Quali imperfetti discendenti di Adamo, abbiamo l’innata tendenza a sbagliare, a fare ciò che è male, a peccare. Comunque,
sarebbe un grave errore approfittarsi dell’immeritata benignità di Dio, pensando ad esempio: “Non devo preoccuparmi se faccio qualcosa di sbagliato, qualcosa che Geova considera un peccato, tanto lui mi perdona”. Triste a dirsi, però, certi cristiani del I secolo adottarono un simile modo di pensare addirittura mentre erano ancora in vita alcuni apostoli. (Leggi Giuda 4.) Anche se non diremmo mai una cosa del genere, forse tali ragionamenti errati sono presenti nel nostro cuore, magari a causa dell’influenza di altri, e stanno mettendo radici.
Paolo mise in risalto l’importanza di respingere qualunque ragionamento secondo cui Dio “capirà” e ignorerà le nostre azioni sbagliate. Infatti scrisse: “Morimmo riguardo al peccato”. (Leggi Romani 6:1, 2.) In che senso i cristiani erano “[morti] riguardo al peccato”, dato che in effetti erano ancora in vita sulla terra?
Dio applicò il valore del riscatto a Paolo e agli altri cristiani del I secolo. Così perdonò i loro peccati, li unse con lo spirito santo e li adottò come figli spirituali. Inoltre diede loro la speranza celeste. Rimanendo fedeli, avrebbero avuto la possibilità di vivere con Cristo in cielo e di regnare con lui. Tuttavia, quando Paolo disse loro che erano “[morti] riguardo al peccato”, erano ancora vivi e servivano Dio sulla terra. Portò l’esempio di Gesù, che morì come uomo e poi fu risuscitato come creatura spirituale immortale in cielo. La morte non lo signoreggiava più. In modo analogo, i cristiani unti potevano considerarsi “morti riguardo al peccato, ma viventi riguardo a Dio mediante Cristo Gesù” (Rom. 6:9, 11).
Il loro modo di vivere era cambiato: non assecondavano più i loro desideri peccaminosi. Erano morti riguardo al loro precedente modo di vivere.
Che dire di noi? Prima di diventare cristiani spesso peccavamo senza renderci conto di quanto fossero sbagliate le nostre azioni agli occhi di Dio. Eravamo, per così dire, schiavi dell’impurità e dell’illegalità. In altre parole eravamo “schiavi del peccato” (Rom. 6:19, 20). Poi abbiamo conosciuto la verità, abbiamo fatto dei cambiamenti nella nostra vita, ci siamo dedicati e ci siamo battezzati. Da quel momento abbiamo nutrito il desiderio di essere “ubbidienti di cuore” agli insegnamenti di Dio e alle sue norme. Siamo stati “resi liberi dal peccato” e siamo “divenuti schiavi della giustizia” (Rom. 6:17, 18). Quindi possiamo dire che anche noi siamo “morti riguardo al peccato”.
Proviamo a pensare a noi stessi mentre leggiamo queste parole di Paolo: “Non lasciate che il peccato continui a regnare nel vostro corpo mortale per ubbidire ai suoi desideri” (Rom. 6:12). Assecondare le inclinazioni della nostra carne imperfetta significherebbe lasciare che il peccato continui a regnare su di noi. Dal momento che possiamo decidere se lasciarci dominare dal peccato oppure no, faremmo bene a esaminare cosa c’è davvero nel nostro cuore.
Potremmo farci queste domande: “Lascio a volte che il mio corpo e la mia mente imperfetti mi guidino in una direzione sbagliata? Oppure sono ‘morto riguardo al peccato’ e sono ‘vivente riguardo a Dio mediante Cristo Gesù’?” Alla fine il punto è: quanto apprezziamo l’immeritata benignità che Dio ci mostra perdonandoci?
W 16 Dicembre