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Clandestini

Ultimo Aggiornamento: 08/09/2006 22:03
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30/08/2006 11:45
 
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Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Piccolo Lupo TdC 30/08/2006 10.17
Non mi sfugge nulla, anzi mi salta agli occhi la superficialità con cui affronti questo argomento così spinoso e poi a dirla tutta se proprio deve essere non abbiam bisogno di culi da far sedere ma di gente che si rimbocchi le maniche e rispetti le leggi.



Non capisco proprio dove leggi superficialità nelle mie parole...
e comunque quella dei culi e delle sedie era una metafora per far capire che ci sono continenti dove pochi individui possiedono tutto (vedi gruppo con tante sedie e poca gente) come Europa, America del Nord... e continenti dove quel poco che hanno è spartito all'interno di una ristretta oligarchia come America Latina e continenti come l'Africa dove non hanno nulla. Chi non ha modo di sopravvivere emigra. É l'istinto di sopravvivenza della specie umana.
Inoltre non va dimenticato che molti dei paesi del sud del mondo si trovano in situazioni disagiate grazie a noi europei: colonizzazione, schiavitù, imperialismo, multinazionali...



<-------------------------->


Sueño el Sur, inmensa luna, cielo al revés,
busco el Sur, el tiempo abierto, y su después.
30/08/2006 12:16
 
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Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: m@ite 30/08/2006 11.45


Non capisco proprio dove leggi superficialità nelle mie parole...
e comunque quella dei culi e delle sedie era una metafora per far capire che ci sono continenti dove pochi individui possiedono tutto (vedi gruppo con tante sedie e poca gente) come Europa, America del Nord... e continenti dove quel poco che hanno è spartito all'interno di una ristretta oligarchia come America Latina e continenti come l'Africa dove non hanno nulla. Chi non ha modo di sopravvivere emigra. É l'istinto di sopravvivenza della specie umana.
Inoltre non va dimenticato che molti dei paesi del sud del mondo si trovano in situazioni disagiate grazie a noi europei: colonizzazione, schiavitù, imperialismo, multinazionali...


Mi puoi dare un tuo personale concetto di benessere?
In paesi dove il reddito procapite mensile è di pochi dollari quanto ci puoi campare con la media dei 5000 dollari richiesti dai Caronti dell' Eden?
L'istinto di sopravvivenza umana può spingeresi ben oltre una traversata atlantica e questo mi spaventa, sono consapevole delle responsabilità a cui tu accenni ma questo non mi impedisce di aver una visione diversa al problema.
30/08/2006 12:39
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Piccolo Lupo TdC 30/08/2006 12.16
Mi puoi dare un tuo personale concetto di benessere?
In paesi dove il reddito procapite mensile è di pochi dollari quanto ci puoi campare con la media dei 5000 dollari richiesti dai Caronti dell' Eden?
L'istinto di sopravvivenza umana può spingeresi ben oltre una traversata atlantica e questo mi spaventa, sono consapevole delle responsabilità a cui tu accenni ma questo non mi impedisce di aver una visione diversa al problema.



ecco il benessere mica è dato solo dai soldi! c'è gente che non scappa solo perchè ha fame, ma perchè vive in paesi dove i diritti umani sono calpestati, dove sono incorso guerre civili!
probabilmente la gente si indebita, fa delle collette, compie ogni genere di reato per riuscire ad avere i soldi per scappare...in alternativa c'è la morte.
Cmq per me benessere vuol dire avere la speranza di un futuro. Per te?


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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: m@ite 30/08/2006 12.39


ecco il benessere mica è dato solo dai soldi! c'è gente che non scappa solo perchè ha fame, ma perchè vive in paesi dove i diritti umani sono calpestati, dove sono incorso guerre civili!
probabilmente la gente si indebita, fa delle collette, compie ogni genere di reato per riuscire ad avere i soldi per scappare...in alternativa c'è la morte.
Cmq per me benessere vuol dire avere la speranza di un futuro. Per te?

Anche per me benessere è speranza in un futuro e lo è sulla mia terra.
30/08/2006 12:47
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Piccolo Lupo TdC 30/08/2006 12.43
Anche per me benessere è speranza in un futuro e lo è sulla mia terra.



Quindi il fututo di una persona deve essere solo ed esclusivamente nella sua terra d'origine. Vorrei vederti se l'Italia fosse colpita da tutte le calamità di questo mondo, l'economia fosse distrutta e l'unica speranza di un futuro sulla TUA terra fosse quella della morte.


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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: m@ite 30/08/2006 12.47


Quindi il fututo di una persona deve essere solo ed esclusivamente nella sua terra d'origine. Vorrei vederti se l'Italia fosse colpita da tutte le calamità di questo mondo, l'economia fosse distrutta e l'unica speranza di un futuro sulla TUA terra fosse quella della morte.

Sei drastica e lasci ora passare un concetto di benessere diverso da come dicevi prima, io sò vivere in semplicità ed umiltà, comunque, con il miliardino di persone che vivono nelle condizioni citate sopra e la tua filosofia porte aperte alla Renault prepara la valigia perchè ci daran poi un calcio nel culo o guerra tra poveri.
30/08/2006 14:18
 
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Penso che é complesso pensarci.

Da un lato, visceralmente, vediamo attaccate le nostre sicurezze sociali, dall'altro non possiamo certo pensare di affondare queste imbarcazioni prima che tocchino terra (qualcuno magari lo pensa anche, però).
(E del resto le mie sicurezze sociali le vedo attaccate anche dalle frotte di milanesi (p.es.) che pensano che la montagna sia come piazza Duomo e che una ferrata sia una passeggiata in galleria, con tanto di scia di rifiuti, ma tant'è).

Da un lato abbiamo bisogno della loro forza lavoro (finiti i terroni le industrie del nord hanno bisogno di manodopera a basso costo per tirare avanti), dall'altro diciamo che manca il lavoro anche agli italiani (ma probabilmente domanda ed offerta non collimano per tipologia di impiego).

Assistiamo ad una sempre più crescente concentrazione della ricchezza, e sappiamo che le masse diseredate la si spostano, come é accaduto dalla vecchia Europa verso gli Stati Uniti. Ed essendo appunto masse diseredate non rappresentano certo il fior fiore della popolazione di provenienza, ci saranno i poveri onesti ma ci sono anche i poveri disonesti (e di poveri disonesti di provenienza italiana gli statunitensi ne sanno qualcosa).

Abbiamo gioito alla caduta del muro di Berlino, abbiamo gioito per libertá conquistata dalle popolazioni dell'Europa orientale, peró adesso pensiamo a come costruire un muro attorno all'Italia per impedire che troppi visitatori ci degnino della loro visita. (Forse era meglio il pericolo rosso alla invasione di albanesi, rumeni, slavi e forzate prostitute al seguito?).

Lo so, non offro soluzioni, solo incongruenze, ma è perché faccio fatica ad avere idee chiare in proposito, faccio fatica a mettere d’accordo ideali e realtà, e mi stupisco (o mi congratulo anche) con chi ha idee più chiare delle mie.


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Where were you last night?
That's so long ago, I don't remember.
Will I see you tonight?
I never make plans that far ahead.
30/08/2006 15:43
 
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Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re: Re:

Scritto da: Piccolo Lupo TdC 30/08/2006 13.25
Sei drastica e lasci ora passare un concetto di benessere diverso da come dicevi prima, io sò vivere in semplicità ed umiltà, comunque, con il miliardino di persone che vivono nelle condizioni citate sopra e la tua filosofia porte aperte alla Renault prepara la valigia perchè ci daran poi un calcio nel culo o guerra tra poveri.



Il mio concetto di benessere rimane lo stesso, non cambio idea nel giro di 10 minuti...è evidente che non ci capiamo e la pensiamo in modo molto diverso. Potremmo andare avanti a discure da qui all'eternità. Non sono drastica: la situazione di chi sbarca qui è drastica.


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30/08/2006 15:45
 
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Re:

Scritto da: .bogey. 30/08/2006 14.18
ci saranno i poveri onesti ma ci sono anche i poveri disonesti (e di poveri disonesti di provenienza italiana gli statunitensi ne sanno qualcosa)
[SM=x714163]



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La frase di bogey è storicamente inconfutabile.

Maite isolandola dal cotesto intendi dire che il motivo per cui tu lascieresti entrare tutti indistintamente è perchè gli americani si sono tirati in casa un po' di nostri mafiosi?

[Modificato da dudok76 30/08/2006 15.48]



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------
Oh, I'm sorry. Did that break your concentration?
I didn't mean to do that.
Please, continue.
I believe you were saying something about "best intentions."
30/08/2006 15:52
 
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Se non si è capito credo che a ideali siamo tutti d'accordo.
La divergenza di opinione sta nel modo in cui si vorrebbero applicare questi ideali alla relatà, e in quanto lo siano poi in effetti realmente applicabili.

Non tu m@ite perchè non ti conosco, ma c'è tanta gente che ragiona così ed è pronta a tacciare di razzismo a destra e a manca, poi la loro firma è la prima in alto nella petizione per non spostare un campo nomadi da A a B. Essendo loro ovviamente abitanti di C, che notoriamente si trova di fianco a B.

Apprezzo molto bogey che dice che non sa come far convivere ideali e realtà.


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Oh, I'm sorry. Did that break your concentration?
I didn't mean to do that.
Please, continue.
I believe you were saying something about "best intentions."
30/08/2006 17:03
 
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Scritto da: Piccolo Lupo TdC 30/08/2006 10.17
e poi a dirla tutta se proprio deve essere non abbiam bisogno di culi da far sedere ma di gente che si rimbocchi le maniche e rispetti le leggi.



Certo che se si guardano solo quei 10 delinquenti e non si bada, invece, ai 50 che lavorano e che cercano di migliorare la loro vita,allora ti credo che nessuno li voglia.


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"Non puoi chiedermi quanto puoi rubare della mia anima, lo puoi solo scoprire."

30/08/2006 17:08
 
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Re:

Scritto da: lucaciccio 30/08/2006 10.42
Se non erro la legge prevede che si debba avere un contratto di lavoro prima di entrare in italia...



Da qui l'impossibilità ad entrare in Italia legalmente.
In fondo la legge Bossi-Fini è stata fatta con l'intento di far entrare meno stranieri possibili..


<-------------------------->


"Non puoi chiedermi quanto puoi rubare della mia anima, lo puoi solo scoprire."

30/08/2006 18:51
 
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Re:

Scritto da: dudok76 30/08/2006 15.47
La frase di bogey è storicamente inconfutabile.

Maite isolandola dal cotesto intendi dire che il motivo per cui tu lascieresti entrare tutti indistintamente è perchè gli americani si sono tirati in casa un po' di nostri mafiosi?

[Modificato da dudok76 30/08/2006 15.48]




No, li lascerei entrare perchè fuggono da situazioni di vita insostenibili. e perchè se dovessi averne bisogno io non vorrei trovare un muro di filo spinato ad ogni frontiera.
ho isolato la frase dal contesto per evidenziare il fatto che sappiamo benissimo che non tutti gli italiani erano e sono delinquenti, ma ce n'erano e ce ne sono tanti.
ora voglio proprio essere banale e concludo dicendo: tutto il mondo è paese.


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31/08/2006 06:21
 
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Re:

Scritto da: .bogey. 30/08/2006 14.18
Penso che é complesso pensarci.

Da un lato, visceralmente, vediamo attaccate le nostre sicurezze sociali, dall'altro non possiamo certo pensare di affondare queste imbarcazioni prima che tocchino terra (qualcuno magari lo pensa anche, però).
(E del resto le mie sicurezze sociali le vedo attaccate anche dalle frotte di milanesi (p.es.) che pensano che la montagna sia come piazza Duomo e che una ferrata sia una passeggiata in galleria, con tanto di scia di rifiuti, ma tant'è).

Da un lato abbiamo bisogno della loro forza lavoro (finiti i terroni le industrie del nord hanno bisogno di manodopera a basso costo per tirare avanti), dall'altro diciamo che manca il lavoro anche agli italiani (ma probabilmente domanda ed offerta non collimano per tipologia di impiego).

Assistiamo ad una sempre più crescente concentrazione della ricchezza, e sappiamo che le masse diseredate la si spostano, come é accaduto dalla vecchia Europa verso gli Stati Uniti. Ed essendo appunto masse diseredate non rappresentano certo il fior fiore della popolazione di provenienza, ci saranno i poveri onesti ma ci sono anche i poveri disonesti (e di poveri disonesti di provenienza italiana gli statunitensi ne sanno qualcosa).

Abbiamo gioito alla caduta del muro di Berlino, abbiamo gioito per libertá conquistata dalle popolazioni dell'Europa orientale, peró adesso pensiamo a come costruire un muro attorno all'Italia per impedire che troppi visitatori ci degnino della loro visita. (Forse era meglio il pericolo rosso alla invasione di albanesi, rumeni, slavi e forzate prostitute al seguito?).

Lo so, non offro soluzioni, solo incongruenze, ma è perché faccio fatica ad avere idee chiare in proposito, faccio fatica a mettere d’accordo ideali e realtà, e mi stupisco (o mi congratulo anche) con chi ha idee più chiare delle mie.

Neanche io ho soluzioni ma sicuramente mettere un freno a tutte queste situazioni di entrata libera penso sia già una mezza soluzione e non sbagliata per evitare il collasso e far sì che ci siano poi 100 a delinquere e uno a lavorare onestamente, visto che il problema è mondiale la comunità internazionale dovrebbe dividersene un po il compito altrimenti son cazzi amari.
05/09/2006 10:46
 
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da L'Espresso
Io schiavo in Puglia
di Fabrizio Gatti
Sottopagati. Alloggiati in luridi tuguri. Massacrati di botte se protestano. Diario di una settimana nell'inferno. Tra i braccianti stranieri nella provincia di Foggia

Il padrone ha la camicia bianca, i pantaloni neri e le scarpe impolverate. È pugliese, ma parla pochissimo italiano. Per farsi capire chiede aiuto al suo guardaspalle, un maghrebino che gli garantisce l'ordine e la sicurezza nei campi. "Senti un po' cosa vuole questo: se cerca lavoro, digli che oggi siamo a posto", lo avverte in dialetto e se ne va su un fuoristrada. Il maghrebino parla un ottimo italiano. Non ha gradi sulla maglietta sudata. Ma si sente subito che lui qui è il caporale: "Sei rumeno?". Un mezzo sorriso lo convince. "Ti posso prendere, ma domani", promette, "ce l'hai un'amica?". "Un'amica?". "Mi devi portare una tua amica. Per il padrone. Se gliela porti, lui ti fa lavorare subito. Basta una ragazza qualunque". Il caporale indica una ventenne e il suo compagno, indaffarati alla cremagliera di un grosso trattore per la raccolta meccanizzata dei pomodori: "Quei due sono rumeni come te. Lei col padrone c'è stata". "Ma io sono solo". "Allora niente lavoro".

Non c'è limite alla vergogna nel triangolo degli schiavi. Il caporale vuole una ragazza da far violentare dal padrone. Questo è il prezzo della manodopera nel cuore della Puglia. Un triangolo senza legge che copre quasi tutta la provincia di Foggia. Da Cerignola a Candela e su, più a Nord, fin oltre San Severo. Nella regione progressista di Nichi Vendola. A mezz'ora dalle spiagge del Gargano. Nella terra di Giuseppe Di Vittorio, eroe delle lotte sindacali e storico segretario della Cgil. Lungo la via che porta i pellegrini al megasantuario di San Giovanni Rotondo. Una settimana da infiltrato tra gli schiavi è un viaggio al di là di ogni disumana previsione. Ma non ci sono alternative per guardare da vicino l'orrore che gli immigrati devono sopportare.

Sono almeno cinquemila. Forse settemila. Nessuno ha mai fatto un censimento preciso. Tutti stranieri. Tutti sfruttati in nero. Rumeni con e senza permesso di soggiorno. Bulgari. Polacchi. E africani. Da Nigeria, Niger, Mali, Burkina Faso, Uganda, Senegal, Sudan, Eritrea. Alcuni sono sbarcati da pochi giorni. Sono partiti dalla Libia e sono venuti qui perché sapevano che qui d'estate si trova lavoro. Inutile pattugliare le coste, se poi gli imprenditori se ne infischiano delle norme. Ma da queste parti se ne infischiano anche della Costituzione: articoli uno, due e tre. E della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Per proteggere i loro affari, agricoltori e proprietari terrieri hanno coltivato una rete di caporali spietati: italiani, arabi, europei dell'Est. Alloggiano i loro braccianti in tuguri pericolanti, dove nemmeno i cani randagi vanno più a dormire. Senza acqua, né luce, né igiene. Li fanno lavorare dalle sei del mattino alle dieci di sera. E li pagano, quando pagano, quindici, venti euro al giorno. Chi protesta viene zittito a colpi di spranga. Qualcuno si è rivolto alla questura di Foggia. E ha scoperto la legge voluta da Umberto Bossi e Gianfranco Fini: è stato arrestato o espulso perché non in regola con i permessi di lavoro. Altri sono scappati. I caporali li hanno cercati tutta notte. Come nella caccia all'uomo raccontata da Alan Parker nel film 'Mississippi burning'. Qualcuno alla fine è stato raggiunto. Qualcun altro l'hanno ucciso.

Adesso è la stagione dell'oro rosso: la raccolta dei pomodori. La provincia di Foggia è il serbatoio di quasi tutte le industrie della trasformazione di Salerno, Napoli e Caserta. I perini cresciuti qui diventano pelati in scatola. Diventano passata. E, i meno maturi, pomodori da insalata. Partono dal triangolo degli schiavi e finiscono nei piatti di tutta Italia e di mezza Europa. Poi ci sono i pomodori a grappolo per la pizza. Gli altri ortaggi, come melanzane e peperoni. Tra poco la vendemmia. Gli imprenditori fanno finta di non sapere. E a fine raccolto si mettono in coda per incassare le sovvenzioni da Bruxelles. 'L'espresso' ha controllato decine di campi. Non ce n'è uno in regola con la manodopera stagionale. Ma questa non è soltanto concorrenza sleale all'Unione europea. Dentro questi orizzonti di ulivi e campagne vengono tollerati i peggiori crimini contro i diritti umani.
Non ci vuole molto per entrare nel mercato più sporco dell'Europa agricola. Qualche nome inventato da usare di volta in volta. Una fotocopia del decreto di respingimento rilasciato un anno fa a Lampedusa dal centro di detenzione per immigrati. E la bicicletta, per scappare il più lontano possibile in caso di pericolo. Il caporale che pretende una ragazza in sacrificio controlla la raccolta dei perini a Stornara. Uno dei primi campi a sinistra appena fuori paese, lungo il rettilineo di afa che porta a Stornarella. Meglio lasciar perdere. Per arrivare fin qui bisogna pedalare sulla statale 16 e poi infilarsi per dieci chilometri negli uliveti. Il borgo è una piccola isola di case nell'agro. Alla stazione di Foggia, Mahmoud, 35 anni, della Costa d'Avorio, aveva detto che quaggiù la raccolta, forse, è già cominciata. Lui, che dorme in una buca dalle parti di Lucera, è senza lavoro: lì a Nord i pomodori devono ancora maturare. Così Mahmoud campa vendendo informazioni agli ultimi arrivati in treno. In cambio di qualche moneta.

Oggi dev'essere la giornata più torrida dell'estate. Quarantadue gradi, annunciavano i titoli all'edicola della stazione. Sperduta nei campi appare nell'aria bollente una stalla abbandonata. È abitata. Sono africani. Stanno riposando su un vecchio divano sotto un albero. Qualcuno parla tamashek, sono tuareg. Un saluto nella loro lingua aiuta con le presentazioni. La segregazione razziale è rigorosa in provincia di Foggia. I rumeni dormono con i rumeni. I bulgari con i bulgari. Gli africani con gli africani. È così anche nel reclutamento. I caporali non tollerano eccezioni. Un bianco non ha scelta se vuole vedere come sono trattati i neri. Bisogna prendere un nome in prestito. Donald Woods, sudafricano. Come il leggendario giornalista che ha denunciato al mondo gli orrori dell'apartheid. "Se sei sudafricano resta pure", dice Asserid, 28 anni. È partito da Tahoua in Niger nel settembre 2005. È sbarcato a Lampedusa nel giugno 2006. Racconta che è in Puglia da cinque giorni. Dopo essere stato rinchiuso quaranta giorni nel centro di detenzione di Caltanissetta e alla fine rilasciato con un decreto di respingimento. Asserid ha attraversato il Sahara a piedi e su vecchi fuoristrada. Fino ad Al Zuwara, la città libica dei trafficanti e delle barche che salpano verso l'Italia. "In Libia tutti gli immigrati sanno che gli italiani reclutano stranieri per la raccolta dei pomodori. Ecco perché sono qui. Questa è solo una tappa. Non avevo alternative", ammette Asserid: "Ma spero di risparmiare presto qualche soldo e di arrivare a Parigi". Adama, 40 anni, tuareg nigerino di Agadez, ha fatto il percorso inverso. A Parigi è atterrato in aereo, con un visto da turista. Poi gli è andata male. Dalla Francia l'hanno espulso come lavoratore clandestino. Ed è sceso in Puglia, richiamato dalla stagione dell'oro rosso. "Questo è l'accampamento tuareg più a Nord della storia", ride Adama. Ma c'è poco da ridere. L'acqua che tirano su dal pozzo con taniche riciclate non la possono bere. È inquinata da liquami e diserbanti. Il gabinetto è uno sciame di mosche sopra una buca. Per dormire in due su materassi luridi buttati a terra, devono pagare al caporale cinquanta euro al mese a testa. Ed è già una tariffa scontata. Perché in altri tuguri i caporali trattengono dalla paga fino a cinque euro a notte. Da aggiungere a cinquanta centesimi o un euro per ogni ora lavorata. Più i cinque euro al giorno per il trasporto nei campi. Lo si vede subito quanto è facile il guadagno per il caporale. Alle due e mezzo del pomeriggio arriva con la sua Golf. E la carica all'inverosimile. "Davvero questo è africano?", chiede agli altri davanti all'unico bianco. Nessuno sa dare risposte sicure. "Io pago tre euro l'ora. Ti vanno bene? Se è così, sali", offre l'uomo, calzoncini, canottiera e sul bicipite il tatuaggio di una donna in bikini ritratta di schiena.

Si parte. In nove sulla Golf. Tre davanti. Cinque sul sedile dietro. E un ragazzo raggomitolato come un peluche sul pianale posteriore. Solo per questo trasporto di dieci minuti il caporale incasserà quaranta euro. I ragazzi lo chiamano Giovanni. Loro hanno già lavorato dalle 6 alle 12.30. La pausa di due ore non è una cortesia. Oggi faceva troppo caldo anche per i padroni perché rinunciassero a una siesta. Giovanni si presenta subito dopo, guardando attraverso lo specchietto retrovisore: "Io John e tu?". Poi avverte: "John è bravo se tu bravo. Ma se tu cattivo...". Non capisce l'inglese né il francese. E questo basta a far cadere il discorso. Ma il pugnale da sub che tiene bene in vista sul cruscotto parla per lui. Amadou, 29 anni, nigerino di Filingue, rivela lo stato d'animo dei ragazzi: "Giovanni, oggi è venerdì e non ci paghi da tre settimane. Ormai stiamo finendo le scorte di pasta. Da quindici giorni mangiamo solo pasta e pomodoro. I ragazzi sono sfiniti. Hanno bisogno di carne per lavorare". I tre euro l'ora promessi erano solo una bugia. Ma Giovanni promette ancora. Quando risponde dice sempre: "Noi turchi". Anche se la targa della macchina è bulgara. E per il suo accento potrebbe essere russo oppure ucraino. "Ti giuro su Dio", continua il caporale, "oggi arrivano i soldi e vi paghiamo. Tu mi devi credere. Io lavoro come te a Stornara. Non prendo in giro i miei colleghi". Giovanni abita alla periferia. Un villino di mattoni sulla destra, a metà del rettilineo per Stornarella. Quasi di fronte a un'altra stalla pericolante senz'acqua, riempita di materassi e schiavi.
La Golf stracarica corre e sbanda sulla stretta provinciale per Lavello. Il contachilometri segna 100 all'ora. Una follia. Alle prime aziende agricole del paese, Giovanni svolta a destra dentro una strada sterrata. Altri due chilometri e si è arrivati. Si prosegue a piedi, in fila indiana. Il campo è tra due vigneti. Questi pomodori vanno raccolti a mano. Quando il padrone vede arrivare il gruppo di africani, imita il verso delle scimmie. Poi dà gli ordini con gli insulti resi celebri dal vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli: "Forza bingo bongo". Nello stesso istante un furgone scarica nove rumeni. Tra loro tre ragazze, le uniche nella squadra. Si lavora a testa bassa. Guai ad alzare lo sguardo: "Che cazzo c'è da guardare? Giù e raccogli", urla il padrone avvicinandosi pericolosamente. Si chiama Leonardo, una trentina d'anni. È pugliese. Indossa bermuda, canottiera e occhiali da sole alla moda come se fosse appena rientrato dalla spiaggia. Da come parla è il proprietario dell'azienda agricola. O forse è il figlio del proprietario. Si occupa della manodopera. Una sorta di comandante dei caporali. La sua azienda è a una decina di chilometri, alle porte di Stornara. Proprio sulla strada che Giovanni percorre per portare gli schiavi al campo. Leonardo si fa aiutare da un altro italiano, il caporale dei rumeni. Uno con la maglietta bianca, i capelli lunghi e i baffetti curati. Il terzo italiano è probabilmente il compratore del raccolto. Magro. Capelli biondi corti. Telefonino appeso al petto in fondo a una catena d'oro. Parla con un forte accento napoletano. Parcheggia il suo Suv e si fa subito sentire. Qualcuno ha appoggiato per sbaglio le cassette piene sulle piante di pomodoro. E lui grida come un pazzo: "Il primo che rimette una cassetta sulle piante, com'è vero Gesù Cristo, gliela spacco sulla testa". I tre italiani sudano. Ma solo per il caldo. Oltre a sorvegliare i loro schiavi, non fanno assolutamente nulla.

Giovanni va a recapitare altri braccianti. Poi torna due volte con i rifornimenti d'acqua. Quattro bottiglie di plastica da un litro e mezzo da far bastare nelle gole di 17 persone assetate. Sono bottiglie riempite chissà dove. Una zampilla da un buco e arriva quasi vuota. L'acqua ha un cattivo odore. Ma almeno è fresca. Comunque non basta. Due sorsi d'acqua in oltre quattro ore di lavoro a quaranta gradi sotto il sole non dissetano. La maggior parte dei ragazzi africani non ha nemmeno pranzato né fatto colazione. Così ci si arrangia mangiando pomodori verdi di nascosto dai caporali. Anche se sono pieni di pesticidi e veleni. E forse è proprio per questo che sulla pelle, per giorni, non comparirà più nemmeno una puntura di zanzara.

Leonardo vuole sapere com'è che in Africa ci siano i bianchi. Gira tra le schiene curve come un professore tra i banchi. E dà il permesso a Mohamed, 28 anni, un ragazzo della Guinea. Per smettere di lavorare o parlare, qui bisogna sempre chiedere il permesso. Mohamed sa bene perché ci sono i bianchi in Sudafrica. È laureato in scienze politiche e relazioni internazionali all'Università di Algeri. Parla italiano, inglese, francese e arabo. E risponde rimanendo in ginocchio, davanti a quell'italiano che confessa senza pudore di non aver mai sentito parlare di Nelson Mandela. "Avete capito?", ripete dopo un po' Leonardo agli altri due italiani: "In Italia quelli chiari stanno al Nord mentre noi al Sud siamo scuri. In Africa invece al Sud sono bianchi e questi qua del Nord sono neri".

L'incidente accade all'improvviso. Michele è il più anziano tra i rumeni. Ha una sessantina d'anni, i capelli grigi. Sta caricando cassette piene sul rimorchio del trattore. Il legno è troppo sottile, è secco. E una cassetta si sfonda rovesciando dodici chili di pomodori. Michele non fa in tempo ad abbassarsi a raccoglierli. Leonardo, con la mano chiusa a pugno, lo colpisce. Una sventola sulla testa. "Stai attento, coglione", urla, "credi che noi stiamo ad aspettare mentre tu butti le cassette?". Michele forse chiede scusa. È troppo stanco e offeso per parlare ad alta voce. "Scusa un cazzo", continua Leonardo, "devi stare più attento". Ci fermiamo tutti a guardare. Una ragazza si alza in piedi per protesta. Quello con l'accento napoletano accorre come una furia: "Giù, non è successo niente. Giù o stasera non si va a casa finché non si finisce". Come se questi ragazzi avessero una casa.
Michele ritorna a caricare il rimorchio aiutato da altri rumeni. Ma dopo mezz'ora è ancora seduto a terra. Si tiene la testa. Perde molto sangue dal naso. Un suo compagno di lavoro spreme un pomodoro maturo per bagnarli la fronte. Cosa ha fatto lo spiega a Leonardo l'uomo con i baffetti curati: "Ho dovuto spaccargli una pietra in mezzo agli occhi. Ho dovuto. Quello stronzo se l'è presa con me perché tu prima l'hai picchiato. E poi perché stasera non ci sono i soldi per pagarli. Ma che c'entro io? Lui ha raccolto una pietra e io gliel'ho tolta dalle mani. Tu pensa se un rumeno di merda mi deve minacciare". Leonardo sorride.

Si smette solo quando il sole va a nascondersi dietro i monti Dauni. Michele sta meglio. I rumeni si raccolgono intorno al loro caporale. Giovanni scatta una foto ai suoi ragazzi. Serve per i pagamenti e per scoprire se qualcuno scappa dal gruppo. Poi fa firmare il registro con le ore lavorate. Oggi si finisce prima del solito. Il perché lo racconta il caporale ad Amadou, in macchina durante il ritorno: "Ci sono in giro i carabinieri". Giovanni segnala un campo di pomodori lungo la strada: "Vedi qua? Questo pomeriggio i carabinieri sono venuti a prendere dei miei ragazzi. Io lavoro anche qui. Africani come te e rumeni. Li hanno portati via per il rimpatrio. Ma non avere paura, il campo dove lavorate voi", dice indicandosi le spalle come se avesse i gradi, "è controllato dalla mafia". Succede spesso quando è giorno di paga. A volte sono gli stessi padroni a chiamare vigili, polizia o carabinieri e a segnalare gli immigrati nelle campagne. Basta una telefonata anonima. Così i caporali si tengono i loro soldi. E la prefettura aggiorna le statistiche con le nuove espulsioni.

Amadou però fa notare che nemmeno oggi i ragazzi verranno pagati: "Tu sei musulmano?", chiede Giovanni: "Sì? Allora io ti giuro su Allah che la prossima settimana vi pago tutti. E se avete bisogno di carne, ti giuro che vi invito tutti a casa mia. Ovviamente la prossima settimana. Quando potrete pagare la carne".

Il 14 maggio 1904 qua vicino la polizia attaccò una manifestazione di braccianti. C'era anche il giovane Giuseppe Di Vittorio. Morirono in quattro quel giorno. Tra le vittime Antonio Morra, 14 anni, amico d'infanzia del futuro leader sindacale. Adesso le proteste vengono spente prima che possano dilagare. I caporali agiscono come una polizia parallela. Gli imprenditori si rivolgono a loro se ci sono problemi. A cominciare dall'imposizione delle regole: "Domani mattina vengo a prendervi alle cinque", annuncia Giovanni dopo aver scaricato i suoi passeggeri. Sono quasi le dieci di sera ormai. Calcolando una doccia improvvisata con l'acqua del pozzo e la misera cena, restano appena cinque ore di sonno. I ragazzi africani spiegano subito le sanzioni. Chi si presenta tardi, una volta al campo viene punito a pugni. Chi non va a lavorare deve versare al caporale la multa. Anche se si ammala. Sono venti euro, praticamente un giorno di lavoro gratis.

Una cinquantina di chilometri più a nord, stesse storie. La carta stradale indica Villaggio Amendola. Era un borgo agricolo. Ora è solo un paese fantasma riempito da immigrati rumeni e bulgari ridotti in schiavitù. Come l'ex zuccherificio di Rignano o il Ghetto che la sera, al suono della township music, sembra Soweto. Al Villaggio Amendola perfino la chiesa abbandonata è stata riempita di materassi. Qui il cento per cento degli abitanti non è italiano. Tutti raccoglitori. E tutti stranieri. Tranne una. Giuseppina Lombardo, 51 anni. Viene dalla Calabria. Per gli agricoltori del posto è una santa donna. Lei e il suo amico tunisino che si fa chiamare Asis sono capaci di mettere insieme una squadra di raccoglitori di pomodori in meno di mezz'ora. Giuseppina e Asis con gli schiavi ci campano. L'unico pozzo di Villaggio Amendola è loro. L'acqua è inquinata ma la vendono ugualmente: cinquanta centesimi una tanica da 20 litri. Anche l'unico negozio del borgo è loro. Hanno bottiglie di minerale, se uno proprio non vuole perdere la giornata per la dissenteria. E hanno carne e pollame: "A prezzi maggiorati del cento per cento e di dubbia qualità", dicono gli abitanti. Non è facile infiltrarsi come immigrato in questo ghetto e vincere la paura dei suoi prigionieri. Perché Asis, come tutti i caporali, non perdona chi parla. Lui e la sua compagna qui sono l'unica legge. Chi c'era si ricorda bene cosa è successo la settimana di Pasqua del 2005. Quel pomeriggio un ragazzo rumeno, 22 anni, arrivato da appena quattro giorni, torna al Villaggio Amendola con i sacchetti della spesa. È stato a Foggia e cammina davanti al negozio del caporale con quello che si è procurato. Una bottiglia d'olio, un po' di pasta. Il testimone che parla con 'L'espresso' è convinto che Asis abbia considerato quel gesto una ribellione al suo controllo. I rumeni raccontano di aver visto poco dopo due uomini affrontare il nuovo arrivato. Uno, secondo i testimoni, è parente di Asis. Con una spranga lo centrano in mezzo alla testa. Un colpo solo. Poi trascinano il corpo sanguinante e semisvenuto su un furgone. Nessuno al villaggio rivedrà più quel ragazzo.
Lo stesso accade il 20 luglio di quest'anno. Il giorno prima Pavel, 39 anni, ha una discussione con Giuseppina Lombardo. Gli sono caduti quindici euro nel negozio e lei crede che glieli abbia rubati dalla cassa. Pavel in Romania faceva il cuoco per 150 euro al mese. Dal 20 marzo 2004, quando è arrivato in Puglia, sopporta violenze e angherie. Lo fa per mandare quanto risparmia alla moglie e alla sua "fata", la figlia studentessa, che ha 15 anni. Pavel ha braccia veloci. L'anno scorso è riuscito a riempire fino a 15 cassoni al giorno: 45 quintali di pomodori, lavorando dall'alba a notte. Con il cottimo a 3 euro a cassone, era una buona paga secondo lui: tolti il trasporto al campo e la tangente per il caporale, Pavel riusciva a guadagnare anche 25 o 30 euro al giorno. Ma il 20 luglio Asis gli impedisce di ripetere il record. Qualcuno gli ha riferito che Pavel ha protestato per la faccenda dei soldi e per lo sfruttamento dei braccianti. Il tunisino lo colpisce nel sonno, in una giornata senza lavoro, alle due del pomeriggio. Pavel si protegge la testa con le braccia. La sbarra di ferro gli rompe le ossa e apre profonde ferite nella carne.

Lui è sicuro di non essere stato ucciso soltanto per l'intervento dei suoi compagni di stanza. Ma lo lasciano lì a sanguinare sul materasso fino all'una di notte. Gli altri stranieri hanno troppa paura di Asis. Anche di chiamare la polizia e correre il rischio di essere rimpatriati. Alle otto di sera qualcuno finalmente telefona di nascosto all'ospedale. L'ambulanza e una pattuglia dei carabinieri, al Villaggio Amendola, arrivano soltanto cinque ore dopo. Così è andata, secondo la denuncia.

Il 31 luglio Pavel viene dimesso dall'ospedale di Foggia. È stato operato da appena quattro giorni. Ha quasi due mesi di prognosi. Ferri e chiodi nelle ossa. Le braccia ingessate. Medici e infermieri lo consegnano alla polizia, violando il codice deontologico. E in questura lo trattano da clandestino. Anche se dal primo gennaio 2007 tutti i rumeni potrebbero essere cittadini dell'Unione europea. Con le braccia immobilizzate, Pavel non riesce a impugnare la penna. Il 'Primo dirigente dottoressa Piera Romagnosi', siglando la notifica del decreto di espulsione, scrive che lui 'si rifiuta di firmare'. Anche la prefettura di Foggia va per le spicce: nel decreto di espulsione annota che Pavel è 'sprovvisto di passaporto'. Un'aggravante. Eppure Pavel il passaporto ce l'ha. Alla fine, non trovando alternative, un ispettore gli dona dieci euro. E una macchina della questura lo riporta al Villaggio Amendola. Lo scaricano davanti al negozio di Giuseppina e Asis. Il tunisino se ne occupa subito. Vuole dimostrare a tutti chi comanda. Minaccia Pavel e lui va a rifugiarsi in un casolare a un chilometro dal villaggio. Qualche connazionale gli porta in segreto un po' di pane e da bere. Dopo nove giorni di dolori e sofferenze un amico rumeno riesce a contattare un avvocato di Foggia, Nicola D'Altilia, ex poliziotto al Nord. L'avvocato trova il casolare. Incontra Pavel e lo riporta immediatamente in ospedale. Le ferite sono infette. Il bracciante rumeno è grave. Denutrito. Viene ricoverato per setticemia. Il resto è cronaca degli ultimi giorni. Il 21 agosto Pavel è di nuovo dimesso dall'ospedale. Va in questura a completare la denuncia contro il caporale tunisino e la sua complice italiana, che era riuscito a presentare al posto di polizia del pronto soccorso soltanto il 14 agosto. Lo accompagna l'avvocato che l'ha salvato. Ma dopo una giornata in questura, la Procura fa arrestare Pavel come immigrato clandestino: non ha rispettato il decreto di espulsione che, così è scritto, lo obbligava a lasciare l'Italia dall'aeroporto di Roma Fiumicino. Non importa se in quelle condizioni comunque non avrebbe potuto viaggiare. Lo costringono a dormire su una panca di legno nelle camere di sicurezza. Nonostante le operazioni, le ossa rotte e le ferite ancora fresche.

Il giorno dopo si apre il processo, immediatamente rinviato a ottobre. Oltre ad aver perso il lavoro, grazie alla legge Bossi-Fini Pavel rischia da uno a quattro anni di prigione. Più di quanto potrebbe prendersi il suo caporale che intanto resta libero. "Quell'uomo", racconta Pavel terrorizzato, "mirava alla testa. Voleva uccidermi".
Qualche bracciante morto da queste parti l'hanno già trovato. Slavomit R., polacco, aveva 44 anni quando è stato bruciato il 2 luglio 2005 in un campo a Stornara. Un caso irrisolto. Come quello di due cadaveri mai identificati abbandonati a Foggia. Le scomparse sono un altro capitolo dell'orrore. Nessuno sa quanti siano i lavoratori rumeni, bulgari o africani spariti. I caporali, quando li ingaggiano o li massacrano di botte, non sanno nemmeno come si chiamano. Gli unici casi sono stati scoperti grazie alle denunce dell'ambasciata di Polonia. Hanno dovuto insistere i diplomatici di Varsavia. È dal 2005 che cercano notizie di tredici connazionali. Erano venuti a lavorare come stagionali nel triangolo degli schiavi. E non sono più tornati a casa. L'elenco compilato in agosto dal consolato sulle ricerche delle persone scomparse non rende onore all'Italia. Su dodici "richieste indirizzate alla questura di Foggia", l'ambasciata ha dovuto prendere atto che per nove casi non c'è stata "nessuna risposta da parte della questura". Dopo mesi di inutile attesa l'appello è stato girato al Comando generale dei carabinieri. E, attraverso gli investigatori del Ros, la Procura antimafia di Bari ha finalmente aperto un'inchiesta.

Nessuno sta invece indagando sulla morte di un bambino. Perché quello che è successo apparentemente non è reato. Il piccolo sarebbe nato a fine settembre. Liliana D., 20 anni, quasi all'ottavo mese di gravidanza, la settimana di Ferragosto arranca con il suo pancione tra piante di pomodoro. La fanno lavorare in un campo vicino a San Severo. Né il marito, né il caporale, né il padrone italiano pensano a proteggerla dal sole e dalla fatica. Quando Liliana sta male, è troppo tardi. Ha un'emorragia. Resta due giorni senza cure nel rudere in cui abita. Gli schiavi della provincia di Foggia non hanno il medico di famiglia. Sabato 18 agosto, di pomeriggio, il marito la porta all'ospedale a San Severo. La ragazza rischia di morire. Viene ricoverata in rianimazione. Il bimbo lo fanno nascere con il taglio cesareo. Ma i medici già hanno sentito che il suo cuore non batte più. Anche lui vittima collaterale. Di questa corsa disumana che premia chi più taglia i costi di produzione.

L'industria alimentare campana paga i pomodori pugliesi da 4 a 5 centesimi al chilo. Sulle bancarelle lungo le strade di Foggia i perini salgono già a 60 centesimi al chilo. A Milano 1,20 euro quelli maturi da salsa e 2,80 euro al chilo quelli ancora dorati. Al supermercato la passata prodotta in Campania costa da 86 centesimi a 1,91 euro al chilo. I pelati da 1,04 a 3 euro al chilo. Eppure, nel ghetto di Stornara, nemmeno stasera che il mese è quasi finito ci sono i soldi per comprare un pezzo di carne. "Donald, non te ne andare", si fa avanti Amadou, "Giovanni è molto arrabbiato con te perché hai lasciato il gruppo. Ti sta cercando, vado a dirgli che sei qui". Nel fondo di questa miseria, Amadou sa già con chi stare. Tra tanti uomini costretti a inginocchiarsi, lui ha scelto i caporali. È il momento di prendere la bici e scappare. Nel buio. Prima che Giovanni decida di chiamare i suoi sgherri. E di dare il via alla caccia nei campi.


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Where were you last night?
That's so long ago, I don't remember.
Will I see you tonight?
I never make plans that far ahead.
05/09/2006 10:50
 
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A casa loro.Rispedirli a casa.Anzi non farli nemmeno entrare.
05/09/2006 11:35
 
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Scritto da: -dianina- 05/09/2006 10.50
A casa loro.Rispedirli a casa.Anzi non farli nemmeno entrare.




Perchè cosi' secca?
05/09/2006 12:14
 
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forse perchè sono poco tollerante.
forse perchè mi sono rotta le palle di pagare le tasse per mantenere nullafacenti.
Mia cugina ha subito un furto in villa,ed erano albanesi.
Mi hanno bocciato l'auto,ed era un ucraino ubriaco.
05/09/2006 12:36
 
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Scritto da: -dianina- 05/09/2006 12.14
forse perchè sono poco tollerante.
forse perchè mi sono rotta le palle di pagare le tasse per mantenere nullafacenti.
Mia cugina ha subito un furto in villa,ed erano albanesi.
Mi hanno bocciato l'auto,ed era un ucraino ubriaco.




Posso comprendere allora....
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