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Il fallo più brutto della storia

Ultimo Aggiornamento: 30/11/2023 13:43
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30/11/2023 13:34

Qual è il punto in cui la foga agonistica sfocia in violenza arbitraria?


Qualche settimana fa, parlando dell’opinionista Gary Neville, l’ex-calciatore inglese, conosciuto e ormai ricordato soprattutto per la sua violenza, Joey Barton – una volta ha spento un sigarillo nell’occhio di un compagno, un’altra volta è stato cacciato dalla tournée in Thailandia per aver menato Richard Dunne, suo capitano al Manchester City, perché gli impediva di menare un tifoso quindicenne che gli aveva dato un calcio negli stinchi – ha detto che quando Neville parla di un possibile cartellino rosso si indigna a tal punto che sembra arrapato.



Il caso ha voluto che proprio in quei giorni nel carosello social in moto perpetuo – una girandola di video e gif che continuerà anche dopo l’estinzione della specie, quando ogni risata si sarà spenta nel vuoto dell’universo – mi finisse davanti agli occhi quello che possibilmente, probabilmente, è “il fallo più brutto di tutti i tempi”.



Il caso vuole, anche, che quel giorno, mercoledì 23 agosto 2006, Joey Barton fosse in campo. Ma il fallo non lo ha fatto lui. Almeno questo:



Calcio Daniele Manusia 20 novembre 2023 12'
[Modificato da Pipallo 30/11/2023 13:43]
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30/11/2023 13:42

2006. Diciassette anni fa. Qualche lettore magari non era neanche nato, o era molto piccolo, io invece ero già piuttosto grande (25 anni) e avevo appena vinto la Coppa del Mondo. In ogni caso non parliamo del calcio delle origini ma di un calcio già moderno in cui Barton, ad esempio, poteva dichiarare non senza nostalgia che i suoi colleghi avevano dimenticato «la rabbia che gli ha fatto guadagnare i Rolex, le macchine, le ville».



Il fallo in questione è avvenuto all’inizio del secondo tempo della partita tra Manchester City e Portsmouth. Il minuto più o meno preciso, il 52esimo, non lo si può dedurre dal video, senza minutaggio, ma dalle cronache con le formazioni, guardando cioè la sostituzione del giocatore che quel fallo lo ha subito: Pedro Mendes, ventisettenne centrocampista portoghese cresciuto nel Vitoria Guimaraes (dove tornerà a fine carriera) e che prima di finire al Portsmouth era passato per Porto (dove con Mourinho aveva vinto Supercoppa portoghese, campionato e Champions League nella stagione 2003-04) e poi Tottenham.



Due anni prima, durante un Tottenham-Manchester United, aveva segnato un gol quasi da centrocampo. Il tiro era molto bello, ma corto, e lento, e ci è voluta la complicità del portiere avversario, Roy Carroll, per farlo finire in porta. Carroll è andato in presa sicura sul campanile e si è fatto incredibilmente sfuggire il pallone, salvo poi provare a toglierlo dalla porta. L’arbitro e il guardalinee, incredibilmente, ci sono cascati e il gol non è stato convalidato. Pedro Mendes è una così brava persona, con uno sguardo dolce e intenso da principe Disney e delle bellissime ciglia lunghe mezzo metro, che anche rivedendolo dopo la partita non riesce ad arrabbiarsi e la prende con una risata.



Certo, non proprio una persona fortunata.



Dicevamo, a inizio secondo tempo la palla esce dall’area di rigore del Portsmouth, dopo un calcio d’angolo battuto da destra che, respinto dalla difesa, si dirige verso il fallo laterale sinistro. Pedro Mendes supera il compagno Glenn Johnson per evitare che la palla esca, mentre dalla sua sinistra, da centrocampo, arriva a tutta velocità un giocatore del City.



Mendes arriva sulla palla per primo, sbilanciato, già praticamente a mezz’aria per calciare la palla di destro verso la metà campo – palla che, in effetti, calcia – ma il suo avversario non ci pensa neanche a prendere la palla e carica dritto per dritto contro di lui.



Sembra di vedere un toro che ignora il capote e va dritto sul torero che guarda in terra. Solo che in quel caso il capote è un’illusione, un trucco del torero, qui la palla dovrebbe essere il centro di tutto. E invece non lo è per Ben Thatcher, il terzino sinistro del Manchester City, e chissà cosa gli è passato per la testa in quel momento.



«Ho visto Ben correre a 110 miglia all’ora», ha detto Stuart Pearce, il suo allenatore, aggiungendo poi: «voglio che i miei giochino con intensità nella zona del pallone, ma qui il tackle è arrivato in leggero ritardo». «Appena ho visto che la palla andava verso l’angolo ho capito cosa sarebbe successo. Ci avrei scommesso la mia vita», ha detto invece Harry Redknapp, a quei tempi allenatore del Portsmouth.



A una prima visione del video sembra che l’impatto avvenga all’altezza del torace, o della spalla, ma riguardandolo si vede bene come Thatcher carichi Mendes non solo a tutta velocità ma anche con il gomito alto all’altezza del suo mento. Mendes crolla a terra come una bambola di pezza e scivola fino ai cartelloni pubblicitari.



Glenn Johnson, il più vicino, inizialmente sembra voler imbruttire Thatcher ma ci mette pochissimo a capire la situazione e, svuotato di ogni altro pensiero, fa segni verso le panchine e chiama a gran voce i soccorsi. Thatcher, con una faccia da cazzo che avevo visto solo ai cattivi nei film, sembra voler minimizzare, dire che non è niente, tutta scena. Sarà Mendes a essere troppo poco uomo, forse, dal suo punto di vista. E Thatcher se ne va, come se la cosa non lo riguardasse.



Sempre Redknapp ha detto: «Difficile trovare qualcuno più carino di Ben fuori dal campo, ma quando si gioca è capace di fare cose di questo tipo». Simile all’opinione di Matt Taylor, centrocampista del Portsmouth: «Ben come ragazzo mi sta simpatico, ma quello che ha fatto è sbagliato».



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30/11/2023 13:42

Sei anni prima, nel gennaio del 2000, quando ancora giocava con il Wimbledon, Ben Thatcher aveva colpito con una gomitata similmente violenta un giocatore del Sunderland, Nicky Summerbee, ma si era difeso dicendo di essere andato al duello per la palla in buona fede e che era stato Summerbee, semmai, a sfilarsi: «Se c’è stata una gomitata è stata senza dubbio involontaria».



La gomitata, be’, direi che c’è stata. Summerbee ha chiesto il cambio subito dopo, a mezz’ora dall’inizio, e la federazione inglese ha squalificato Thatcher per due giornate sulla base della prova video.







Il colpo di genio, forse un correlativo oggettivo dello spirito inglese più preciso dello stesso fallo di Thatcher, è l’arbitro che dopo aver verificato le condizioni di Mendes – a cui a bordo campo metteranno la maschera per l’ossigeno – decide di ammonirlo. D’altra parte anche i commentatori hanno definito il fallo «al limite del rosso». Chiedendo invece l’intervento della federazione, invece, Redknapp ha detto: «Che devi fare per farti espellere, ammazzare qualcuno?».



Mentre lo trasportavano in ospedale, come capita nei casi di forti traumi cranici, Pedro Mendes ha avuto le convulsioni. È stato ricoverato una notte e il mattino seguente (nel caso in cui ve lo steste chiedendo la partita è finita 0-0) ha preso un aereo e ha raggiunto il resto della squadra. Dell’incidente, dopo, non ricordava niente, neanche di aver mostrato ai dottori, sul proprio telefono, il numero della moglie per avvertirla e tenerla aggiornata. «La fortuna è che mia moglie non guarda mai le partite», ha riflettuto a posteriori Mendes.



Per molto tempo non ha voluto rivedere le immagini. Pochi anni fa ha detto che era stato il figlio a farglielo vedere su YouTube. «Il fatto è che non si è trattato di un intervento irruento o cose simili. Fosse stato un tackle fuori tempo magari avrei potuto accettarlo, ma questo non sarebbe dovuto succedere». Con la moglie, poi, ha parlato del futuro, se avrebbe dovuto continuare a giocare oppure no. Ma, dato che «una cosa del genere può succedere per strada, dovunque tu sia può succedere qualcosa», sedici giorni dopo era di nuovo in campo.



«La parte più difficile è stata superare quei piccoli momenti in allenamento in cui devi fare un’entrata, saltare di testa. Ho ricominciato ad allenarmi una settimana dopo e mi sono concentrato sul ritrovare fiducia».



Nel frattempo però i tifosi hanno protestato – ancora oggi online si trovano commenti tipo: “Questo per me non è neanche un fallo di gioco, è un’aggressione”; oppure: “Ricordo bene quando è successo, in diretta ho sinceramente pensato che Mendes fosse morto”. Il Manchester City ha sospeso Thatcher per sei partite, detraendo dal suo stipendio sei settimane, e alla fine la federazione lo ha squalificato per otto giornate, con un’ulteriore squalifica di 15 giornate sospesa per i successivi due anni, da attivare nel caso di un’altra condotta violenta. La polizia di Manchester ha indagato la questione ma Mendes – che brava persona – ha deciso di non sporgere denuncia.



In questa storia molte cose casuali non sembrano esserlo. Ad esempio l’allenatore del City, Stuart Pearce, è di fatto uno dei simboli della mascolinità che il calcio inglese vuole veder rappresentata nelle partite. Ex terzino sinistro appassionato di punk (compare anche in un video degli Stranglers), soprannominato “Psycho” e considerato tra i migliori al mondo per l’aggressività – famoso anche per aver sbagliato il rigore nella semifinale mondiale con la Germania nel ‘90, e per essersi rifatto a Euro ‘96 segnando il rigore nei quarti con la Spagna e poi, di nuovo, nella semifinale con la Germania, persa lo stesso ma stavolta non per colpa sua.



Almeno qui Pearce chiede scusa dopo aver provato ad amputare entrambe le gambe all’avversario.



Per giocatori come Pearce la violenza è un mezzo per arrivare a un risultato. «Non mi dispiaceva essere chiamato Psycho. Lo prendevo come un complimento da parte dei tifosi». Per lui fare il duro era come recitare, metteva in scena un’emozione che non provava veramente. Un modo come un altro per invertire il rapporto di forza. «Se il mio avversario pensava che ce l’avessi con lui, bene. Avrebbe pensato meno a quello che avrebbe dovuto fare lui e di più a quello che avrei fatto io».



Parliamo di uno che quando si è rotto la gamba a 37 anni – nel 1999, durante una partita tra il suo West Ham e il Watford, tra l’altro con Harry Redknapp in panchina ad allenarlo – ci ha giocato sopra fino a fine primo tempo. E poi negli spogliatoi si rifiutava di togliere lo scarpino (sapendo che non sarebbe riuscito a rimetterselo) per provare a giocare anche il secondo, ma quando è scesa l’adrenalina non riusciva più ad appoggiare la gamba a terra (rientrato in campo sei mesi dopo, dopo neanche tre partite si è rotto di nuovo la stessa gamba). Per Pearce entrare duro sugli avversari più forti era “segno di rispetto”.



Dopo aver rivisto il fallo di Thatcher, anche Pearce non ha cercato in nessun modo di minimizzare. Ci ha tenuto però ad assicurare al pubblico che Thatcher fosse dispiaciuto, che non c’era spavalderia in lui: «Ben è distrutto. Ha realizzato quanto fosse brutto il suo intervento e quando ci ho parlato la sua faccia era cinerea». Anche Pearce trovava che il fallo in questione peggiorasse ogni volta che lo si guardava e diceva che Thatcher ne era “disgustato”. La gente lo stava massacrando, ma non poteva certo lamentarsi.



Anni dopo Thatcher racconterà di non essersi reso conto della gravità della cosa, di non sapere neanche se lo avesse preso con il gomito o con la spalla, ma che a fine primo tempo il centrale del Portsmouth, Linvoy Primus (che grande nome) gli aveva consigliato di andarlo a trovare e chiedergli scusa. «“È così grave?”, gli ho chiesto io. “Sì è così grave”, mi ha risposto». Tornato a casa, Thatcher ha trovato la moglie a letto davanti alla tv su cui stavano trasmettendo le immagini del suo fallo: «Ma che hai fatto?», gli ha chiesto. Il padre, il giorno dopo, gli ha chiesto cosa gli fosse passato per il cervello.



Insomma Thatcher si è reso conto di quello che aveva fatto e quella notte non ha dormito. Il giorno dopo si è informato sulle condizioni di Mendes e gli ha scritto una lettera. Ha pensato di chiamarlo ma poi si è detto che se i ruoli fossero stati invertiti lui non avrebbe risposto. Ha scritto anche all’arbitro dell’incontro, Dermot Gallagher, si sentiva in colpa per le critiche che anche lui stava ricevendo per non averlo espulso.



Nel gennaio successivo, 2007, Thatcher viene ceduto al Charlton – aveva 31 anni, la sua carriera era agli sgoccioli – e la sua seconda partita con quella maglia è stata proprio fuori casa contro il Portsmouth. Prima di incontrarlo nuovamente Mendes ha detto che «il calcio è uno sport, non una guerra, e i calciatori dovrebbero dimostrare di essere dei professionisti, non dei guerrieri». Per lui Thatcher non esisteva, quello che gli aveva fatto rappresentava «il momento più brutto della mia carriera e voglio solo dimenticarlo». Ha aggiunto che non gli avrebbe stretto la mano ma poi, in campo, perché è troppo una brava persona, gliel’ha stretta.



Thatcher ha detto in seguito: «Non ci siamo parlati, gli ho solo chiesto scusa. Poi gli ho stretto la mano ma non ero sicuro che lui avrebbe fatto lo stesso». Mendes ricorderà in modo ancora più vago: «Penso che abbiamo giocato contro ancora una volta, magari a Fratton Park, ma non ci siamo parlati. Non ci avevo mai parlato prima del fallo, non ci ho mai parlato dopo».



In un’intervista del 2014 Thatcher ha detto che se potesse tornare indietro nel tempo cancellerebbe quel fallo dalla sua storia: «Se solo fossi andato sulla palla, invece di fare quello che ho fatto…». Dopo un anno e mezzo al Charlton, compreso di retrocessione in Championship, Thatcher ha giocato per due stagioni con l’Ipswich Town. Lì lo allenava un’altra leggenda del calcio inglese violento, Roy Keane. Thatcher però continuava ad abitare nel Surrey, a due ore e mezza di macchina da Ispwich e Keane aveva introdotto una regola secondo cui i giocatori dovevano abitare a massimo mezz’ora di distanza. Quando non ha rinnovato il contratto di Thatcher, Keane non sembrava affatto dispiaciuto: «Viene ad allenarsi quando vuole lui, quando non c’è troppo traffico». A 34 anni, senza squadra, Ben Thatcher sentiva di poter giocare ancora un anno o due, ma la sua carriera in realtà è finita così.



Okay, torniamo a Joey Barton. Questa storia la chiude lui, poco tempo dopo, il 10 febbraio 2007.





Il Portsmouth ospita il Manchester City e dopo cinque minuti va in vantaggio. Isaksson, il portiere del City, respinge coi pugni un calcio d’angolo, la palla esce dall’area e arriva su Pedro Mendes, che con un controllo piuttosto eccezionale di interno destro si mette la palla sul sinistro e al tempo stesso evita l’arrivo di Ousmane Dabo. Poi, al volo, come se al posto del piede sinistro avesse una fionda, spara la palla sotto la traversa.



È un gol pazzesco – la giusta vendetta per il fallo di Thatcher penserà qualcuno – e, secondo Redknapp, Mendes stava dominando la partita. Finché, qualche minuto prima della fine del primo tempo, ci ha pensato Joey Barton a toglierlo di torno. Non si capisce se lo abbia fatto apposta o se gli sia finito sul tallone semplicemente calcolando male la propria corsa, il proprio passo, fatto sta che Mendes si è ritrovato con un buco nel tendine e, per la seconda volta nel giro di pochi mesi, sempre contro il Manchester City, è dovuto uscire in barella.







Con Mendes a terra un suo compagno, Gary O’Neil, ha messo la palla fuori, facendo arrabbiare Barton che poi, forse proprio per questa reazione, è stato ammonito dall’arbitro.



«Chiunque dica che si è trattato di un incidente deve farsi una tac», ha detto Redknapp, furioso con l’arbitro. «Barton lo ha fatto apposta e meritava il rosso. Mi dà fastidio perché Pedro è un buon giocatore e un buon professionista che non va in giro a prendere a calci nessuno. E questa è la seconda volta. È ancora lui a soffrire».



Forse a questo punto vi farà piacere sapere che la vita di Pedro Mendes è andata avanti, anche stavolta. Ha giocato ancora una stagione a Portsmouth prima di trasferirsi in Scozia e vincere il campionato 2008-09 con i Rangers di Glasgow. È persino tornato nel giro della Nazionale fino al Mondiale del 2010, in cui il Portogallo è stato eliminato agli ottavi dalla Spagna e lui ha giocato in tutte e quattro le partite. Ha passato gli ultimi anni allo Sporting e al Vitoria Guimaraes, dove tutto era cominciato e dove la sua carriera è finita quando aveva 33 anni.



A differenza di quanto fatto con Thatcher, commentando il fallo di Joey Barton, Stuart Pearce ha preso le sue difese. Secondo l’allenatore non solo si trattava di un incidente casuale, ma riteneva che fosse in atto «un po’ una caccia alle streghe», perché Barton era in un buon momento della sua carriera e giusto la settimana prima aveva esordito in nazionale, negli ultimi minuti di un’amichevole con la Spagna (la sua unica presenza con la maglia inglese). Certo, a inizio stagione, a settembre 2006, aveva mostrato il culo ai tifosi dell’Everton, che era anche la squadra che tifava da piccolo, ma Pearce lo trovava «molto maturato come persona e come giocatore».



Poco tempo dopo, a maggio di quell’anno, Barton in allenamento ha picchiato Ousmane Dabo, colpendolo più volte in faccia e mandandolo all’ospedale con una retina distaccata. Dabo lo ha denunciato e Barton in seguito è stato condannato a quattro mesi con la condizionale (più una multa e una squalifica). Un mese dopo il City si è liberato di Barton cedendolo al Newcastle. Joey Barton (che ha chiamato i suoi due figli Cassius e Pietà, sì proprio così, Pietà Barton) avrebbe giocato a calcio per altri dieci anni tra Premier, Championship e Ligue 1 (con l’Olympique Marseille), fino al 2017 quando, a 35, ha ricevuto una squalifica di 18 mesi da parte della federazione per aver giocato più di 1200 scommesse negli ultimi anni: «Una decisione che mi costringe al ritiro prematuro». Fino a pochi mesi fa era l’allenatore del Bristol Rovers – una volta è stato accusato di aver spinto, da dietro, un allenatore avversario contro una trave di ferro di uno stadio – adesso non lo so.



Per chiudere possiamo riprendere le parole di Barton, quelle sui colleghi meno duri di lui che avevano dimenticato la rabbia che li aveva resi ricchi e famosi. Ecco, a volte invece sarebbe meglio dimenticarsela, mettersela alle spalle e andare oltre, quella rabbia.

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