Segue il paragrafo del mio libro su rm 9,6... [cancellato da moderatore perchè OT in questa sezione]
A me il pezzo sembra estremamente equilibrato, ma accetto l'offerta di parlarne, ammesso che in questa sezione si seguano quei principi non dico scientifici, ma di civiltà totalmente assenti nelle altre sezioni.
Purtroppo la piattaforma del forum fa perdere tabulazioni e note. Il testo greco è facilmente reperibile in rete, qualcosa ho ribattuto senza accenti e spiriti.
Il Problema di Romani:9,5
Per la singolare varietà di traduzioni e di interpretazioni a cui questo brano si presta, sempre nel contesto paolino del rapporto tra Padre e Figlio, esso merita una trattazione a parte.
Letterale
... da essi proviene Cristo secondo la carne, colui che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
TNM
... dai quali [sorse] il Cristo secondo la carne: Dio, che è sopra tutti, [sia] benedetto per sempre. Amen.
L’importanza di questo brano è cruciale nella affermazione della divinità di Cristo, ed è per questo che esiste una vasta letteratura di critica a proposito. Tutto si gioca sulla mancanza, nei manoscritti greci più antichi, di una punteggiatura certa, che è stata variamente attribuita nei secoli. In particolare, l’inserimento di una separazione, sotto forma di punto, due punti, o punto e virgola, tra “carne” e “Dio” cambia radicalmente il senso della frase, rispetto alla lettura “tradizionale”.
Precisiamo subito che, fino al pieno medioevo l’interpretazione di questo brano è stata pressoché unanime, senza separazione tra la prima e la seconda parte del versetto, attribuendo così il sostantivo “θεος” (Dio) a Cristo, e dunque affermandone chiaramente la divinità.
Dal punto di vista grammaticale, essendo tutti i sostantivi concordabili, sono possibili almeno tre diverse letture, a seconda della punteggiatura che si vuole attribuire:
1. “…dai quali proviene Cristo secondo la carne, che è sopra ogni cosa, Dio bendetto in eterno. Amen”
2. “…dai quali proviene Cristo, secondo la carne. Dio che è sopra ogni cosa sia benedetto in eterno! Amen”
3. “…dai quali proviene Cristo secondo la carne, che è sopra ogni cosa. Dio sia benedetto in eterno! Amen”
Per ciò che concerne la punteggiatura nei manoscritti pervenutici, presentano un punto in alto (dopo s£rka) alcuni codici piuttosto recenti come il Codice Regio L (VIII secolo) ed i codici 0142 e 0151 (IX-X secolo). Un punto medio (corrispondente ad una pausa breve) è invece presente nei Codici Alessandrino (V secolo) e Vaticano (IV secolo) ed in alcuni codici minori. Mancano segni di interpunzione nel Codice Sinaitico (IV secolo) ed in altri codici e papiri autorevoli, mentre una virgola è presente nelle versioni Gotica (IV secolo), Siriaca-Peshitta (V secolo), Copta (VI secolo), Armena (VI secolo), Etiopica (VI secolo) e Harclensis (VI secolo). Nessuna indicazione chiara su dove si debba collocare la punteggiatura si trae, dunque, dall’esame dei codici , pertanto occorre cercare altrove strumenti utili per poter trarre delle conclusioni.
Uno di questi è lo studio della Patristica: sappiamo che alcuni applicarono la dossologia “Dio benedetto in eterno” al Padre (come Diodoro di Tarso e Fozio), mentre la maggior parte dei Padri la applicarono al Figlio (Ippolito, Tertulliano, Cipriano, Atanasio, Noviano, Ieromo, Basilio, Agostino, Novaziano, Didimo, Gregorio di Nissa, Giovanni Damasceno, Epifanio di Salamina, Teodoro, Eulogo, Teofilo, Teodoreto, Cassiano, Fulgenzio e altri). Particolarmente significativa appare la testimonianza di Ippolito, proprio per l’antichità di questa testimonianza. Egli, a proposito di Rm:9,5 afferma:
Consideriamo la parola dell'apostolo "dai patriarchi venne Cristo secondo la carne, Egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli". Queste parole dichiarano il mistero della verità giustamente e chiaramente. Colui che è sopra ogni cosa, è Dio; per questo Egli parla audacemente e dice: "tutto mi è stato dato dal Padre mio". Colui che è sopra ogni cosa, Dio benedetto, è nato, è divenuto uomo. Egli è quindi il Dio per sempre
Da Agostino apprendiamo che addirittura gli ariani attribuivano tale dossologia al Figlio:
Se è Dio anche il Figlio, come essi debbono ammettere, sia pure contro voglia, in forza delle parole dell’Apostolo: Egli è al di sopra di tutte le cose, Dio benedetto nei secoli…
Nonostante tutto, manca quel consensus universale tra gli stessi Padri tale da fugare ogni dubbio, e pertanto è necessario allargare gli orizzonti di studio a tutto il contesto paolino, onde poterne trarre indicazioni di ordine stilistico e teologico.
E’ utile, in tal senso, notare come nelle dossologie paoline, l’Apostolo sia alieno da forme asindotiche tra queste ed il contesto, ma anzi tenda a legare e ad integrare le dossologie con i periodi che le precedono. Così è per Rm:1,25 11,36; 2Cor:11,31; Gal:1,4-5; Eb:13,21; Ef:3,21; Fil:4,20, e non diversamente negli scritti “di scuola” paolina: 1Tim:1,17; 2Tim:4,18.
Altre notazioni sono possibili. Nelle dossologie della LXX rivolte al Padre l’aggettivo ”ευλογητος” (benedetto) precede sempre “θεος”(Dio) , cosa che avviene anche nelle analoghe forme semitiche. Ancora, il participio “ων”(essente), nel caso in cui la dossologia sia applicata al Padre, sembra pleonastico e inutile dal punto di vista grammaticale . In ultimo, è stato fatto notare come il sintagma “το {quello} κατα {secondo} σαρκα {la carne}” (che significa “per discendenza fisica”), richieda un qualche contrasto (cioè la natura divina di Cristo), a ulteriore giustificazione dell’attribuzione della dossologia al Figlio.
Dal punto di vista teologico, infine, se è vero che in Paolo non è attestato l’uso di “θεος”(Dio) ad indicare Cristo, alcuni brani della sua opera ne fanno comprendere comunque la liceità (1Cor:8,6 ; Fil:2,6), così come è più chiaro nell’opera dei suoi discepoli (Tt:2,13).
La conclusione che si può trarre da queste osservazioni è che non si può essere completamente certi in merito all’attribuzione della dossologia “Dio benedetto nei secoli”, ma gli elementi a favore dell’attribuzione al Figlio sono preponderanti sia in numero che in rilevanza rispetto a quelli a sostegno dell’attribuzione al Padre. La WTS, operando una scelta dettata ancora una volta dalla necessità di sostegno ad un preciso apparato teologico di stampo ariano, ha ritenuto lecito optare per la interpretazione meno probabile, ancorché possibile, di questo assai discusso brano.
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NOTE
La stessa interpretazione dei punti (in alto, medio, in basso) è controversa. Secondo opinioni autorevoli nei manoscritti più antichi il punto situato in basso corrispondeva al nostro punto e virgola, il punto situato in alto al vero e proprio punto ed il punto medio (situato in una zona intermedia della riga) aveva valore di pausa breve o virgola. In seguito il punto in alto avrebbe assunto funzione di punto e virgola (o di due punti), mentre il punto in basso sarebbe stato usato per introdurre una pausa lunga cioè un vero e proprio punto. Il punto medio si trasformò in virgola, mentre il punto e virgola continuò ad essere usato come punto interrogativo. A tal proposito vedansi, ad esempio, A. T. Robertson, A Grammar of the Greek New Testament: in the Light of Historical Research, Nashville, 1934, pag. 242 e Turner & Parsons, Greek Manuscripts of the Ancient World, 2nd ed, London, 1987, pag. 9.
Tra le testimonianze più autorevoli, si vedano: Ireneo, Adversus Haereses, III, 16; Ippolito, Contro Noezio, 6; Novaziano, De Regula Fidei, 13; Novaziano, De Trinitate, 30; Tertulliano, Adversus Praxeam, XIII, 9 e XV, 7; Cipriano, Testimonia ad Quirinum, II, 6; Agostino, De Trinitate, II, 13, 23, Agostino, Le Confessioni, VII, 18.
Ippolito, Omelia “dimostrazione contro i giudei”
Agostino, De Trinitate, II,13,23
con l’unica eccezione di Sal 68,19 TM (Salmo 67,19-20 della Septuaginta)
Metzger, op.cit., 1994, p.461
Cfr. Nuovo Grande Commentario Biblico, Queriniana, op.cit., pag.1121
[Modificato da barnabino 14/02/2008 18:18]