato dal tampone del Dna», ha spiegato ancora Browne.

Il referto ufficiale è arrivato solo martedì notte; ma nel frattempo Carlina e la sua famiglia biologica si erano già incontrati, venerdì notte nel Bronx, e abbracciati. La protagonista non ha parlato con la stampa ma sul suo profilo di Twitter ha scritto che si sta trasferendo a New York City. La madre, che non aveva mai creduto alla morte della figlia, aveva persino usato il nome di Carlina nel suo indirizzo di posta elettronica. «Sono sopraffatta dalla gioia. Abbiamo parlato e avuto modo di conoscerci e lei sembra identica a mia madre. Ci sentivamo come se ci conoscessimo da tempo», ha raccontato la sorellastra, Sheena, 18 anni, al New York Times. Adesso la polizia indaga sulla donna che ha tirato su Carlina.

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Etrusco, 27/01/2011 21.09:




ad una mia amica la figlia glielo ha chiesto come regalo di Natale,
ma lei glielo ha concesso solo dopo averne parlato a lungo e avergli fatto capire cosa significasse




...che ci sia una bimba che nel 2011 chiede un simile regalo per natale....mi sembra una buona notizia...una di quelle che lasciano intravvedere che puo' esserci fiducia nelle future generazione nonostante un evidente imbarbarimento della societa'.... [SM=x44459]
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04/02/2011 11:13

Recupera la voce dopo undici anni

L’emozione della voce. Un suono che si articola attraverso i nostri organi e che si riversa all’esterno per raccontare emozioni, desideri, sogni. Brenda Jenson da oltre 11 anni non parlava più a causa di un errore chirurgico. Ma grazie ad un trapianto unico al mondo, i cui risultati sono stati resi noti in settimana al St. David Medical Center a Sacramento in California, ha ora recuperato la voce. Nel team di medici che ha compiuto quest’eccezionale operazione, c’è anche l’italiano Paolo Macchiarini.

E’ il primo trapianto completo di faringe, trachea e tiroide a dare la possibilità alla Jenson di tornare ad una vita normale. Fino ad ottobre, mese dell’operazione, esprimersi le era possibile solamente attraverso un dispositivo elettronico, che dava alla voce una chiara impronta metallica.

Un lungo calvario, culminato in un intervento durato ben 18 ore, compiuto da un team internazionale composto da 24 esperti, che ha studiato il caso della Jensen per oltre 2 anni. Una tipologia di operazione che, prima di questo intervento, aveva fatto registrare solo un altro caso simile, nel 1998 a Cleveland, sempre negli Stati Uniti, che tuttavia non era stato eseguito in modo completo come nel caso di Sacramento. Oltre alla voce, il grave danno della trachea e della faringe della donna aveva anche reso la Jensen incapace di percepire sapori e odori, oltre che di respirare autonomamente.

Gregory Farwell, che ha capitanato il team che ha eseguito l’operazione, ha sottolineato l’eccezionalità del trapianto: “Siamo assolutamente soddisfatti dei risultati di questo caso straordinario. La laringe è un organo estremamente complesso, dotato di un articolato intreccio di nervi e muscoli in grado di emettere la voce e consentire la respirazione”.

Un risultato che è stato possibile, sempre secondo quanto affermato da Farwell, grazie anche allo straordinario team di professionisti che ha eseguito l’operazione tra cui figura anche l’italiano Paolo Macchiarini, professore di chirurgia rigenerativa al Karolinska Institutet in Svezia ed uno dei pionieri del trapianto di trachea, che ha così commentato l’evento: “Essere in grado di ripristinare i nervi e ricollegare i vasi sanguigni dentro e intorno alla laringe e alla trachea è stato un vero banco di prova”.

Il percorso verso la riabilitazione, cioè la riconquista completa delle facoltà di parola e di deglutire sarà lungo ma sta già dando i primi risultati. Nella conferenza stampa che ha presentato al mondo i risultati di quest’operazione, la Jensen ha affermato: “Quest’operazione ha dato un nuovo senso alla mia vita”. E non ha dimenticato neppure di ringraziare la famiglia dello sconosciuto che ha permesso la donazione degli organi, senza i quali tutto questo non sarebbe stato possibile.

L’operazione dona anche una speranza in più a quanti affetti da patologie simili.

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17/02/2011 10:39

Ai falsi invalidi dieci miliardi l'anno

Ai controlli il 30% delle indennità sono risultate irregolari
LUCA RICOLFI

In mezzo a tante brutte notizie, ce n’è anche una buona. Una notizia piccola, ma significativa: i controlli dell’Inps sulle pensioni di invalidità, iniziati un paio di anni fa, continuano a ritmo serrato e cominciano a dare risultati importanti.

Il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua, intervistato dal Corriere della Sera , ci informa che, dopo i 200 mila controlli del 2009, nel 2010 ve ne sono stati altri 250 mila, e altrettanti sono previsti sia quest’anno sia l’anno prossimo.

Fatti i conti, questo significa che la probabilità di subire un accertamento, fino a ieri trascurabile, si porterà intorno al 30% su 4 anni di verifiche. Quali sono, fin qui, i risultati?

Numeri impressionanti
I risultati delle verifiche sono impressionanti. Secondo questo primo ciclo di controlli, circa il 30% dei beneficiari di pensione di invalidità ne usufruiscono senza averne diritto, ma questa percentuale nazionale varia enormemente da luogo a luogo. In provincia di Sassari le pensioni da cancellare sono il 76%, a Roma il 26%, a Milano appena il 3%. In Sardegna sono il 53%, ma anche l'Umbria non scherza con il suo 47%; mentre in Lombardia e in Emilia Romagna la percentuale di cancellazioni resta inferiore al 10%.

I dati dell’Inps confermano, sia pure a grandi linee, i risultati di alcuni studi, che già negli anni scorsi - elaborando altri dati forniti dall’Inps stessa e dall’Istat - avevano tentato di stimare il numero di “falsi invalidi” regione per regione e provincia per provincia. Aggiornate a oggi, quelle stime ci mostrano una realtà inquietante. Le sole prestazioni per beneficiari “puri” (che hanno solo una pensione di invalidità) ammontano a circa 15 miliardi di euro all’anno, che diventano più o meno 30 se consideriamo anche i beneficiari “multipli”, ossia coloro che cumulano la pensione di invalidità con altri tipi di pensione. Si tratta, in tutto, di 5-6 milioni di persone, a un terzo delle quali dovrebbe essere revocata la prestazione, con un risparmio complessivo di 8-10 miliardi di euro all’anno.

Il piano dell’Inps
Purtroppo il piano Inps, per quanto assolutamente meritorio (nulla di paragonabile è mai stato fatto in passato), prevede solo - si fa per dire - 250 mila controlli l'anno, da cui è lecito aspettarsi solo un flusso di 1 miliardo di euro ogni anno, anziché gli 8-10 recuperabili in teoria, nel caso cioè le verifiche fossero svolte su tutti (beneficiari puri e multipli) e fossero complete, anziché a campione. E tuttavia anche un miliardo di euro non è affatto poco. Ci sono un sacco di cose che, ogni anno, si potrebbero fare con quella cifra. Alcune non sono di competenza dell’Inps, altre lo sono o potrebbero diventarlo.

Un tesoro da sfruttare
Ossigeno all’università, alla ricerca, alla cultura, ad esempio. Nuovi asili nido, di cui l’Italia ha un estremo bisogno. Ma anche altre cose più legate ai compiti di un ente come l’Inps. Si potrebbe, ad esempio, assumere nuovo personale per intensificare i controlli nei cantieri edili, dove si concentra il grosso dell’evasione contributiva e, purtroppo, anche una frazione considerevole degli infortuni e dei morti sul lavoro. Oppure si potrebbero usare i risparmi ottenuti dalle cancellazioni della false pensioni di invalidità per rifinanziare la social card di Tremonti, ossia per continuare a fare assistenza, come di fatto già si faceva con le pensioni di invalidità, ma in un modo più equo: erogando le prestazioni a chi ha veramente bisogno, anziché a chi trova il modo di ottenere false certificazioni.

Sacrifici, purché utili
Perché uno dei problemi di fondo dell'Italia, a mio parere, è il seguente. Ci vengono chiesti dei sacrifici, sentiamo più o meno oscuramente che la richiesta non è irragionevole, ma tutti quanti, anche i più disponibili a fare rinunce, che siano inutili, se non controproducenti. La paura è che chi ha dissipato il denaro pubblico continui a farlo, e che la lotta agli sprechi si risolva in nuovi sprechi.

O anche semplicemente che nessunosappia che fine fanno i quattrini che lo Stato recupera. Per questo sarebbe bello che, in tutti i settori in cui si fanno dei risparmi, fosse sempre chiara, anzi automatica, la loro destinazione. Ci piacerebbe che alla fine dell’anno il cittadino potesse apprendere - invento, a puro titolo di esempio - che l’Inps ha risparmiato 400 milioni di euro e li ha usati per raddoppiare l'importo della social card, portandola da 40 a 80 euro al mese. Che la Gelmini ha risparmiato 1 miliardo di euro sugli stipendi degli insegnanti e ha aperto 1000 nuovi asili nido. Che Tremonti ha recuperato 20 miliardi di evasione fiscale e ha dimezzato l’Irap.

Cose così. Piccoli passi, ma che dessero a tutti l’impressione che si va da qualche parte. E che la direzione è quella giusta.

Fonte

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21/03/2011 13:57

E' primavera!
Con tutte le brutte e preoccupanti notizie da tutto il mondo, con tutti i problemi quotidiani che ci arrovellano, non dimentichiamoci che anche quest'anno la natura ci regala il suo miracolo:

è arrivata la primavera!



Non trascuriamo questo dono, c'è chi non la conosce e ne resta stupito; una volta un cinese di Singapore (equatore) arrivò qui in Italia in primavera, e mi fece la domanda: "Ma è questa la primavera?"

Godiamo quindi anche di queste piccole/grandi cose, che ci aiutano ad affrontare tutto il resto.

Ragazze, basta vestiti neri, ci vuole colore, luce, vita!
[Modificato da fabius039 21/03/2011 13:58]
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21/03/2011 18:22

Re: E' primavera!
fabius039, 21/03/2011 13.57:

Con tutte le brutte e preoccupanti notizie da tutto il mondo, con tutti i problemi quotidiani che ci arrovellano, non dimentichiamoci che anche quest'anno la natura ci regala il suo miracolo:

è arrivata la primavera!



Non trascuriamo questo dono, c'è chi non la conosce e ne resta stupito; una volta un cinese di Singapore (equatore) arrivò qui in Italia in primavera, e mi fece la domanda: "Ma è questa la primavera?"

Godiamo quindi anche di queste piccole/grandi cose, che ci aiutano ad affrontare tutto il resto.

Ragazze, basta vestiti neri, ci vuole colore, luce, vita!




[SM=x44520] [SM=x44462]

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26/04/2011 00:17

Rinasce il teatro Bolshoi
MOSCA, 25 APR - Dopo l'ultimo e piu' imponente restauro della sua storia, durato sei anni e costato finora 580 milioni di euro ad ottobre riaprira' il Bolshoi. La prima cosa che colpisce, sin dalla facciata di fronte alla statua di un accigliato Marx, e' la scomparsa di tutti i simboli dell'epoca comunista: via falce e martello, sostituiti dall'aquila bicefala zarista. A fine 2011, la Scala sara' il primo teatro straniero ad esibirsi, con il Requiem di Verdi diretto da Daniel Barenboim.

ANSA

La ricostruzione era iniziata nel 2005, ed è andata avanti tra mille polemiche e ritardi, accuse di appropriazione indebita e frode.
La stima di spesa iniziale era di 16 volte inferiore [SM=x44497], e ispezioni eseguite nel 2009 scoprirono milioni di euro spesi "malamente", ed gli appaltanti dei lavori sono stati più volte cambiati.

Comunque i lavori finalmente stanno giungendo al termine, ed il teatro dovrebbe tornare al suo antico splendore.





[Modificato da fabius039 26/04/2011 00:18]
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27/04/2011 23:33

Susanna Mälkki alla Scala prima donna che dirige

Niente vestito da sera, va saputo indossare. Quando dirigo non ho tempo per occuparmi del portamento, meglio i pantaloni. La musica un mondo maschilista

di SARA CHIAPPORI



Susanna Mälkki

MILANO - Bionda, sottile, quasi soave. Angelica nei modi ma determinata come una valchiria. È finlandese e ha 42 anni, Susanna Mälkki, la prima donna a dirigere un'opera alla Scala. In passato ci sono state Carmen Maria Carneci e Claire Gibault, ma al Teatro Lirico, e Marin Alsop al Piermarini, ma per un concerto sinfonico. Un debutto da far tremare le vene ai polsi, ma che lei, già affermata in un mondo ancora molto maschile (dal 2006 è alla guida dell'Ensemble InterContemporain di Pierre Boulez), affronta con nordico aplomb. L'opera in questione è Quartett (la prima, martedì, in scena fino al 7 maggio), musica e libretto (in inglese) di Luca Francesconi ispirato all'omonima pièce di Heiner Müller che nel 1981 riscrisse "Les liasons dangereuses" di Choderlos de Laclos. Testo crudele di ossessioni e perversioni che qui diventa opera per due cantanti (Robin Adams e Allison Cook in alternanza a Sinead Mulhern), due orchestre e coro. Il tutto assemblato dalla regia di Àlex Ollé della Fura dels Baus.

Signora Mälkki, che effetto le fa essere la prima donna sul podio della Scala per un'opera lirica?
"Sono orgogliosa e onorata. Quando mi hanno fatto la proposta mi è mancato il respiro. Arrivare alla Scala è un riconoscimento importante per chiunque, uomo o donna".

Le donne però sono decisamente meno.
"Ci vuole pazienza, i cambiamenti sono lenti e complessi. La musica classica è un ambiente conservatore, legato ai valori del passato. È un problema storico, culturale, sociale. Quanto ci abbiamo messo noi donne a ottenere il diritto al voto? Non dico che ci vorrà altrettanto per avere parità nella musica, ma per colmare il ritardo sono necessari tempo e determinazione. Intanto questo mio debutto ha un grande valore simbolico".

Un debutto impegnativo. Dirigerà due orchestre, una da camera in buca e l'altra invisibile al pubblico, collegate da un sistema di monitor.
"Un dispositivo complesso ma molto affascinante, come affascinante è la partitura di Francesconi che è una straordinaria tavolozza di possibilità espressive".

Il suo repertorio è soprattutto nella musica contemporanea. Perché le interessa di più o perché è meno "maschilista" della musica classica?
"In realtà ho diretto anche concerti sinfonici. Credo molto nella tradizione: senza saremmo persi. La musica contemporanea mi affascina perché riflette il nostro tempo. Detto questo, sì, forse è anche più duttile nei confronti delle donne".

Qualità indispensabili di un buon direttore?
"Essere artista e insieme chef d'équipe. Avere una visione e saperla trasmettere in modo chiaro, efficace".



Quanto conta il carisma?
"Molto, ma solo se nasce dal lavoro. Il potere non è nulla se non va insieme al senso di responsabilità".

Lei ha cominciato come violoncellista. Perché ha deciso di darsi alla direzione d'orchestra?
"Perché tendo a pensare in modo polifonico, amo la complessità, il meccanismo nel suo insieme dove ogni cosa deve avere il suo posto e la sua logica. L'orchestra è come un superstrumento".

Sul podio in abito lungo o in pantaloni?
"Il vestito da sera va saputo indossare. Quando dirigo non posso occuparmi del portamento. Molto meglio i pantaloni".
(22 aprile 2011)

La Repubblica
[Modificato da fabius039 27/04/2011 23:38]
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11/06/2011 22:35

Italia primo produttore mondiale di vino, superata la Francia
Con l'ultima vendemmia 2010-2011,l'Italia è diventata il principale produttore mondiale di vino, sfilando il primato alla Francia.

Lo comunica Coldiretti in base ai dati della Commissione europea, secondo cui la produzione italiana è stata di 49,6 milioni di ettolitri e quella francese di 46,2 milioni.

Un risultato frutto della sostanziale stabilità della nostra produzione e di un calo di quella francese. Inoltre, Coldiretti sottolinea come la produzione italiana sia per il 60% di qualità, con
14,9 milioni di ettolitri destinati a vini Docg/Doc e 15,4 milioni a Igt.

[SM=x44501]
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12/06/2011 12:28

Re: Italia primo produttore mondiale di vino, superata la Francia
texdionis, 11/06/2011 22.35:

Con l'ultima vendemmia 2010-2011,l'Italia è diventata il principale produttore mondiale di vino, sfilando il primato alla Francia.

Lo comunica Coldiretti in base ai dati della Commissione europea, secondo cui la produzione italiana è stata di 49,6 milioni di ettolitri e quella francese di 46,2 milioni.

Un risultato frutto della sostanziale stabilità della nostra produzione e di un calo di quella francese. Inoltre, Coldiretti sottolinea come la produzione italiana sia per il 60% di qualità, con
14,9 milioni di ettolitri destinati a vini Docg/Doc e 15,4 milioni a Igt.
[SM=x44501]



Non c'è da rallegrarsi più di tanto, considerato che la produzione globale europea è in calo da diversi anni, e pur se in quantità superiamo la Francia, un valore (specie valore dell'esportato) siamo ancora ben lontani.

Italia prima produttrice di vino al mondo, ma non c’è da rallegrarsi

Siamo a ridosso dell’estate, e parte la stagione dei comunicati stampa sulle statistiche della produzione di vino Italiano.
Coldiretti rilascia oggi un comunicato (ripreso qui dal Corriere Economia) dai toni trionfali nel quale si conferma il primato di produzione di vino dell’Italia, che con 49,6 milioni di ettolitri prodotti nel 2010 ha superato la Francia, ferma a 46,2 milioni di ettolitri. Si sottolinea che il 60% della produzione italiana è costituita da vino di qualità, con 14,9 milioni di ettolitri di vino DOC e DOCG e 15,4 milioni di ettolitri di vini IGT: Le esportazioni crescono del 31% negli USA. LA stessa coldiretti ci informa che il valore complessivo della produzione vinicola venduta nel 2010 è stato di 7,82 miliardi di euro. Se dovessimo dividere questa cifra (7,82 mld) per il numero di ettolitri prodotti nel 2010 (49,6 mln) viene fuori che ogni ettolitri di vino italiano venduto nel mondo vale circa 157 euro per ettolitro, cioè 1,57 euro il litro (il litro, non la bottiglia). Significa che il vino italiano è venduto mediamente allo stesso prezzo al litro della birra di primo prezzo che si acquista da Esselunga. Con una piccola differenza che la birra si può produrre 365 giorni all’anno, ha costi di produzione enormemente più bassi, non risente delle stagioni e dell’alternanza delle vendemmie, non ha bisogno di quel minimo di affinamento che ogni vino richiede. Direi che il vino italiano ha poco di cui rallegrarsi.

Fonte
[Modificato da fabius039 12/06/2011 12:28]
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12/06/2011 12:38

Re: Re: Italia primo produttore mondiale di vino, superata la Francia
fabius039, 12/06/2011 12.28:



Non c'è da rallegrarsi più di tanto, considerato che la produzione globale europea è in calo da diversi anni, e pur se in quantità superiamo la Francia, un valore (specie valore dell'esportato) siamo ancora ben lontani.

Italia prima produttrice di vino al mondo, ma non c’è da rallegrarsi

Siamo a ridosso dell’estate, e parte la stagione dei comunicati stampa sulle statistiche della produzione di vino Italiano.
Coldiretti rilascia oggi un comunicato (ripreso qui dal Corriere Economia) dai toni trionfali nel quale si conferma il primato di produzione di vino dell’Italia, che con 49,6 milioni di ettolitri prodotti nel 2010 ha superato la Francia, ferma a 46,2 milioni di ettolitri. Si sottolinea che il 60% della produzione italiana è costituita da vino di qualità, con 14,9 milioni di ettolitri di vino DOC e DOCG e 15,4 milioni di ettolitri di vini IGT: Le esportazioni crescono del 31% negli USA. LA stessa coldiretti ci informa che il valore complessivo della produzione vinicola venduta nel 2010 è stato di 7,82 miliardi di euro. Se dovessimo dividere questa cifra (7,82 mld) per il numero di ettolitri prodotti nel 2010 (49,6 mln) viene fuori che ogni ettolitri di vino italiano venduto nel mondo vale circa 157 euro per ettolitro, cioè 1,57 euro il litro (il litro, non la bottiglia). Significa che il vino italiano è venduto mediamente allo stesso prezzo al litro della birra di primo prezzo che si acquista da Esselunga. Con una piccola differenza che la birra si può produrre 365 giorni all’anno, ha costi di produzione enormemente più bassi, non risente delle stagioni e dell’alternanza delle vendemmie, non ha bisogno di quel minimo di affinamento che ogni vino richiede. Direi che il vino italiano ha poco di cui rallegrarsi.

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insomma la solita propaganda trionfalistica, c'era da aspettarselo [SM=x44471]
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10/11/2011 03:36

Berlusconi si dimette.
Gioiamo!
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Per il mio cuore Basta il tuo petto
Per la tua libertà Bastano le mie ali


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10/11/2011 14:37

Re:
=Luna84=, 10/11/2011 03.36:

Berlusconi si dimette.
Gioiamo!
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ma temo che in stile gattopardesco, cambierà tutto per non cambiare nulla [SM=x44465]
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